L’unica arma affinché la Cina non soccomba alla guerra tecnologia contro gli Stati Uniti è rendersi più indipendente nei semiconduttori. Lo ha affermato Eric Xu, il vice-presidente di una Huawei che dopo il lancio della serie Mate 60 è tornata sotto i riflettori in tal senso, dimostrando l’apparente impotenza del ban statunitense. Per i suoi ultimi top di gamma, la compagnia è infatti tornata a prodursi microchip da sola, con un Kirin 9000S che si è posto come baluardo dell’evoluzionte cinese: ma è veramente un traguardo reale o si tratta solamente di un bluff?
E se il Kirin 9000S fosse in realtà il Kirin 9000? L’ipotesi che accusa Huawei
Se effettivamente il Kirin 9000S rappresenta un punto di svolta per la Cina, perché né Huawei né SMIC ne parlano in alcun modo? Sì, perché non potendo più farsi fabbricare i microchip da TSMC, Huawei avrebbe (condizionale d’obbligo) fatto affidamento a SMIC, il principale e più evoluto chipmaker cinese. Sul legame fra Huawei e SMIC ho scritto un lungo articolo, perciò non starò a ripetermi: vi basti sapere, però, che sin da subito la notizia ha sollevato diversi dubbi.
Così come Huawei, anche SMIC è bannata, pertanto non può avere quei macchinari litografici EUV (Extreme Ultraviolet) che permettono a TSMC, Samsung e Intel di stampare a 5 nm e oltre. SMIC è quindi ferma alla precedente tecnologia DUV (Deep Ultraviolet), che è concezione comune che non possa andare oltre i 7 nm, nodo tecnologico su cui avrebbe prodotto proprio il Kirin 9000S. I dubbi proseguono, fra addetti ai lavori che affermano che non sia veramente a 7 nm e gli Stati Uniti, fra lo scetticismo sulle capacità cinesi e le accuse di violare il ban.
Sulla scia di questa incertezza, il leaker RGcloudS avanza una teoria secondo cui il Kirin 9000S sarebbe in realtà un Kirin 9000 (seppur con qualche modifica). Il ché spiegherebbe anche il perché di nomi così simili anziché qualcosa come Kirin 9100 o comunque una nomenclatura che marchi in maniera più netta il lancio di un nuovo microchip a distanza di anni dall’ultimo modello della serie 9000.
Ricordiamo che il ban USA venne inflitto a Huawei nel maggio 2019, ma la compagnia ebbe tempo fino al 2020 di esaurire i contratti in essere con le aziende partner. Una di queste era TSMC, a cui venne affidata la produzione dell’allora ultimo microchip proprietario, il Kirin 9000 che debuttò sulla serie Huawei Mate 40. Huawei era però conscia che, da lì a poco, il ban le avrebbe impedito di proseguire la cooperazione con TSMC, pertanto mise da parte milioni di microchip come scorta nell’attesa di capire il futuro e nella speranza che il ban potesse essere prima o poi rimosso.
Col senno di poi sappiamo che ciò non è accaduto, anzi. Il leaker procede così nel fare qualche calcolo: nel 2020, TSMC stampava 140.000 wafer al mese a 6/7 nm, da 1 wafer Huawei ricavava 680 microchip, il ché significherebbe che nell’arco di qualche mese Huawei avrebbe messo da parte oltre 140 milioni di Kirin serie 9000. Alcuni di questi sono diventati i Kirin 9000/9000E utilizzati su Huawei Mate 40, Mate X2 e P50, modelli le cui vendute sono rimaste ben sotto i 140 milioni, non esaurendo le suddette scorte.
Da più parti vengono sollevati dubbi sull’effettivo tasso d’efficienza sul nodo a 7 nm di SMIC: mentre i 4 nm di TSMC e Samsung hanno un tasso del 70/80%, quello per i 7 nm di SMIC sarebbe inferiore al 20%, il ché sarebbe un duplice problema. In primis economico, perché significa che ogni 100 microchip stampati soltanto 20 sarebbero utilizzabili, anche se i 40 miliardi di finanziamenti statali potrebbero aiutare a compensare questo limite. C’è poi il problema tecnico e prestazionale: sotto il 20% sarebbe un valore troppo basso affinché il risultato sia un microchip veramente efficiente; per capirci, il tasso di Samsung per Snapdragon 8 Gen 1 ed Exynos 2200 era del 35% e sappiamo bene com’è andata.
Ma allora chi ha stampato il Kirin 9000S? Come già sottolineato nel teardown, sul Kirin 9000S si erano già lette sigle sospette, a partire da “Hi36A0“, la stessa dicitura riferita al Kirin 9000. Inoltre, “2035” confermerebbe che la produzione sarebbe avvenuta nella 35esima settimana del 2020 (fine agosto), praticamente lo stesso periodo in cui era in produzione il Kirin 9000 in vista dell’esordio su Huawei Mate 40. Mentre sul Kirin 9000 la sigla “HR138” indicava la fabbricazione in Taiwan di TSMC, sul 9000S c’è quella “CN0906” che indicherebbe invece una produzione avvenuta in Cina, il ché smentirebbe la produzione in Taiwan. Oltre a SMIC, però, anche TSMC ha un impianto in Cina, e per i più complottisti non è da escludere che la stampa sia avvenuta in Taiwan ma sotto falsa sigla.
Ma non finisce qui. In app come Device Info HW, il Kirin 9000S viene identificato come un microchip a 5 nm anziché a 7 nm; tuttavia, non esistendo informazioni ufficiali sul SoC, questo dato potrebbe risalire a un database non aggiornato che potrebbe pescare dai dati del modello precedente. Sempre secondo Device Info HW, ci sono dubbi anche sul processore, una soluzione octa-core tri-cluster: 1 core x 2,62 GHz + 3 core x 2,15 GHz + 4 core x 1,53 GHz. Per quanto inizialmente sembrava fosse un’inedita CPU 12-core, si è poi scoperto che Huawei ha raggiunto questa feature tramite un escamotage chiamato hyper threading.
A partire dal 2021, ARM ha introdotto la microarchitettura ARMv9, categoria in cui ricadono i vari core Cortex-X2, A710, A510 e successivi. Ma essendo stato apparentemente prodotto nel 2020, il processore del Kirin 9000S doveva fare affidamento alla serie ARMv8, in cui troviamo proprio i core Cortex-A77 e A55 del Kirin 9000. Lanciare nel 2023 un SoC con una CPU con core così vecchi avrebbe insospettito sulla sua effettiva natura, e quindi secondo RGcloudS Huawei avrebbe falsificato i dati della CPU.
Come rivelano gli strumenti di analisi tecnica, la CPU del Kirin 9000S è associato a tre codici: 0xD02, 0xD42 e 0xD46, sigle tecniche che indicano il modello di core ARM. Se la CPU del Kirin 9000 aveva core Cortex-A77 (0xD0D) e Cortex-A55 (0xD05), nel 2020 Huawei avrebbe ipotizzato le sigle che sarebbero state associate ai core di generazione successiva. Ma se 0xD46 fa effettivamente riferimento ai core Cortex-A510, la sigla 0xD42 è quella dei core ARM Cortex-A78AE, utilizzati non su smartphone bensì in ambito automobilistico e industriale. Quello che Huawei avrebbe dovuto fare, col senno di poi, sarebbe stato usare la sigla 0xD41 relativa ai core Cortex-A78.
Inoltre, la sigla 0xD02 non esiste nel database ARM. Scavando nella documentazione di Huawei, si scopre che fa invece riferimento ai core della CPU HiSilicon Taishan V200 realizzata proprio nel 2020 per i SoC server di Huawei. Come sottolinea il leaker, al contrario degli altri core, quelli con codice 0xD non possono essere camuffati via software perché il rispettivo valore è conservato nella memoria eFuse programmabile una sola volta e accessibile solo in lettura.
Non viene però chiarito l’aspetto legato alla GPU, che passa dalla ARM Mali-G78 MP24 del Kirin 9000 alla GPU proprietaria Maleeon 910 MP4, ma i dubbi non si esauriscono qui. Se il SoC e quindi la serie Huawei Mate 60 ne sono dotati, perché Huawei non menziona da nessuna parte il 5G? È una vicenda alquanto complessa e delicata, proprio perché interessa anche i legami fra USA e Cina, perciò siamo sicuri se ne continuerà a parlare.
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