Huawei e SMIC, la Cina arriva ai 7 nm: traguardo reale o bluff?

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Crediti: CGTN

La serie Mate 60 è finita sulla bocca di tutti, ma questa volta non per i motivi a cui Huawei ci aveva abituato in passato. C’era una volta quella Huawei che alle fiere tech stupiva tutti con i suoi Kirin, che vantavano specifiche all’avanguardia e spesso in anticipo rispetto alla concorrenza. Microchip che resero i suoi smartphone talmente competitivi da portarla ai vertici delle classifiche mondiali, scuotendo colossi storici quali Apple e Samsung. Dal 2019, però, il ban statunitense ha compromesso tutto ciò, e le conseguenze per Huawei le conosciamo ormai bene. Pur ritrovandosi limitata da paletti difficilmente aggirabili, l’azienda cinese è comunque riuscita, assieme a SMIC, nell’impresa di realizzare un Kirin 9000S che, nonostante rappresenti un grosso traguardo tecnico, sembra anche un messaggio politico.

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Per capire la situazione bisogna fare un ripasso della storia dei semiconduttori, partendo da quegli Stati Uniti che nel 1947 inventarono i transistor e divennero il centro nevralgico dell’industria tech globale. Fu poi il turno del Giappone, che nel post-Seconda Guerra Mondiale investì nella stessa direzione, prima con i transistor di Sony e poi con le apparecchiature litografiche di Tokyo Electron, Nikon e Canon: per la prima volta, l’americana Applied Materials aveva concorrenza nella fabbricazione di semiconduttori.

Al Giappone si aggiunse la Corea del Sud, che negli anni ’90 trovò in Samsung la chiave di volta, e le due nazioni asiatiche divennero il riferimento nella produzione di memorie, attirandosi le accuse di concorrenza sleale da parte degli USA. Nel frattempo, Taiwan non stette a guardare: grazie agli aiuti di USA ed Europa (Olanda in particolare), l’isola creò la sua Silicon Valley, quell’Hsinchu Science Park da cui nacquero capisaldi odierni quali UMC, MediaTek e soprattutto TSMC. Grazie alla lungimiranza del suo fondatore Morris Chang, rivoluzionò il mondo dei semiconduttori, divenendo un crocevia di scala mondiale: se foste interessati, vi consiglio questo articolo sulla storia di TSMC.

tsmc morris chang

Morris non fu l’unica mente brillante partorita da Taiwan: potrei citare Stan Shih, Jerry Shen e Cher Wang, fondatori di Acer, ASUS e HTC, così come Robert Tsao e Tsai Ming-kai, fondatori di UMC e MediaTek. Degno di menzione è anche Chenming Hu, fra gli inventori della tecnologia FinFET che permise di passare dai transistor 2D a quelli 3D e di portare avanti l’evoluzione dei nanometri. Un’invenzione che non passò inosservata agli occhi di TSMC, che prontamente lo assunse nel 2001 come CTO.

Uno dei pupilli di Chenming fu Liang Mong-Song, figura di spicco dell’industria ma anche controversa, ottenendo il soprannome di “mercenario dei microchip” (il perché lo capirete fra poco). Così come Morris Chang prima, Liang fu uno dei cervelli in fuga che si trasferirono negli USA per entrare nel vivo dei semiconduttori. Fu alla Berkeley che ebbe Hu come professore, e grazie ai suoi insegnamenti si fece strada in AMD, dove lavorò per oltre 10 anni firmando centinaia di brevetti e paper, per poi tornare in madrepatria nel 1992 fra le fila di TSMC.

Quella di TSMC era una squadra molto solida: oltre a Morris Chang, Liang Mong-Song e Chenming Hu, poteva contare su Chiang Shang-yi (ex HP e Texas Instruments), Rick Tsai (futuro CEO di TSMC e MediaTek) e Burn-Jeng Lin, padre della litografia a immersione che sta alla base della litografia EUV (di cui parleremo più avanti). La svolta per TSMC arrivò nei primi anni 2000: pochi anni dopo la scoperta da parte di IBM nel 1997, anche Taiwan iniziò a produrre i primi microchip (a 130 nm) con connessioni del circuito in rame anziché in alluminio, un’innovazione che migliorò prestazioni, efficienza e che rese possibili ulteriori miniaturizzazioni.

Dopo il ritiro del fondatore Chang, il carattere difficile di Liang Mong-Song convinse la dirigenza di TSMC a preferirgli altre figure per guidare l’azienda. Nel 2009, quindi, Liang decise di lasciare TSMC per Samsung, scatenando una guerra legale fra i due chipmaker: TSMC fece firmare all’ex dipendente un accordo di non competitività di 2 anni, che Liang affermò avrebbe passato in semi-ritiro, fra la famiglia e l’insegnamento in Taiwan. Tuttavia, nell’ottobre 2010 ottenne una cattedra all’università sud-coreana di Sungkyunkwan, a stretto legame con Samsung.

Probabilmente non fu un caso che, proprio dal 2009, Samsung accelerò rapidamente il suo sviluppo tecnologico, passando dai 45 ai 32 ai 28 nm in soli due anni, prima persino di TSMC. Fra questi chip troviamo tutti i vari Exynos dal 2010 al 2015 che alimentarono modelli di spicco quali Galaxy da S1 a S5 e da Note 1 a Note 4, nonché i vari chip Apple da iPhone 4 a 5S. Liang smentì qualsiasi legame con la compagnia coreana, arrivando ad affermare di avere “TSMC nel sangue“, salvo poi diventare vice presidente della divisione semiconduttori Samsung Foundry allo scadere dei 2 anni, portandosi con sé un team di 10/20 ex ingegneri TSMC.

Nonostante il vantaggio di TSMC e la causa legale in corso, il lavoro di Liang permise a Samsung di saltare direttamente dai 28 ai 14 nm, il ché convinse Qualcomm a lasciare TSMC e passare a Samsung. Fra i primissimi SoC Qualcomm prodotti in Corea del Sud ci furono gli apprezzati Snapdragon 820 e 821 visti su Samsung Galaxy S7, Google Pixel, LG G6 e V20, HTC 10, Xiaomi Mi 5 e MIX, OnePlus 3 e 3T, LeEco Le Max 2 e Le Pro 3, ZUK Z2, Nubia Z11 e altri ancora.

La posizione di quasi-monopolio di TSMC era a rischio: dopo aver perso Qualcomm c’era in ballo anche Apple, che sin dal primo iPhone faceva realizzare i suoi microchip da Samsung. Nel 2014, TSMC ottenne il primo incarico, quando l’Apple A8 di iPhone 6 e 6 Plus venne realizzato dagli impianti taiwanesi. Ma il successo tecnico di Samsung non passò inosservato, e l’anno successivo decise di affidare la produzione dell’Apple A9 sia a TSMC che a Samsung. Avvenne però qualcosa di imprevisto: anche se il chip Samsung vantava un processo più evoluto (14 nm anziché 16 nm), quello di TSMC era più efficiente, scaldava meno ergo più autonomia. Da allora, tutti i chip vennero affidati esclusivamente a TSMC, anche per evitare che una diretta rivale come Samsung potesse ottenere le sue “ricette segrete”.

Un avvenimento che si legava alla causa legale in corso: il tribunale aveva dato ragione a TSMC proibendo a Liang di lavorare per Samsung fino al 2015. Senza la sua direzione, la compagnia sud-coreana perse il vantaggio l’accordo con Apple contro una più competitiva TSMC. Negli anni successivi, anche l’accordo con Qualcomm venne meno: nel 2019, i vari Snapdragon 855, 860, 865 e 870 vennero fabbricati da TSMC, oltre al fallito tentativo di tornare da Samsung con i poco riusciti Snapdragon 888 e 8 Gen 1.

In tutto ciò, che posizione aveva la Cina? Pur essendo la fabbrica mondiale dell’elettronica, non ha mai preso piede nella fabbricazione dei semiconduttori. Se Giappone, Sud Corea e Taiwan ci sono invece riuscite, è anche grazie ai rapporti più amicali con USA ed Europa, che le ha messe in grado di interfacciarsi con un mercato globalizzato, che si parli di acquisire brevetti, talenti o avere rapporti fra aziende di settore. Se TSMC è nella posizione in cui è oggi, è anche e soprattutto merito del forte legame con l’Olanda, che in passato fu una delle nazioni che più investì nell’isola tramite la famiglia Philips (sì, quei Philips). E chi c’è in Olanda? Esatto, ASML, l’azienda che produce i macchinari litografici senza cui nessun chipmaker può stampare sotto la soglia critica dei 7 nm.

asml

E qua ci ricolleghiamo al Kirin 9000S, che i teardown hanno scoperto essere fabbricato proprio a 7 nm: ma da chi? Per ora non abbiamo informazioni ufficiali, dato che né Huawei né HiSilicon (la sua divisione microchip) ne hanno parlato pubblicamente, ma dato che il ban USA le inibisce dall’avere a che fare con TSMC e Samsung, l’unica opzione plausibile è che la produzione sia da attribuire a SMIC. È il principale chipmaker cinese, fondato nel 2000 da Richard Chang, considerato il “padre dei semiconduttori” della Cina: come i suddetti talenti taiwanesi, anche Zhang completò gli studi negli USA, e come Morris Chang lavorò per Texas Instruments, al fianco di figure come il premio Nobel Jack Kilby, uno dei creatori del circuito integrato.

La Cina sapeva di dover rimediare al divario tecnologico che intercorreva fra lei e le nazioni leader nei semiconduttori, e convinse quindi Richard a tornare in Cina e fondare SMIC, azienda che avrebbe avuto pieno sostegno statale per guidare la nazione verso una posizione più di rilievo nella produzione di microchip. In precedenza, la Cina aveva investito in realtà quali Hua Hong e Grace Semiconductor, senza ottenere particolare successo al di fuori dei propri confini. SMIC era invece riuscita a posizionarsi in maniera più incisiva, divenendo il produttore #1 in Cina. Il trucco? Reclutare i più talentuosi dipendenti TSMC e UMC. Inevitabilmente, nel 2005 iniziarono gli scontri con TSMC, che vinse una causa legale che prevedeva 175 milioni di risarcimento e lo stop all’uso dei brevetti violati. Le penali non furono però rispettate da SMIC, che oltre a beccarsi una più salata multa da 200 milioni si vide il fondatore bannato da SMIC per 3 anni.

I problemi per SMIC non erano finiti lì: il suo successo fu ispiratore per tante altri piccoli chipmaker, che ben presto saturarono il mercato cinese dei microchip finendo per danneggiarlo. Ma soprattutto, SMIC non era ancora riuscita a raggiungere quel grado tecnologico che le potesse permettere di competere con nomi quali TSMC e Samsung. Il risultato furono le dimissioni del fondatore Richard Chang e un costante rimpasto della dirigenza: nel 2015, dopo vari cambi di nome, SMIC assunse come presidente Zhou Zixue, ex direttore del Ministero dell’Industria Elettronica. Una mossa che consolidò ulteriormente la presenza in SMIC del governo cinese, che nel 2016 decise di fare un importante passo: assumere due ex leader di TSMC, cioè Chiang Shang-yi e Liang Mong-Song.

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Ed è così che la storia si ripete: dopo aver portato Samsung a competere con TSMC, il tocco di Liang inizia a farsi sentire anche dentro SMIC. A capo di un team R&D composto 2.000 ingegneri, riesce nuovamente nell’impresa: prima nel 2014 con i 28 nm, ottenendo persino il primo (e a oggi unico) incarico di Qualcomm per lo Snapdragon 410, poi passando ai 14 nm nel 2019 e infine ai 7 nm nel 2022. La prima generazione a 7 nm venne chiamata N+1 e debuttò nel luglio 2022 con i primi MinerVa Bitcoin Miner, una tipologia di SoC più facile da realizzare rispetto per esempio ai SoC per smartphone.

Di per sé, potrebbe non sembrare una grossa notizia, considerato che i primi SoC a 7 nm arrivarono 4 anni prima, quando nel 2018 Apple A12 Bionic debuttò nella serie iPhone XS. Tuttavia, va fatta un’importante considerazione: con l’introduzione dei 7 nm e successivamente dei 5 nm, chipmaker come TSMC, Samsung e Intel hanno fatto necessariamente affidamento alla tecnologia litografica EUV (Extreme Ultraviolet). Rispetto alla precedente tecnologia DUV (Deep Ultraviolet), il nuovo standard permise di miniaturizzare ulteriormente i transistor, sfruttando luci con lunghezza d’onda da 13,5 nm, 14 volte più corta della luce usata nel processo DUV. Per creare una luce così estrema, viene usato un laser al plasma che colpisce delle minuscole gocce di stagno fuso grosse 25 micron che vengono sparate a 70 m/s. Un processo che viene ripetuto per 50.000 volte al secondo.

Vien da sé che i macchinari EUV siano particolarmente complessi da operare nonché costosissimi (oltre 100.000$ l’uno), pertanto per poter funzionare efficacemente possono essere compresi e utilizzati solo da chipmaker di alto livello. E in Cina l’unico in grado sarebbe stato SMIC, se non fosse che la tecnologia EUV è esclusiva di ASML (almeno per ora) e che gli Stati Uniti hanno bannato SMIC impedendole di acquistare quei macchinari. Ciò ha spinto SMIC a concentrarsi per riuscire nell’impresa di stampare chip a 7 nm con il vecchio metodo DUV, ed evidentemente c’è riuscita. Prima con le macchine per minare bitcoin e adesso con il Kirin 9000S, realizzato sul nodo produttivo 7 nm N+2 di 2° generazione.

huawei mate 60 pro kirin 9000s
Crediti: Bloomberg

Come anticipato, il taiwanese Burn-Jeng Lin fu uno dei principali fautori della litografia a immersione, senza cui non esisterebbe la litografia DUV ed EUV, ed è del parere che SMIC possa produrre chip a 5 nm DUV. Il problema non è tanto se sia possibile farlo, quanto se convenga farlo. Come fa presente l’insider Revegnus, oggi la litografia EUV può essere sostituita da due tecniche: Self-Aligned Double Patterning (SADP) e Litho-Etching-Litho-Etching (LELE). Ma se la stampa EUV di TSMC richiede solo 10 passaggi per stampare linee sottili, fare altrettanto con SADP o LELE richiederebbe migliaia di passaggi, il ché rende la stampa DUV sotto i 7 nm qualcosa di quasi impossibile sia tecnicamente che economicamente.

Queste problematiche si rifletterebbero anche nel Kirin 9000S, che secondo gli esperti sarebbe stato realizzato da Huawei e SMIC più per necessità che per avanzamento tecnologico. I teardown eseguiti sul SoC HiSilicon mostrano un microchip dalla superfice di 107 mm2, un aumento del +2% rispetto ai 105 mm2 del Kirin 9000/9000E, che ricordiamo venne realizzato da TSMC non a 7 ma a 5 nm. Insomma, SMIC è riuscita a inserire CPU, GPU, NPU, TPU, ISP, DSP, modem 5G e così via in un SoC a 7 nm che è però più grande di uno a 5 nm, a ennesima dimostrazione delle bugie del marketing attorno ai nanometri.

Detto questo, i benchmark mettono il Kirin 9000S al pari di chip vecchi di anni come lo Snapdragon 888, per non parlare della GPU Huawei Maleoon 910: è la prima GPU proprietaria di Huawei, ma proprio per la sua scarsissima diffusione non è ottimizzata e presenta bug grafici con giochi come Genshin Impact; una situazione simile a Samsung, che con il suo Exynos 2200 introdusse la GPU proprietaria Xclipse 920, sulla carta piuttosto potente ma poi scarsamente ottimizzata con i titoli in circolazione.

Senza contare le problematiche produttive: secondo gli addetti ai lavori, i 7 nm DUV di SMIC sarebbero 100 volte più costosi dei 7 nm EUV di Samsung, avendo un’efficienza produttiva inferiore al 50%, per alcuni di soltanto il 15%: in poche parole, ogni 100 SoC stampati soltanto 15 sarebbero utilizzabili. Per paragone, l’efficienza di TSMC e Samsung si aggira attorno al 70/80% sul più avanzato nodo a 4 nm. Secondo DigiTimes, se SMIC volesse produrre a 5 nm DUV la resa scenderebbe a una sola cifra, compromettendo gravemente la redditività dell’azienda. Vien da sé che Huawei e SMIC sarebbero in grado di farlo soltanto grazie al sostegno del governo cinese, che di recente ha avviato un programma da 40 miliardi per finanziare l’industria cinese dei semiconduttori, oltre alle centinaia di milioni investiti negli anni passati direttamente in SMIC.

SMIC potrebbe migliorare la resa produttiva del suo nodo N7+2 non solo grazie al sostegno dello stato ma anche di Huawei, con una partnership che si prospetta possa segnare vendite per decine di milioni di smartphone. La realtà dei fatti è che Huawei sta preferendo perdere in competitività, con SoC proprietari meno potenti della controparte Qualcomm, e investire in un futuro incerto e fragile ma che potenzialmente potrebbe rimetterla in una posizione di leadership e allo stesso tempo portare la Cina in prima linea nell’industria dei semiconduttori.

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