Huawei viola il ban USA per farsi i microchip, Taiwan nega le accuse

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Crediti: Huawei

Aggiornamento 05/10: nuovi dettagli sul piano segreto di Huawei, li trovate nell’articolo.

Scatta l’allarma da parte degli Stati Uniti, dopo che Huawei starebbe costruendo diversi impianti segreti in cui produrre semiconduttori e aggirare il ban USA. Ad affermarlo è la statunitense Semiconductor Industry Association (SIA), una delle principali associazioni di categoria nell’industria dei microchip in occidente. Prima era soltanto un’ipotesi, ma adesso è ufficiale: la divisione HiSilicon dell’azienda cinese è ripartita, e a quanto pare a pieno regime, nonostante lo scetticismo statunitense.

Huawei sta costruendo impianti per microchip violando il ban USA: l’accusa dell’occidente

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Crediti: Huawei

15 maggio 2019: è questa la data X per Huawei, il giorno in cui la presidenza Trump decise di inserirla nella famigerata Entity List e di fatto estrometterla dal mercato occidentale. Il ban prevede che l’azienda non possa liberamente commerciare con qualsiasi azienda, anche cinese, che maneggia tecnologie di derivazione statunitense. Questo ha significato lo stop della produzione dei SoC proprietari Kirin, essendo impossibilitata dal farli stampare da TSMC o Samsung, oltre al non poter acquistare da aziende come ASML e Tokyo Electron i macchinari per poter farlo in autonomia.

L’alternativa cinese si chiama SMIC, ma anch’essa è stata bannata dagli USA e non ha quindi accesso ai macchinari EUV necessari per stampare sotto i 7 nm, mentre le varie Apple, Samsung, Qualcomm e MediaTek si apprestano a produrre i primi chip a 3 nm. Dopo il ban, a Huawei è stata concessa la licenza per acquistare SoC Qualcomm e MediaTek per i suoi smartphone e tablet, ma con un grosso limite: la disattivazione del 5G per sopperire ai limiti del ban, risultando meno competitiva rispetto agli altri marchi rivali. Salto in avanti ad agosto 2023, quando Huawei ha riacceso HiSilicon presentando la serie Mate 60 e tutta una serie di prodotti alimentati da soluzioni Kirin, riaccendendo le speranze della Cina.

Secondo il SIA, però, dal 2022 Huawei si è segretamente messa in azione per tornare a produrre chip, grazie anche ai circa 30 miliardi di dollari in finanziamenti da parte del governo cinese. La società di Ren Zhengfei avrebbe acquisito almeno 5 impianti, due già esistenti e 3 in costruzione, sotto il nome di altre società. Il termine “scatole cinesi” sarebbe particolarmente azzeccato, perché così facendo questi impianti potrebbero aggirare il ban e acquistare qualsiasi apparecchiatura per la produzione di chip.

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Crediti: SCMP

Huawei non ci starebbe riuscendo da sola: oltre all’aiuto del governo ci sarebbe di mezzo anche Taiwan, con diverse aziende locali che starebbero collaborando con l’azienda cinese. Fra queste ci sarebbero il rivenditore di materiali per microchip Topco Scientific, una filiale della L&K Engineering e dello specialista dell’edilizia United Integrated Services. Inoltre, la Cica-Huntek Chemical Technology ha recentemente annunciato (salvo poi cancellare la notizia dal sito) di aver vinto contratti per la fornitura di impianti chimici per i chipmaker cinesi Pensun e Pengxinwei, con la seconda che è anch’essa presente nella lista del ban americano ed entrambe che starebbero collaborando alla realizzazione dei succitati impianti Huawei.

Il coinvolgimento di Taiwan sarebbe un’anomalia potenzialmente rischiosa per la stabilità geopolitica, anche in vista delle elezioni di gennaio 2024: negli ultimi anni, la Cina ha più volte ribadito la sua intenzione di riannettere l’isola, con gli USA che sono arrivati a minacciare bombardamenti qualora ciò accadesse. Come afferma Li Jung-Shian, professore di ingegneria elettrica all’università taiwanese di Tainan, “i chip di questi impianti costruiti con l’aiuto di aziende taiwanesi potrebbero eventualmente essere utilizzati sui missili cinesi puntati su Taiwan“, aggiungendo che “il governo non prende sul serio la difesa di Taiwan se non rafforza i controlli sul sostegno delle aziende locali a Huawei“.

È arrivata la risposta di Taiwan: il ministro degli affari economici Wang Mei-hua ha annunciato che avvierà un’indagine per esaminare se le compagnie stiano conducendo le loro operazioni in Cina nel rispetto o meno delle regole statunitensi. Wang ha comunque affermato che per ora sembra che le attività svolte da Topco Scientific, Cica-Huntek Chemical Technology Taiwan, L&K Engineering e United Integrated Services riguardino soltanto progetti architetturali, chimici e ambientali relativi alle acque reflue, che quindi non violerebbero il ban in quanto non fornirebbero alla Cina tecnologie soggette al controllo delle esportazioni.

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