Nonostante gli sforzi per tornare in auge sul mercato con la prossima famiglia Mate 50, non è una sorpresa che Huawei non se la stia passando bene. I risultati finanziari tracciano il quadro di una compagnia che nel giro di pochi anni è passata dall’essere una dei cardini del mercato tecnologico a sparire dai radar mediatici e commerciali. Ma se la situazione di Huawei è risaputa ormai da tempo, la crisi che stanno attraversando compagnie come Xiaomi è cosa più recente.
Al contrario dell’occidente, dove se un’azienda è in difficoltà è molto probabile che se ne parli pubblicamente, l’economia della Cina è un argomento poco trattato dalle grandi aziende. A meno che non si tratti di sbandierare risultati positivi, è difficile che i dirigenti di una società cinese si espongano pubblicamente per trattare argomenti delicati come la crisi economica che la Cina, e più in generale il mondo, sta subendo. Non meraviglia, quindi, lo scalpore suscitato sui social asiatici dalle recenti esternazioni pubbliche di figure come i fondatori di Huawei, Xiaomi e Tencent.
Le aziende tech cinesi non ci stanno e parlano apertamente della crisi economica
Il maggiore clamore viene dalle parole di Ren Zhengfei, fondatore di Huawei: negli scorsi giorni è circolato sui social cinesi un promemoria interno, in cui egli parla in maniera piuttosto netta delle problematiche che la sua compagnia sta affrontando. Un promemoria dai toni piuttosto cupi, in cui il protagonista è la recessione economica verso cui il mondo starebbe virando. “I prossimi 10 anni saranno un periodo doloroso della storia” afferma Ren, specificando che “Huawei deve smorzare i toni su qualsiasi previsione troppo ottimistica e fare della sopravvivenza il suo credo più importante nei prossimi 3 anni“. Huawei starebbe chiedendo ai suoi dipendenti di pensare alla sopravvivenza dell’azienda, concentrandosi a migliorare i profitti anziché i numeri di vendita.
A causa dei numeri sfavorevoli per entrate e guadagni, Huawei avrebbe deciso di attuare decisioni più o meno drastiche, fra cui il taglio dei bonus per i dipendenti che non realizzino profitto. Fra l’altro, si fa notare che l’organico di Huawei sta invecchiando: 10 anni fa gli under 30 erano oltre il 50%, mentre adesso solo il 28%, segno che i giovani talenti starebbero preferendo altre vie lavorative da percorrere. Un’altra decisione da attuare sarebbe quella di ridurre (se non cedere) le attività non principali, ergo altri licenziamenti a fronte dei -2.000 posti di lavoro nel 2021, per la prima volta dal 2008. Dopo l’esclusione quasi totale dal mercato degli smartphone, Huawei ha messo in azione diversi piani B: produrre smartphone di terze parti, fornire HarmonyOS e Huawei Mobile Services ad altre aziende, ma anche puntare a settore automobilistico, tecno-sanità e pagamenti digitali.
Non è la prima volta che Huawei parla di sopravvivenza, ma questa volta la situazione è ben diversa rispetto agli anni passati, dove il problema era “solo” il ban USA. Questa volta c’è di mezzo una crisi economica che sta colpendo in particolare una Cina il cui PIL è cresciuto dello 0,4% nel Q2 2022, il peggior trimestre dallo sfortunato 2020. Non aiutano le crescenti tensioni con gli Stati Uniti, l’inasprimento delle politiche bancarie globali, la svalutazione dello yuan e il conseguente calo delle borse cinesi.
Come sottolinea Ivan Lam di Counterpoint Research, “è raro che le aziende cinesi puntino direttamente al problema, i dirigenti sono soliti parlare del macro-contesto nelle loro riunioni finanziarie, concentrandosi sulle loro prestazioni aziendali e sul loro ottimismo per un’imminente ripresa; a quanto pare, la gente non pensava che fosse abbastanza“. Proprio per questa voglia di schiettezza il promemoria di Huawei è andato virale sui social come Weibo e WeChat, con molto apprezzamento per la lettura realistica delle prospettive economiche del paese.
Le critiche delle big tech cinesi vanno virali sui social
Come anticipato, Huawei non è l’unica azienda in crisi per la Cina: nel Q2 2022, il gigante Alibaba ha licenziato 10.000 dipendenti a fronte di un -50% dei guadagni. Anche Tencent non se la passa meglio, con taglio per 5.500 posti di lavoro e il primo calo delle entrate dal 2004; e come Ren Zhengfei, anche il suo fondatore Pony Ma si è aperto sui social, lamentandosi delle lotte che l’industria tecnologica cinese sta affrontando, con un settore videoludico colpito dalle forti restrizioni attuate dalle autorità.
Quella di Pony Ma è solo l’ultima delle sempre più sonore lamentele nei confronti del governo Xi Jinping e della sua rigidissima politica Zero Covid. Inoltre, tutte le cosiddette “big tech” cinesi (di cui Tencent fa parte) stanno subendo la lotta ai monopoli messa in atto dal governo, che si sta dimostrando sempre meno disposto a lasciar spago alle proprie multinazionali. La critica condivisa sui social punta il dito contro coloro che mettono il bastone fra le ruote ad aziende che, come Tencent, hanno sostenuto la popolazione con i propri servizi in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo.
Concludiamo con un altro membro molto esponente della scena imprenditoriale cinese: Lei Jun. Il co-fondatore di Xiaomi ha presentato l’evento che negli scorsi giorni ha visto il debutto di numerosi prodotti, come Xiaomi MIX Fold 2, Pad 5 Pro 12.4, Watch S1 Pro e l’androide CyberOne. Prima della presentazione dei dispositivi, Lei Jun ha usato il palco dell’evento per ripercorrere i problemi affrontati nella sua carriera imprenditoriale, con un discorso più speranzoso che pessimista. “Molte persone si sentono confuse, e persino ansiose, di fronte a questi continui ed enormi cambiamenti“, ha affermato il capo di Xiaomi, aggiungendo che “senza battute d’arresto, non sarei quello che sono oggi“.
Nello specifico, il suo racconto si è concentrato sulla sua esperienza in Kingsoft, quando negli anni ’90 un poco più che 20enne Lei Jun venne assunto da quella che si poneva come diretta rivale di Microsoft. La compagnia non riusciva a uscire fuori da una crisi che la rendeva a malapena in grado di pagare i suoi dipendenti; Lei Jun decise quindi di lavorare per 7 giorni come venditore in un negozio Kingsoft di Pechino per cercare una soluzione alla crisi, scoprendo che molti clienti avevano difficoltà a usare il computer senza delle istruzioni. Fu allora che Kingsoft creò un software, “Introduzione ai computer“, assieme ad altri prodotti user-friendly che aiutarono Kingsoft a risollevarsi.
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