Come sottolinea Counterpoint Research, nel corso del Q1 2022 Xiaomi è riuscita a superare la soglia dei 500 milioni di smartphone attivi, traguardo raggiunto unicamente da Samsung e Apple. Ma seppure il suo marchio sia ormai riconosciuto a livello globale e le vendite continuino a crescere, non si può dire lo stesso per gli incassi. Se si guarda allo scorso anno finanziario, Xiaomi ha sì registrato un aumento degli utili, ma allo stesso tempo c’è un trend che quasi contraddice questi numeri.
Da un’azienda con oltre 500 milioni di smartphone di base installata ci si aspetterebbe un graduale aumento dei profitti, ma così non è, anzi. Secondo gli studi di Counterpoint Research, gli incassi si stanno rivelando inversamente proporzionali alle vendite: in poche parole, più smartphone vengono venduti e più calano gli incassi. Forse vi ricorderete che nel 2018 Lei Jun ribadiva la volontà di non superare il 5% di profitto derivante dall’hardware di Xiaomi. Un concetto ribadito anche negli anni successivi, con la dirigenza che ha evidenziato come i margini siano pressoché nulli quando si parla di vendita di prodotti fisici.
Il motivo è presto detto: sin dalla sua nascita, Xiaomi si è definita una “internet company”, il cui obiettivo è fare profitto principalmente sui mercati digitali anziché fisici. Lo dimostra la storia della MIUI, un’interfaccia nata per veicolare i servizi Xiaomi a una platea quanto più ampia possibile. Nella testa di Lei Jun, quindi, i guadagni provengono dalla MIUI e non dalla vendita di smartphone. Ma se si osserva l’andamento da inizio 2020 a fine 2021, il ricavo medio per utente (ARPU) è progressivamente calato anziché aumentare, nonostante i succitati risultati di vendite.
Per certi versi, è come se l’espansione all’estero di Xiaomi la stesse penalizzando in termini di profitti. Se si guarda alla Cina, il valore ARPU di Xiaomi è molto più alto rispetto al resto del mondo. Questo perché in Cina, complice anche e soprattutto l’assenza di servizi Google e simili, l’utenza è più prona a comprare servizi digitali da compagnie come Xiaomi. La divisione asiatica può contare su servizi quali abbonamenti cloud e servizi di streaming, nonché un app store proprietario e relative transazioni. Per non parlare della pubblicità, che se in Europa sta progressivamente sparendo, in Asia continua a essere un cardine dei profitti. Stando a Xiaomi, l’80% delle entrate digitali arrivano dalla Cina, in particolar modo dalle inserzioni pubblicitarie.
Inoltre, l’altro problema di Xiaomi riguarda il posizionamento di mercato: se si guarda la top 10 degli smartphone più venduti, la classifica è dominata da Apple, a cui seguono Samsung e Xiaomi. Ma se l’azienda di Cupertino può vantare un catalogo composto da prodotti premium, le aziende Android continuano a essere il riferimento per il mercato low-cost. E si sa, su smartphone così economici il profitto è molto basso per ovvie ragioni di costi da sostenere. Xiaomi sta provando a imporsi nel settore premium, come dimostra la creazione di sub-brand come Redmi e POCO dedicati ai prodotti più economici. Ma la realtà è che, di tutte le vendite di smartphone, oltre il 70% è a marchio Redmi e quelli a marchio Xiaomi sono meno del 20%.
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