Una recente ricerca effettuata dall’Università di Edimburgo e dal Trinity College di Dublino si concentra sulla questione della privacy e degli smartphone Android cinesi: nel mirino ci sono Xiaomi, OPPO, OnePlus e Realme, con una mole enorme di dati personali raccolti senza il consenso degli utenti. Si tratta di un rischio anche per noi occidentali? Proviamo a fare chiarezza sulla questione.
Xiaomi, OPPO, OnePlus, Realme spiano gli utenti cinesi?
Sappiamo bene che la Cina rappresenta il più grande mercato di smartphone al mondo: il paese è la culla di alcuni tra i principali brand, marchi dal nome ormai altisonante, conosciuto per il rapporto qualità/prezzo imbattibile. Xiaomi, OPPO, OnePlus e Realme sono ormai entranti nella quotidianità di tantissimi utenti e con la recente questione di Huawei (e i suoi problemi con gli USA) in tanti si pongono domande sul rispetto della privacy da parte di queste compagnie.
Partiamo direttamente da una conclusione: no, gli smartphone cinesi rilasciati in occidente non spiano gli utenti. I produttori devono necessariamente rispettare leggi e limiti imposti dai governi dei mercati in cui operano, quindi i dispositivi Global sono realizzati sulla base degli standard occidentali.
Lo studio dell’Università di Edimburgo e del Trinity College di Dublino fa riferimento al mercato cinese e agli smartphone cinesi venduti in patria. I dispositivi in questione arrivano con a bordo un elevato numero di applicazioni di sistema; inoltre ci sono tante app preinstallate e vengono richiesti permessi ed autorizzazioni fino a 8 o 10 volte di più rispetto alle controparti internazionali.
Le app di sistema e quelle autorizzate raccoglierebbero ed invierebbero dati sensibili relativi al dispositivo, alla posizione, al profilo dell’utente e così via. Anche non mettendo la spunta all’analisi dei dati personali e non facendo affidamento sul cloud (o altri servizi di terze parti) gli smartphone continuerebbero ad inviare informazioni.
Tra queste ci sarebbero le coordinate GPS, i dettagli univoci del dispositivo, la cronologia di chiamate ed SMS, numeri di telefono e tanto altro ancora. Come abbiamo sottolineato anche in apertura, lo studio fa riferimento agli smartphone venduti in Cina, con versioni di Android personalizzate.
Ovviamente il motivo dietro ciò riguarda la stretta relazione dell’industria privata con il governo cinese. Ogni cittadino ha un ID proprio, legato al numero di telefono; di conseguenza questo tipo di tracciamento è l’ideale per conoscere spostamenti ed altre informazioni fondamentali.
Per quanto riguarda i principali store cinesi che vendono smartphone importati, solitamente i dispositivi vengono “ripuliti”: si procede con l’installazione dei servizi Google e del Play Store e dove possibile viene flashata la ROM internazionale.
Comunque, è bene tenere a mente che questi studi vanno presi con cautela: il caso eclatante della Lituania (principalmente Xiaomi è finita nell’occhio del Centro Sicurezza Informatica del paese) ne è un esempio lampante. Quindi ricordiamo ancora una volta che il report di cui parliamo si riferisce ai terminali con software cinese, venduti in patria.
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