Nel vasto panorama dell’innovazione, pochi settori hanno suscitato tanto entusiasmo quanto quello dei gadget basati sull’intelligenza artificiale. Progetti come Humane AI Pin e Rabbit R1 si sono presentati come avanguardistici tentativi di ridefinire la nostra interazione con la tecnologia, promettendo un futuro in cui l’AI diventerà un compagno indispensabile nella nostra vita quotidiana. Ma dietro le luci della ribalta e le ambizioni dichiarate, entrambi i progetti sono culminati in un fallimento che solleva interrogativi. Questi episodi non sono solo una delusione per i visionari che li hanno sostenuti, ma anche un segnale d’allerta per l’intero settore tecnologico, costretto a confrontarsi con i limiti reali e le sfide complesse di un futuro in cui le promesse di innovazione non sempre si traducono in successi concreti.
Humane Ai Pin voleva sostituire lo smartphone, ma a che prezzo? Piuttosto salato
Partiamo dal progetto che sin da subito ha attirato un certo grado di attenzione. Questo perché Humane venne fondata nel 2018 da due personalità ben note nel settore tecnologico: sto parlando di Imran Chaudhri e Bethany Bongiorno, ex membri chiave di Apple che possono fregiarsi di aver partecipato alla creazione del primo iPhone ma anche iOS, Mac e macOS, iPad e iPadOS ed Apple Watch. Da due menti del genere era lecito aspettarsi qualcosa di memorabile, al punto di tirar su in pochi anni un’azienda da 200 dipendenti che ha ricevuto attorno ai 250 milioni di finanziamenti e che ha ottenuto partecipazioni di leader del mercato quali Qualcomm, Microsoft e OpenAI.
È nel 2023 che si inizia a parlare pubblicamente di Humane Ai Pin, e sin da subito si capì che il percorso intrapreso dalla compagnia sarebbe stato poco ortodosso rispetto agli standard del mondo tech. Imran lo mostrò parzialmente per la prima volta sul palco di un TED Talk, poi il suo design venne rivelato alla Fashion Week parigina e infine a novembre venne ufficialmente presentato. Il prezzo? Ben 699$ a cui aggiungere 24$ di abbonamento mensile per accedere all’infrastruttura cloud senza cui non funzionerebbe l’intelligenza artificiale al suo interno. E già qui molti storsero il naso all’idea di comprare un dispositivo che ambisce a essere rivoluzionario ma che senza connessione dati finisce per diventare un costoso fermacarte.
Tralasciando il fatto che fra la presentazione e l’arrivo sugli scaffali fossero passati 6 mesi e che i problemi di produzione ne fecero slittare il lancio di 1 mese, fece discutere che il Time lo avesse messo fra le migliori 200 invenzioni del 2023 senza che fosse ancora stato presentato e senza averlo provato, considerando che i co-presidenti del Time fossero fra gli investitori di Humane. Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si iniziò a capire a gennaio 2024, quando Humane dette via ai primi licenziamenti ancor prima che Ai Pin arrivasse sul mercato. Forse la dirigenza aveva iniziato a percepire che il rischio flop fosse dietro l’angolo, quando ad aprile si sarebbe aperto il vaso di Pandora non appena sarebbe arrivato nelle mani dei recensori, pronti a svelare al mondo intero se tutto quell’hype avesse senso.
Senza tanti giri di parole, Humane Ai Pin si è rivelato un disastro. Autonomia scarsissima, display con proiezione laser poco visibile e inutilizzabile all’aperto, grossi problemi di surriscaldamento (al punto da usare impacchi di ghiaccio per raffreddare Ai Pin prima di mostrarli agli investitori) e l’assenza di funzionalità basiche come mail, sveglie e promemoria che su un prodotto che vorrebbe sostituire lo smartphone sono impensabili. Ma soprattutto un’intelligenza artificiale ben al di sotto delle aspettative. Oltre a un’eccessiva lentezza nel dare le risposte, anche a causa del doversi rivolgere alla piattaforma cloud, l’AI di Humane finisce per dare risposte sbagliate e risultare inaffidabile, il ché non è poco per quella che dovrebbe essere la sua funzionalità chiave. E non aiuta il fatto che si sia scoperto che batterie e custodie siano talmente difettose da essere a rischio incendio.
Il risultato è un gadget talmente controverso da venire definito “frustrante da usare” dallo stesso capo ingegnere di Humane. Humane prevedeva di venderne 100.000 unità ma in realtà ne ha piazzate soltanto 10.000 unità e non è da escludere una certa percentuale di resi. In un solo mese, Humane passò dall’esordire sul mercato a cercare un acquirente per una valutazione fra 750 milioni e 1 miliardo di dollari. Per il momento, sembrerebbe che HP sia quello più papabile, una compagnia che non sarebbe nuova a dubbie acquisizioni del genere: nel 2010 acquistò per 1,2 miliardi la storica Palm e il suo sistema operativo webOS con l’obiettivo di competere con Apple e Google, salvo poi cessare la produzione di Palm e cedere webOS a LG.
Rabbit R1 non solo è un flop, ma l’azienda che ci sta dietro ha nascosto truffe passate
A differenza dei 699$ chiesi da Humane per il suo Ai Pin, Rabbit scelse una strada più democratica con il suo Rabbit R1, che per molto meno (199$) prometteva anch’esso di prendere il posto dello smartphone. E infatti le vendite sono andate decisamente meglio, anche se risulta difficile parlare di 130.000 unità come di un grande successo commerciale per un prodotto che vuole cambiare per sempre il paradigma del telefono.
Realizzato in partnership con Teenage Engineering, Rabbit R1 è stato ideato da Jesse Lyu Cheng, personalità molto meno nota al grande pubblico rispetto ai due ex Apple di Humane. E forse è stato meglio così per l’azienda, visto che le indagini dello youtuber Coffezilla hanno rivelato che mr. Cheng era tutt’altro che nuovo al mondo della tecno-fuffa. Prima di chiamarsi Rabbit Inc, sotto il nome di Cyber Manufacturing Co aveva raccolto attorno ai 6 milioni di dollari per la realizzazione di GAMA, uno dei tanti progetti a tema criptovalute ed NFT che si sono poi rivelati essere delle vere e proprie truffe ai danni dei finanziatori. Non c’è da sorprendersi del suo abbandono e del conseguente cambio di nome due mesi prima del lancio di Rabbit R1 per evitare che l’ira dei truffati si riversasse verso il nuovo progetto.
E se prima le buzzword di turno erano criptovalute ed NFT, adesso l’intelligenza artificiale ha preso il loro posto in quanto considerata la “next big thing” del mercato dell’elettronica. Nacque così un Rabbit R1 che, vuoi per il prezzo sensibilmente più basso, vuoi per un form factor con display più vicino a quello tipico degli smartphone, attirò a sè l’attenzione di molti tech addicted. Ma è bastato che arrivasse nelle mani dei recensori per veder ripetersi quanto accaduto con Humane Ai Pin.
Di per sé il form factor elimina alcune delle problematicità del suddetto competitor come il display proiettato via laser, ma il fatto che nel 2024 ci sia un display ma non sia touch è già una squalifica importante. Anche qua l’autonomia è decisamente insufficiente e – indovinate un po’? – l’intelligenza artificiale di Rabbit non fa una frazione di quanto promesso, sia perché mancano molte funzioni che ci si aspetterebbe fossero presenti, sia perché quelle che ci sono funzionano molto male.
Se tutto ciò non bastasse, a una più attenta indagine si è scoperto che la domanda “ma non potrebbe essere un’app Android?” aveva senso, perché Rabbit R1 è praticamente una costosa scatola che contiene un software che tecnicamente può essere installato su qualsiasi smartphone Android. Aggiungiamoci poi i gravi problemi di sicurezza riscontrati, come l’utilizzo di chiavi API che permettevano a chiunque di accedere alle richieste fatte, anche quelle contenenti dati privati e sensibili, o il fatto che dati e conversazioni vengano salvati permanentemente su R1, con evidenti rischi per i dispositivi smarriti o rubati.
A differenza di Humane, con Rabbit non si parla ancora di una possibile cessione, forse anche alla luce delle attività a dir poco problematiche del suo fondatore che probabilmente non ispirano grande fiducia nei potenziali acquirenti. In entrambi i casi, siamo dinnanzi a sfortunate parabole che confermano ancora una volta quanto sia difficile estirpare le radici che gli smartphone e le loro comodità hanno affondato nelle nostre vite. E questi fallimenti non fanno che accrescere la disillusione riguardo alla capacità dei gadget AI di rispondere alle reali necessità delle persone. Le promesse di innovazioni rivoluzionarie si scontrano con la dura realtà del mercato, nel mentre gli smartphone AI continuano a macinare vendite.
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