La storia che gravita attorno all’entità che risponde al nome di BBK Electronics è abbastanza controversa. Potreste averla sentito nominare ma probabilmente non sapete molto su quest’azienda e la cosa strana è che è a tutti gli effetti il terzo produttore di smartphone al mondo. Ed è paradossale, perché ad oggi non esiste nessun telefono direttamente targato BBK. Questo perché i suoi sforzi in ambito smartphone sono stati via via delegati ad altri brand specifici: OnePlus, OPPO e vivo in primis, Realme ed iQOO in secundis. Ma scopriamo più da vicino come BBK è riuscita in questo intento.
BBK possiede OnePlus, OPPO e vivo? Scopriamo qual è la verità
Ripercorriamo la storia di BBK
Il marchio BBK parte dalla mente di Duan Yongping: nato in Cina nel ’61, vive in California da ormai 20 anni ed è considerato uno dei padri fondatori della telefonia cinese. Tuttavia, nonostante sia una delle persone più ricche e ben viste in Cina, è una persona piuttosto schiva: esistono poche interviste e le informazioni su di lui non sono facilissime da reperire. Si laurea in ingegneria elettronica a fine anni ’70, in un contesto storico che vedeva la Cina vivere un momento di forte transizione. Con la morte di Mao Tsetung nel ’76, salì al potere un Deng Xiaoping meno tradizionalista e incline a sposare la mentalità economica capitalista che fino ad allora era stata tenuta fuori dalla Cina. Da lavorare esclusivamente per lo stato, i più intraprendenti decisero così di iniziare a fondare le prime imprese private.
Lo stesso vale per Duan, la cui carriera iniziò in una fabbrica statale di tubi a vuoto e, dopo un breve periodo come insegnante ed un master in econometria, nell’89 entrò a far parte del gruppo Zhongshan Yihua, prendendo in gestione la divisione Xiaobawang, detta anche Subor Electronics, una piccola fabbrica sull’orlo del fallimento ma che nelle sue mani arriverà a guadagnare milioni, seppur al limite della legalità.
E qua bisogna aprire una parentesi sul mercato videoludico degli anni ’80: perché se oggi parlare di videogiochi è cosa comune, la storica crisi videoludica dell’83 mise un ginocchio un’industria che passò in pochi anni dalle stelle alle stalle. Le prime console della storia generarono profitti altissimi e quindi tante, troppe aziende si tuffarono nel settore, buttarono fuori troppe console e pochi giochi degni di nota e l’inflazione fece crollare tutto. Nel mentre, in Giappone, Nintendo spopolava con il Famicom, storica console che fece rinascere il mercato videoludico in America e in Europa sotto forma di NES, Nintendo Entertainment System.
Il successo videoludico con Subor
Ma perché vi sto parlando di Nintendo? Beh, perché negli anni ’80, il mercato videoludico in Cina era inesistente, vuoi perché importare le console era costosissimo, vuoi perché lo stesso governo era storicamente contrario ai prodotti videoludici, specie se esteri, spesso censurati se non direttamente bannati. Un governo cinese che ha disincentivato i videogiochi, ritenuto negativi per la psiche dei più piccoli, in un’epoca in cui vigeva ancora la politica del figlio unico. È in questo contesto che, però, si creò il primo vero mercato dei Famiclone, ovvero i cloni del Famicon, in cui Subor divenne presto leader assoluta grazie alla partnership con MediaTek, che all’epoca era un chipmaker il cui business consisteva nel creare gli “shanzhai”, termine cinese che indica i pezzotti, insomma, i telefoni o, in questo caso, le console copiate da altri.
I motivi per cui Subor sbaragliò la concorrenza sono prima di tutto i costi accessibili, circa 20/30€ a console. Secondo fattore, una campagna marketing guidata dall’idolo della Cina Jackie Chan. Terzo fattore, il più machiavellico, è che Subor non le vendeva come console ma come “macchine educative”, con tanto di tastiera e software per imparare a scrivere e a programmare, sulla scia del Commodore 64 e delle Amiga. In questo modo, governo e genitori erano contenti, ma allo stesso tempo anche i ragazzi, perché per puro caso le console Subor erano perfettamente in grado di leggere le cartucce dei giochi Nintendo. Tale fu il successo che Duan riuscì a portare Subor dall’essere in debito a capitalizzare nel ’95 qualcosa come 126 milioni di dollari. In tutto ciò, Nintendo non poté né fare causa, perché in Cina le leggi sul copyright sono molto fumose, né lanciare la sua console, perché si sarebbe trovata a fronteggiare una concorrenza sleale ma ahimè imbattibile.
L’addio a Subor e la nascita di BBK
Nonostante il successo, Duan e il gruppo Zhongshan entrarono in conflitto, dato che le sue mire imprenditoriali prevedevano che Subor si staccasse e diventasse un’azienda indipendente. Fatto sta che Duan si dimise e nel ’95 fondò Bubugao ovvero BBK (tradotto: “crescendo passo dopo passo“), con sede a Dongguan, una delle più ferventi città cinesi per lo sviluppo liberale del mercato tecnologico. Forte delle fedeltà lavorativa che si era costruito durante gli anni con Subor, Duan potè contare sin da subito su dipendenti leali e una filiera produttiva che gli permise di entrare subito in vari campi dell’elettronica, soprattutto nella realizzazione di lettori CD e DVD.
Come la storia ci insegne, il primo passo per il successo è avere un’efficace strategia di marketing. E Duan, forte degli studi in economia e dell’esperienza con Subor, decise di investire qualcosa come 40 milioni di dollari nelle pubblicità in prima serata sui canali TV statali. Questa volta, anziché Jackie Chan, ingaggiò il famosissimo Jet Li come volto della campagna che portò BBK a diventare leader del settore audio/video.
Una visione imprenditoriale che portò BBK ad entrare nel mondo della telefonia già nel 2000, divenendo presto uno dei principali produttori in Cina, scontrandosi con bestie sacre dell’epoca quali Nokia e Motorola. Ma BBK non se l’è sempre passata benissimo, anzi. A metà degli anni 2000 rischiò proprio di fallire a causa della concorrenza spietata di Huawei e Coolpad. Inoltre, c’erano ancora strascichi della forte crisi finanziaria che aveva colpito l’Asia a fine anni ’90. Un po’ per tutti questi aspetti, nel 2001 BBK decise di ristrutturarsi e dividersi in tre parti, in modo che ognuna potesse concentrarsi al meglio sul proprio target. Nacquero così BBK Education, BBK AudioVideo e BBK Communication, con a capo 3 dipendenti che Duan aveva portato con sé da Subor e con cui fondò proprio BBK: Huang Yihe, Chen Mingyong e Shen Wei, all’epoca nemmeno 30enni, ma sotto questo aspetto Duan si è sempre dimostrato una sorta di “monarca illuminato”, ben disposto a ricompensare economicamente e lavorativamente i dipendenti.
Il ritiro di Duan Yongping
A questo punto, dopo più di 10 anni di carriera, Duan Yongping decise di ritirarsi a vita privata in California, interrompendo i suoi legami con BBK. Pensate che, come da lui affermato, apprende le ultime notizie su OPPO e vivo da internet, in modo da non disturbare il loro operato e lasciare che camminino da sole. In California si dedicherà ad investire in borsa, e con ottimi risultati: nel 2002 aiutò l’amico William Ding acquisendo il 5% di NetEase, giovane compagnia informatica finita vittima della bolla speculativa “dot-com” e sull’orlo del fallimento. Pensate che Duan acquistò 2 milioni di azioni da 13 centesimi l’una, per poi rivenderle a 40 dollari l’una qualche anno dopo, con NetEase che oggi è un’azienda importantissima che vale 600 miliardi e che potreste conoscere per Diablo Immortal e alcuni giochi mobili della Marvel.
E questo è solo uno dei tanti investimenti che hanno portato Duan ad essere una delle persone più ricche della Cina. Il suo patrimonio è stimato attorno al miliardo e mezzo di dollari e, come tutti i personaggi di questo calibro, non è esente dalle “stranezze” tipiche dei più facoltosi. Basti pensare che nel 2006 pagò la bellezza di 620.000 dollari per vincere all’asta su eBay un pranzo d’affari con Warren Buffett. Ma è giusto parlare anche della sua attività filantropica, ispirata proprio dal suo idolo Buffett: nel 2004, per esempio, fondò la Enlight Foundation per dare borse di studio agli studenti cinesi, o anche nel 2006, quando donò 40 milioni di dollari alla sua ex università.
Il nuovo corso a tre di BBK
Ma torniamo a parlare di BBK e delle sue tre divisioni: la prima, BBK Education esiste tutt’oggi, per quanto sia molto ridimensionata, ed è la divisione che si occupa di realizzare prodotti elettronici per l’educazione in Cina.
La seconda, BBK AudioVideo, dal 2004 ha cambiato nome in OPPO Digital, dedicandosi a impianti audio/video, con ottimi prodotti molto apprezzati dagli appassionati. (come nel caso dell’amplificatore HA-1 o delle cuffie PM-3). Ma nel corso del tempo, OPPO ha cambiato strategia, come dimostrò nel 2008 con il timido ingresso nella telefonia con il lancio dello Smile Phone.
Infine la terza, BBK Communication, divisione che negli anni ’90 costruiva già telefoni fissi, nel 2001 si concentrò prima sui feature phone e nel 2009 cambiò nome in vivo e si lanciò nel mondo degli smartphone, per poi essere seguita nel 2011 da OPPO.
Una transizione avvenuta dopo il 2007, anno che tutti ricordiamo per il lancio di iPhone, un prodotto che cambiò profondamente il mondo della telefonia. Inutile dire che, come tutti gli imprenditori di allora, Duan Yongping rimase ammaliato da Apple, a tal punto da prenderla come modello per lo sviluppo di OPPO e vivo. Due aziende che iniziarono ad ottenere numeri importanti in Asia, ricalcando Apple per estetica ed approccio al mercato. Lo stesso Duan ha più volte espresso il suo apprezzamento verso l’azienda di Cupertino, ha incontrato Tim Cook in diverse occasioni e soprattutto è uno degli azionisti Apple di maggioranza più grandi al mondo.
“Apple è una compagnia straordinaria. È un modello da cui imparare. Ho incontrato Tim Cook in diverse occasioni. Potrebbe non conoscermi, ma abbiamo chiacchierato un po’, mi piace molto. Ma non hanno saputo batterci in Cina perché anche loro hanno dei difetti. A volte sono forse troppo testardi. Hanno fatto molte cose fantastiche, come il loro sistema operativo, ma li superiamo in altre aree.”
Ma da essere additati come semplici imitatori di iPhone, nel 2016 OPPO e vivo riuscirono a scavalcare Apple in Cina per la prima volta.
I motivi del successo sono molteplici. Innanzitutto, BBK ottenne una grossa fidelizzazione nei mercati emergenti, dove i prezzi di Apple non potevano competere. Inoltre, la massiccia presenza in BBK di neolaureati l’ha aiutata ad adottare strategie che risuonassero con i più giovani. Poi, mentre Xiaomi evitava l’utilizzo di pubblicità per tenere bassi i costi e incentrava la comunicazione sul fondatore e star di internet Lei Jun, OPPO e vivo facevano utilizzo in larga scala di celebrità per promuoversi e di product placement all’interno di film e serie TV. Una strategia che si rifaceva proprio all’esperienza con Jackie Chan ai tempi di Subor. Ad aiutare le vendite è stata anche la scelta di usare l’online per far conoscere i prodotti, ma usare il mercato offline per le vendite, aprendo tantissimi negozi in giro per l’Asia, specialmente nelle città più periferiche, dove gli smartphone erano ancora poco diffusi.
L’altro “trucco” è stato diversificare i prodotti, lanciando flagship molto premium e costosi in grado di attirare l’attenzione della clientela. A questo punto subentra la fascia mid-range e low-cost, di cui OPPO e vivo hanno fatto ampiamente uso, riuscendo a venderli bene grazie al forte appeal acquisito tramite i suddetti top di gamma. Ad un certo punto della sua storia, BBK Electronics ha deciso di diversificare ulteriormente, supportando la creazione di ulteriori realtà.
A questo punto, però, viene da chiedersi perché OPPO e vivo, entrambe di BBK, si facciano concorrenza in casa? Come vi ho detto, vivo è nata sin da subito con l’obiettivo dei telefoni, mentre OPPO si è accodata. Questo perché OPPO era inizialmente la divisione audio/video ed infatti, negli anni, dai lettori CD/DVD passò ai lettori MP3, un mercato fiorente nei primi anni 2000 ma che crollò con l’avvento degli smartphone. Per questo, OPPO si adeguò e, per non fallire, nel 2011 si buttò sugli smartphone: ed infatti, nel 2018 la divisione audio/video OPPO Digital ha ufficialmente chiuso i battenti.
La nascita di OnePlus, Realme ed iQOO: lunga vita ai sub-brand
Arriviamo così agli anni recenti e all’affollamento incredibile del mercato. Siamo passati dal 2012, quando i 5 principali produttori sommati contavano 70 modelli, al 2020, quando i 5 produttori contano 168 modelli.
In un mercato così affollato, un metodo per aumentare le vendite senza congestionare l’azienda è quella di delegare a realtà più piccole nuovi target di mercato. E se c’è una cosa che accomuna OPPO, vivo ma anche Xiaomi e Huawei è proprio la strategia dei sub-brand.
OnePlus
Per BBK, questa divisione è avvenuta in tre fasi. La prima nel 2013, quando un dipendente BBK andò in visita da un Duan Yongping, ormai ritiratosi a vita privata in California, per chiedergli consigli sulla sua prossima avventura. Quel dipendente era Pete Lau e sto parlando della nascita di OnePlus. In quegli anni la telefonia era perlopiù dominata da brand come Samsung, Apple, LG, Motorola. Il mondo cinese era ancora legato ai propri confini. In questo panorama si inserì OnePlus, un brand cinese ma che guardava ad occidente. Un obiettivo che BBK fu ben contenta di sfruttare per contrastare la competizione.
Anche perché nel 2011 debuttò una Xiaomi che ruppe le regole del mercato. Normalmente grandi aziende come OPPO e vivo producono i telefoni, li stoccano in magazzino e li spediscono ai vari negozi e il tutto ha ovviamente un costo. Al contrario, Xiaomi decise di rivolgersi ad un’utenza giovane, vendendo solo online e con piccoli stock, eliminando le spese di magazzino e degli intermediari per tenere i prezzi quanto più bassi possibile, senza poi spese pubblicitarie preferendo ai VIP il passaparola su internet. Questo gli permise di debuttare con uno Xiaomi Mi One che nel 2012 costava circa 250€ nonostante avesse le qualità di un top di gamma. Una strategia, quella della piccola startup contro i giganti del mercato, che verrà ripresa pari pari da OnePlus, un’azienda che è passata dall’essere una piccola realtà ad un brand con aspirazioni sempre più ampie.
Realme
Anche perché, nonostante sia nata come sub-brand improntato all’online, OnePlus si è accorta di non poter competere con marchi come Redmi ed Honor. Per questo, nel 2018 arriviamo alla seconda divisione di BBK, quando OPPO ha deciso di fondare Realme, affidandola a Sky Li, un altro ex vice presidente proprio come il capo di OnePlus. Come accaduto fra Xiaomi e Redmi, era un’entità già esistente: per quanto molto meno famoso di Redmi, anche RealMe era una famiglia di telefoni OPPO del 2010. Evidentemente non ebbe molta fortuna, venendo abbandonata per poi “resuscitare” 8 anni dopo come un brand a sé stante. Realme è riuscita sin da subito ad imporsi con una certa impetuosità nel panorama. Le vendite sono molte positive e fungono da base ad un ecosistema che, dopo soltanto 2 anni, conta all’elenco wearables, cuffie, accessori vari ed anche una smart TV. Per certi versi, l’espansione dell’ecosistema Realme è stata più rapida e ampia della stessa OPPO. Ma il motivo è proprio perché Realme nasce proprio per contrastare una Xiaomi che punta moltissimo sul proprio ecosistema.
iQOO
E dopo Realme, passiamo alla terza ed ultima divisione (almeno per ora), con il lancio nel 2019 di iQOO. Anche vivo aveva bisogno di un sub-brand pensato non mainstream, bensì pensato per un target più giovanile, che compra online e attento alle specifiche. Ed infatti tutti i modelli iQOO visti finora, chi più, chi meno, portano con sé capienti batterie, ricariche molto rapide, ampi tagli di memorie e funzionalità dirette al mondo del gaming.
Qualcuno si ricorda di imoo?
Sulla scia dei prodotti educazionali degli anni ’90, BBK tentò di portare questo argomento sugli smartphone. Nacque così imoo, progetto che sembrerebbe ormai essere naufragato dopo il lancio del solo imoo C1. Lo smartphone di per sé non era niente di fantasmagorico, ma il concept era quantomeno interessante. L’azienda integrò nel software tutta una serie di funzionalità dedicate agli studenti, con tanto di pulsante dedicato per scansionare problemi matematici o effettuare traduzioni. Ma anche la possibilità di sincronizzazione delle lezioni, consultare gli insegnanti ed un parental control per i genitori.
Nessuno vuole essere associato a BBK: perché?
Oltre a qualche piccolo flop, la storia di BBK è segnata anche da momenti controversi. In più occasioni le aziende di BBK hanno negato di essere legate fra loro. Sui siti di OPPO e di vivo non c’è nessun riferimento a BBK (e quelli che c’erano in passato sono stati eliminati) e anche sul sito del governo cinese era riportato nero su bianco la loro appartenenza a BBK. Il perché ci sia questa volontà è probabilmente dettata dall’immagine che i brand vogliono dare al pubblico. Solitamente l’utente medio tende a gradire di più realtà singole, recepite come più intime, più vicine a sé, rispetto ad una grossa multinazionale che possiede tutto. Anche se recentemente c’è stata un po’ più di apertura. Basti ricordare che tempo fa OnePlus negava con insistenza i legami con OPPO, salvo poi affermare recentemente di essere un suo sub-brand sostanzialmente, confermando quello che si è sempre detto negli anni. È comunque giusto specificare che tecnicamente BBK non possiede OPPO e vivo né tutti i sub-brand che ne sono nati, tutte realtà indipendenti ma che comunque cooperano a stretto contatto, come abbiamo potuto vedere.
Il futuro per BBK
Per quanto il nome BBK sembri ancora oggi una realtà sconosciuta ai più, i numeri di vendita ci raccontano ben altra storia. Il 2021 la vede al primo posto con il 25% del mercato globale, in piena crescita e davanti a competitor come Samsung, Apple e Xiaomi. In questo modo, OPPO e vivo si rivolgono al mercato offline più mainstream, Realme ai tech entusiast che vogliono spendere poco in India e in Europa, con iQOO che fa lo stesso ma in Cina. In tutto ciò, OnePlus è un ibrido: come Realme, si rivolge ai tech entusiast in India e in occidente ma allo stesso tempo sta allargando la sua fascia di prezzo, con telefoni che partono da poche centinaia di euro fino al migliaio di euro.
Con una Huawei praticamente fuori dai giochi, la strada in occidente si prospetta spianata. OPPO aveva già provato a vendere in Europa dal 2013 al 2017, con smartphone come Find 7, N3 ed R7, ma senza successo, salvo poi ritornare nel 2019 con l’iconico OPPO Find X. Adesso siamo nel 2021, OPPO occupa il 6% del mercato in Europa, OnePlus e Realme il 2% e vivo ha ufficialmente debuttato pochi mesi fa, perciò i presupposti ci sono tutti affinché BBK possa fare bene anche in Europa. Certo, i numeri di Xiaomi sono ancora lontani, per non parlare di Samsung, perciò rimane la curiosità di scoprire come si evolverà il mercato.
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