Dopo ben sei anni dall’ultima volta, Apple è riuscita a riconquistare il trono degli smartphone in Cina. Se prima il merito fu del successo commerciale della serie iPhone 6s, questa volta è stata quella di iPhone 13 a incontrare il gradimento dei consumatori asiatici. Questo nonostante la spietata concorrenza dei produttori locali, con colossi quali vivo e OPPO, oltre a Xiaomi, Honor e Realme. Lo dicono i numeri di vendita: i dati di Counterpoint Research ci mostrano come Apple sieda al primo posto in Cina da sei settimane consecutive. Lo scorso anno si è concluso con il 23% del mercato nelle mani della compagnia di Cupertino. Subito dietro troviamo vivo e OPPO, rispettivamente al 19% e 17%, seguite da Honor e Xiaomi al 15% e 13%. Se si esclude Honor e la sua risalita dopo essersi staccata da Huawei e la giovane e rampante Realme, Apple è il big con la crescita più alta (+30%).
E la domanda è: come sta facendo Apple per conquistare un mercato così ostico come quello della Cina? Un mercato dove le aziende con connotazioni occidentali faticano a entrare, se non addirittura finendo per essere bannate (Google e Facebook docet, ma non solo). Un mercato dove il produttore di smartphone più grande al mondo, Samsung, è praticamente assente. Mettiamo insieme i punti e cerchiamo di capire come sia possibile questa sorta di anomalia.
Prosegue la crescita di Apple in Cina: i melafonini sempre più apprezzati
Prendiamo il grafico delle vendite di smartphone in Cina da fine 2015 a fine 2021. Come potete notare, Apple ha un andamento piuttosto lineare: ogni volta che esce il nuovo iPhone in autunno c’è un picco in alto, seguito da mesi di calo fisiologico. Insomma, nemmeno la Cina è esente dal fascino dell’ultimo melafonino, nonostante parliamo di prodotti tutt’altro che economici. D’altronde, parliamo di una nazione che nel 2021 ha rappresentato il 20% di tutti gli incassi maturati da Apple.
Questione di software
Tutti i produttori di smartphone Android, che siano Xiaomi, OPPO, vivo o Samsung, devono adeguarsi ai blocchi del Great Firewall cinese. In poche parole, il mondo Android cinese è ben diverso da quello nel resto del mondo. Non potendo utilizzare i servizi Google, quindi Play Store, Gmail, Maps e quant’altro, queste aziende devono creare due mondi separati: uno per la Cina, uno per tutti gli altri. Ne consegue un’ulteriore frammentazione software nel già complicato e frammentato universo qual è Android. Anche per questo, aziende come Xiaomi vengono spesso criticate in occidente di portare aggiornamenti castrati e in ritardo. Al contrario, Apple non è toccata minimamente da questo problema. Il suo iOS è uguale in tutto il mondo, proprio perché è esente dal blocco imposto dalla Cina nei confronti di Google. Ma c’è un “ma”.
Storicamente parlando, affinché un’azienda possa operare con facilità in Cina è necessario che si adegui alle richieste del Partito Comunista Cinese. Di recente, è trapelato un presunto accordo quinquennale fra le parti, un piano da ben 275 miliardi da parte dell’azienda di Tim Cook. Stando a quanto riportato dai documenti, gli investimenti promessi permetterebbero ad Apple di operare con più tranquillità nella nazione. Ciò non significa, però, che Apple possa venir meno alle richieste del governo: nel 2018 ha ceduto l’operatività di iCloud in Cina all’azienda locale Guinzhou-Cloud Big Data Industry e ha trasferito le chiavi crittografiche necessarie per sbloccare un account iCloud sul suolo cinese in appositi data center.
Ci sono poi tutta una serie di scelte minori e più triviali, come quella di rimuovere la scritta “Designed by Apple in California” dal retro degli iPhone. A tutto ciò aggiungiamo che, nonostante Apple proclami i suoi sforzi per la salvaguardia di libertà e privacy, in Cina spariscono sempre più app dall’App Store. Secondo l’analisi del New York Times, negli ultimi anni sono scomparse decine di migliaia di app dallo store per conformarsi alle leggi cinesi. Inutile dire che fra queste troviamo VPN, app di news estere, per incontri LGBTQI+, per messaggistica crittografata, ma anche app dedicate al Dalai Lama e alle proteste di Hong Kong.
Come Apple ha contribuito all’economia cinese
Mettendo da parte la questione più “politica”, nella partnership fra Apple e Cina entra in gioco il fattore economico. Sin da quando è passata nelle mani di Tim Cook, Apple ha spinto per entrare nel ricco mercato cinese. E lo ha fatto con l’aiuto del governo, che ha speso miliardi per far crescere una realtà come Foxconn e renderla il colosso qual è oggi. Dalle sue fabbriche passa il 40% dell’elettronica di consumo di tutto il mondo: Google, Amazon, Xiaomi, Huawei, Nokia, Lenovo, Motorola, Nintendo, Sony, Microsoft, SEGA, HP, Dell, Cisco, Acer e Toshiba, per dirne alcuni. Senza contare che possiede Sharp, FIH (cioè l’azienda che produce i telefoni Nokia) e Belkin, uno dei principali produttori di accessori ufficiali Apple.
Se Foxconn è riuscita a diventare così grande è anche grazie ad Apple. La Cina inserì la città di Zhenghou fra le zone economiche speciali, cioè quelle aree geografiche dove le aziende godono di vantaggi economici, come sgravi statali e tassazioni minori. Ed è proprio qui che Apple ha costruito la cosiddetta iPhone City, un distretto dove oltre 100.000 dipendenti lavorano per l’assemblamento dei melafonini. Un argomento che ho trattato anche nel video-editoriale “Perché gli smartphone vengono tutti dalla Cina“. Mentre tutti scappano dalla Cina e si spostano in India, Vietnam, Filippine o Thailandia, vuoi per le pressioni del governo, vuoi per i costi di produzione che si alzano, Apple resta.
Ma anche se Foxconn è una colonna portante del mercato elettronico della Cina, non bisogna dimenticarci che Hon Hai Precision Industry (il suo nome originale) nasce in Taiwan. Probabilmente non è un caso che negli ultimi mesi Apple stia iniziando a spostare gran parte della sua produzione all’azienda cinese Luxshare. Dalle sue fabbriche escono prodotti di successo come le AirPods, ma la storia non finisce qui. Perché potremmo dire lo stesso per le cinesi WingTech, a cui è affidata la produzione di gadget quali Apple TV e Mac Mini, e BOE, a cui stanno venendo affidati gli schermi di iPhone anziché a Samsung e LG. Per la Cina, avere Apple dalla propria parte significa avere l’azienda più di valore al mondo che contribuisce al mercato interno.
La forza del marchio Apple in Cina
Ma se le vendite sono così aumentati negli ultimi tempi, è solamente “grazie” a Huawei. Il suo tracollo mondiale, Cina compresa, ha liberato spazio sul mercato degli smartphone per tutti. Fra i produttori, Apple è quella che sta capitalizzando più di tutti, soprattutto in una fascia di pubblico ben specifica. Al contrario di brand come Xiaomi, OPPO e vivo, che devono la maggior parte dei loro profitti alla fascia medio/bassa nei mercati emergenti, Huawei era la scelta per il pubblico premium.
Secondo i dati di Counterpoint Research, nel 2020 la spesa media per acquistare uno smartphone in Cina ammontava a 310$, dietro soltanto agli USA e sopra all’Europa. I motivi per cui la Cina spende così tanto sono sostanzialmente due: in primis, la popolazione è ben lontana dai livelli di povertà degli anni ’80/’90 e gli stipendi si sono via via innalzati. In secundis, essendosi evoluta più tardi rispetto a USA, Europa e Giappone, la Cina ha capito per prima l’importanza degli smartphone. In un certo qual senso, è come se la Cina avesse saltato la generazione dei computer e sia passata direttamente a quella dello smartphone. Lo dimostra il fatto che, mentre noi ci destreggiavamo fra bancomat e carte di credito, in Cina già utilizzavano i pagamenti digitali tramite codice QR.
Vien da sé, quindi, che il consumatore medio cinese utilizzi lo smartphone come dispositivo factotum e sia quindi più propenso a spendere di più. A questo aggiungiamo che la Cina ha sempre avuto una certa predilezione all’ostentazione dei marchi più pregiati, un fattore che ha aiutato Huawei nella sua crescita nel mercato premium. Dal dedicarsi alla fascia bassa, Huawei è cresciuta e ha puntato sempre di più sui propri top di gamma coinvolgendo anche VIP e influencer, con serie P e Mate apprezzate per le loro prestazioni e le loro fotocamere. Capirete bene che, una volta che Huawei è crollata, al suo posto è prontamente subentrata Apple, compagnia che ha sempre venduto bene in Cina e che ha potuto così imporsi al suo posto.
Chiaramente Apple non è l’unica a essersi accorta del buco lasciato da Huawei. Negli ultimi anni, Xiaomi ha lanciato terminali pregiati come 11 Ultra e MIX 4, OPPO ha riportato in auge la serie Find X e vivo non è stata da meno con il suo X70 Pro+. Per non parlare dei pieghevoli, mercato in cui sia Xiaomi che OPPO e Honor si sono prontamente tuffate in Cina. Ma pensiamo anche al fatto che OnePlus 10 Pro si stato lanciato prima in Cina che nel resto del mondo, o a Motorola che sta preparando uno dei top di gamma più potenti del 2021.
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