Finora, Huawei è stata l’unica compagnia cinese che fra i produttori di smartphone hanno subito la scure del ban statunitense. Gli effetti della decisione dell’allora governo Trump si sono fatti sentire, ma forse non tutti sanno che anche Xiaomi era finita nel mirino delle autorità statunitensi. In precedenza, il programma Clean Network prometteva di mettere in blacklist alcuni dei principali brand cinesi come Xiaomi, OPPO e vivo, ma solamente quello di Lei Jun finì per essere concretamente bannato. E proprio mr. Jun ha recentemente raccontato di come ciò portò alla nascita di Xiaomi Auto.
Xiaomi SU7, l’ingresso nel mondo delle auto è avvenuto a seguito del ban americano
Pochi giorni fa si è tenuta la presentazione di SU7 Ultra, su un palco in cui Lei Jun e la sua dirigenza hanno parlato per circa 3 ore, fra un prodotto e l’altro. A inizio conferenza, il patron di Xiaomi si è preso il suo spazio per un discorso annuale in cui, fra i vari argomenti toccati, ha parlato del processo che ha portato alla nascita della divisione automobilistica che ha partorito l’ormai nota gamma SU7.
Assieme ad altri sei colleghi in quel di Pechino, Lei Jun fondò Xiaomi nel 2010, e da allora ha rapidamente scalato le gerarchie globali nell’industria degli smartphone. La sua storia la conosciamo molto bene, un percorso fatto di innumerevoli successi che l’hanno portata a sbarcare anche in occidente, per quanto il suolo statunitense non sia mai stato approcciato ufficialmente se non con qualche accessorio in maniera molto sporadica.
Il perché è presto detto: gli USA non vedono di buon occhio le compagnie cinesi, e lo dimostra il fatto che nel gennaio 2021 un’amministrazione Trump in procinto di lasciare la Casa Bianca decise di inserire Xiaomi in blacklist a causa di presunti legami con l’esercito cinese, il cosiddetto Esercito Popolare di Liberazione. Il principale limite di tale scelta era l’impedimento a qualsiasi individuo o società statunitense di investire in Xiaomi.
Pochi mesi dopo, però, la stessa Corte distrettuale degli Stati Uniti nel distretto di Columbia votò in favore di Xiaomi, negando i presunti legami militari, revocando il ban e riportando la situazione alla normalità. Tutto è bene ciò che finisce bene, ma in quei mesi in casa Xiaomi si è temuto il peggio. Lo ha raccontato Lei Jun al succitato evento, spiegando che la reazione alla notizia del ban USA portò a una riunione urgente del consiglio d’amministrazione di Xiaomi, durante cui si cercò di capire come procedere da lì in avanti.
Nonostante ci fossero tutti i presupposti affinché il ban venisse rimosso, iniziarono a temere che il mercato degli smartphone rischiasse di essere compromesso oltremodo dalla delicata situazione venutasi a creare fra USA e Cina. Al punto da rischiare di abbattere Huawei, che seppur sia una diretta rivale rappresenta anche una bussola per l’intero mercato tech cinese: se un gigante come Huawei può essere annullato dal ban, quanto ha senso investire ancora così tanto solamente nella telefonia?
Fu allora che Lei Jun rimise in discussione il futuro della sua Xiaomi, decidendo che strada percorrere da lì in avanti. Uso la parola “strada” non a caso, perché è stato proprio in quel periodo non facile, precisamente nel marzo 2021, che annunciò di voler entrare nel settore automobilistico. Lei Jun optò per rifiutare di utilizzare capitale di rischio, preferendo invece investire 10 miliardi di dollari nell’arco di 10 anni, con l’obiettivo di diventare
Lei Jun, 54 anni, ha fatto sapere che questo sarà “l’ultimo grande progetto imprenditoriale” della sua vita. E come accadde con gli smartphone, la partenza è in perdita, con un modello come SU7 che viene venduto in rimessa a un prezzo che parte da 215.900 CNY, circa 27.500€; per ricordare, ad agosto 2011 venne presentato uno Xiaomi Mi One che costava solamente 199$, dando via al trend del flagship killer che avremmo poi conosciuto meglio con OnePlus.
E mentre Apple dà l’addio al suo progetto auto, Xiaomi SU7 macina vendite: finora ne sono state consegnate oltre 30.000 unità, con l’obiettivo di raggiungere quota 120.000 entro fine anno. E mentre all’orizzonte si iniziano a intravedere il primo SUV elettrico e un’ibrida low-cost, USA ed Europa alzano i dazi sulle auto cinesi.
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