Si complica ulteriormente la faccenda che vede contrapposte USA vs Cina, in un braccio di ferro che vede in Huawei uno dei principali capri espiatori. Da giorni si parla del prolungamento fino al 2021 del ban della Entity List, per quanto sia stata mantenuta la possibilità di bypassarlo sotto concessione governativa. Quello che a primo sguardo potrebbe sembrare un dissidio che tocca principalmente queste due parti, in realtà finisce per intaccare l’economia globale. Il caso più esemplare è quello di TSMC, chipmaker che ha sede in Taiwan ma che da adesso non potrà più liberamente commerciare con Huawei.
Aggiornamento 23/05: si aggiungono nuovi risvolti alla faccenda che vede contrapposte Huawei e TSMC. Ve ne parliamo a fine articolo.
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Il ban USA comincia a farsi pesare sulla catena produttiva di Huawei
È dall’autunno 2019 che TSMC ha messo in guardia l’azienda, avvertendola della possibilità che il sodalizio fra le due potesse presto finire. Inizialmente il chipmaker ha continuato a rifornire HiSilicon dei chip richiesti, ma non c’è voluto molto prima che quelle che all’inizio erano voci di corridoio divenissero realtà. Con effetto immediato, il ban USA ha comportato uno stop degli ordini da parte di TSMC ai danni di Huawei. Per il momento non c’è ancora l’ufficialità: Huawei ha rifiutato di commentare, così come TSMC che si è limitata ad aggiungere in maniera un po’ vaga che si tratterebbe solamente di “rumor di mercato”. Tuttavia, fonti vicine alla questione lo hanno riportato a Nikkei, pertanto la prendiamo come notizia piuttosto affidabile.
In modo da non andare incontro a pesanti penali economiche, TSMC proseguirà la produzione degli ordini attualmente già in corso. Secondo le direttive impugnate, tutti i chipset che potranno essere spediti entro metà settembre verranno consegnati senza problemi. Al contrario, tutti i nuovi ordini da qui in poi saranno per il momento bloccati, in modo da seguire quanto imposto dal governo USA.
Huawei non sta a guardare, ma la strada è in salita
Huawei sta comunque correndo ai ripari, come dimostrano i lavori in cooperazione con SMIC. Il chipmaker cinese si è dimostrato in grado di realizzare il Kirin 710Amontato su Honor Play 4T, ma rendersi indipendenti da TSMC sarà dura. Si tratta di un chipset a 14 nm, processo produttivo non proprio al passo coi tempi, se si considera che buona parte dei SoC odierni stanno sotto i 10 nm.
Specialmente se si considerano soluzioni premium come l’attuale Kirin 990 o i futuri Kirin 1000 e 1020, con processi a 5 nm che soltanto TSMC e pochi altri riescono ad effettuare con successo. Se così venisse confermato, si tratterebbe di una brutta battuta d’arresto per ambo le parti. Anche per TSMC, le cui entrate si ridurrebbe in maniera consistente, potendo lavorare esclusivamente per realtà più occidentali.
Forse anche per questo il chipmaker sta vagliando l’ipotesi di spostare parte della produzione negli USA, più precisamente in Arizona. È in corso una trattativa con il governo statunitense, propenso a spostare sul proprio territorio la produzione dei chipset per svincolarsi dal dominio asiatico.
Stop a tutti gli ordini | Aggiornamento 19/05
Huawei starebbe cercando di correre ai ripari, cercando di salvare il salvabile, ma con risultati non propriamente incoraggianti. Secondo un report da Taiwan, Huawei avrebbe tentato di effettuare un ordine da 700 milioni di dollari contenenti chip da 5 e 7 nm. I primi 5 nm servirebbero per i futuri Kirin 1020, mentre quelli a 7 nm sarebbero chip per il 5G. Tuttavia, data la situazione attuale, TSMC si sarebbe vista costretta a bloccare l’ordine, impedendo a Huawei di usufruirne. A questo punto viene da chiedersi a chi si rivolgerà Huawei, data la ristrettezza di alternative.
Gli USA stringono ulteriormente la morsa | Aggiornamento 21/05
Le nuove regole si stanno rivelando molto stringenti, costringendo Huawei a correre ai ripari. Tuttavia, si vocifera che nella legge redatta dagli USA ci sia un cavillo a cui l’azienda di Ren Zhengfei potrebbe aggrapparsi. Come si fa notare, la regola prevede che il divieto per TSMC di operare riguarda solamente i chip designati ed ordinati da Huawei. In poche parole, Huawei potrebbe continuare ad ordinarli agendo tramite i propri clienti.
Per questo i regolatori dell’industria stanno lavorando per risolvere la questione e fixare questa fallacia. Lo dichiara Ashley Ford, funzionario del Dipartimento di Stato americano, precisando che sarà data flessibilità di modifica nel caso in cui Huawei decida di aggirare le regole. Come precisato da un avvocato voluto rimanere anonimo, basterebbe specificare che il ban riguarda i chip “a beneficio di Huawei” anziché soltanto “di Huawei”.
Il Kirin 1020 si farà | Aggiornamento 23/05
Nonostante TSMC si sia dimostrata conciliante nei confronti del governo USA, sta cercando in tutti i modi di compensare nell’immediato le ingenti perdite a cui andrà incontro. A quanto pare, l’ordine da 700 milione di dollari di cui vi abbiamo parlato lo scorso 19 maggio è andato comunque in porto. Il chipmaker avrebbe dato un consistente boost alla propria produzione, riuscendo così a consegnarli prima che il ban USA prenda effettivamente piede.
Anche perché il ban riguarderebbe perlopiù i chip a 5 e 7 nm, mentre gli ordini effettuati da Huawei comprendono SoC a 5 e 12 nm. Questo perché TSMC sarebbe ingolfata nella produzione a 7 nm, non potendo fare spazio per gli ordini d’emergenza di Huawei. Ciò significa che, una volta ultimate le scorte di SoC come Kirin 810/820, 980/985 e 990, Huawei potrebbe andare incontro a problemi di produzione.
Quella a 5 nm è al 50% delle sue capacità, permettendo la produzione delle parti che comporranno quello che sarà la famiglia Kirin 1000, compreso il Kirin 1020 che troveremo su Huawei Mate 40. Un giro d’affari che a TSMC porterà qualcosa come 375 milioni di dollari, per una media di 15.000 dollari per 25.000 wafer di chip.