Editoriale – Huawei vs USA: è arrivato il momento di schierarsi

huawei donald trump xi jinping

Faccio il blogger ormai da diversi anni e di situazioni spinose in ambito tech ne ho vissute (e scritte) non poche. Tuttavia, analizzando la bigger picture, spesso mi accorgo di come la quasi totalità di queste riguardi un pubblico piuttosto ristretto. Basti pensare al caso LeEco, di cui si è parlato in lungo e largo sui nostri lidi, anche in maniera accesa. Ma detto inter nos, quante persone comuni hanno mai sentito parlare di LeEco? Ecco. Al contrario, è stato qualche sera fa che ho captato che la questione Huawei vs USA fosse più grossa di quanto poteva essere percepita inizialmente. Certo, sin da subito si intuiva che non si trattasse di una vicenda di poco conto, ma è stato per via dei miei nonni che ho realizzato ciò che stava realmente accadendo.

È un giovedì sera come un altro quando vengo invitato da loro per una pizza. Ci sediamo, ordino una cotto e stracchino e, fra una chiacchiera e l’altra, salta fuori l’argomento. “Al tg hanno detto che ora i telefoni Huawei non si aggiornano più!” esclama mio nonno, frase a cui segue una serie di esternazioni più o meno corrette sull’accaduto. Li lascio parlare un po’ e poi dico la mia opinione, basata su tutte le notizie uscite fino a quel momento, da me seguite con vivo interesse. Ma è stato in quel momento in cui mio nonno, non propriamente la persona più geek in circolazione, si è espresso che ho capito che la cosa era più grande del previsto.

Ed è proprio da questo scambio in pizzeria che è nata la volontà di scrivere questo editoriale. Un editoriale che sarà quanto più oggettivo possibile, anche se non mancherà un punto di vista personale sulla situazione, augurandomi che generi una discussione costruttiva con voi nei commenti. Oggi come non mai mi sento coinvolto da un caso che non riguarda più soltanto me e te, amanti della telefonia cinese e non, ma che coinvolge tutto il mondo. Nonni compresi.

huawei logo

Huawei vs USA: il punto della situazione

Facciamo un passo indietro e torniamo al 20 gennaio 2017. Data che per molti di voi potrebbe non dire molto, ma che rappresenta, dopo una a dir poco turbolenta campagna elettorale, la salita alla presidenza di Donald Trump. Ci tengo sin da subito a premettere che questo non sarà un editoriale a stampo politico, pertanto cercherò di attenermi quanto più possibile ai fatti più che alle sensazioni. Fatta questa premessa, se si analizza il programma elettorale dell’amministrazione Trump, si può notare una certa chiusura nei confronti del resto del mondo. Soprattutto verso la Cina, da sempre nazione culturalmente e socialmente distante dagli USA.

Senza stare ad entrare nei meriti della questione, in questo clima non propriamente pacifico è presto nata una vera e propria guerra commerciale combattuta a suon di dazi. Da inizio 2018 sono iniziati gli aumenti delle tariffe di importazione su 60 miliardi di dollari di import sui prodotti cinesi. Il piano prevede aumenti su circa 1300 prodotti esportati dalla Cina. Il motivo? “Decenni di furti di proprietà intellettuale“, afferma il governo americano. Furti che avrebbero contribuito alla crescita del deficit e, più in generale, alla crisi industriale. Come prevedibile, da una decisione così impattante è presto nata un’escalation di dissidi commerciali, che adesso non starò qua ad elencare.

Perché questa diffidenza verso Huawei?

Ciò che preme maggiormente a questo punto è la motivazione portata avanti dagli USA. La quale può essere riassunto in una concisa quanto potenzialmente velenosa frase: la Cina spia e ruba. E dato che stiamo parlando di Huawei, possiamo restringere la frase proprio all’azienda in questione. Ma quanto c’è di vero in un’affermazione così forte? Fu nel febbraio 2018 che finirono sotto i riflettori i dubbi da parte dell’intelligence USA sotto l’amministrazione Trump. Il gruppo formato principalmente da FBI, CIA ed NSA esplicitò la propria posizione, riassunta nelle seguenti dichiarazioni del direttore FBI Chris Wray:

Siamo profondamente preoccupati dei rischi derivanti dal permettere a qualsiasi azienda, in debito con governi stranieri che non condividono i nostri valori, di guadagnare una posizione di potere nelle nostre reti di telecomunicazione. Ciò fornisce la capacità di esercitare pressioni o controllo sulla nostra infrastruttura di telecomunicazioni. Nonché la capacità di modificare in modo maligno o sottrarre intenzionalmente informazioni. E ciò rende possibile condurre un’attività di spionaggio non rilevata.

Qua le parole chiave sono due: “rischi” e “valori“. Secondo tali affermazioni sembrerebbero che non si stia parlando di vere e proprie prove tangibili, ma di eventualità che deriverebbero da una posizione socio/culturale differente. Come detto poco fa, i dissidi fra USA e Cina sono sempre esistiti storicamente, e la presidenza Trump non ha fatto altro che ri-alimentarli.

cina spia

In realtà questa questione parte ancor prima, ovvero nel 2002, quando Cisco accusò Huawei di aver rubato loro codici sorgente dei propri router. Successivamente, nel 2010 anche Motorola portò Huawei in tribunale ed in ambo i casi il tutto finì con risarcimenti da parte della compagnia cinese. Ma è nel 2012, sotto la spinta dell’allora governo Obama, che Huawei finisce ufficialmente nella blacklist americana, con i principali operatori che decisero di non averci niente a che fare. Da qui il motivo per cui i telefoni Huawei non hanno mai avuto mercato in USA, dove la maggior parte dei telefoni viene venduta proprio tramite operatore.

Dopo anni di silenzio, è nel 2018 che si torna a parlare delle accuse verso Huawei. Si fa ancora un passo indietro, però, ovvero al 2014, quando Huawei fu accusata da T-Mobile di furto di segreti industriali. La causa venne nuovamente persa da Huawei, con conseguente risarcimento. Ed infine torniamo al febbraio 2019, con l’ennesima accusa di furto di proprietà intellettuale ai danni di Akhan Semiconductor.

Ren Zhengfei: eroe o nemico pubblico #1?

Altro elemento importante in questa intricata vicenda è la vera e propria radice di Huawei, la quale risponde al nome di Ren Zhengfei. Sin da giovane coltiva la propria carriera all’interno del governo cinese. Non tanto per scelta propria, quanto per necessità, come da lui affermato successivamente. “Erano gli anni ’60, in Cina c’era il caos della Rivoluzione Culturale e della povertà. Ero un ingegnere e finii per essere arruolato per far funzionare una fabbrica di tessuti gestita dai militari.” Una posizione non propriamente desiderata, ecco.

Ed infatti nel 1983, anno della sua smobilitazione, coglie la palla al balzo per uscire dal mondo militare e mettersi in proprio. Parte dalla costruzione di centraline telefoniche a Shenzhen ma è nel 1987 che fonda Huawei: il resto è storia. Già il nome, che tradotto significa “la Cina è in grado” o anche “la Cina agisce“, è il perfetto esempio del senso di patriottismo che da sempre attraversa il paese e, con esso, la sua popolazione. Ma si sa, convincere gli altri paesi delle proprie buone volontà non è affatto facile, specialmente se sono in ballo cause come quelle di cui vi ho parlato poco sopra.

ren zhengfei huawei

Cosa hanno sbagliato Cina e USA

Alla luce di tutto ciò, è innegabile che qualcosa sia andato storto fra USA e Huawei. Tutte queste vicende non hanno fatto altro che peggiorare l’immagine del brand nel Nord America, già di per sé non ottima. Se a tutto ciò uniamo un’economia USA non propriamente brillante, ecco che la mossa di Donald Trump non sorprende più di tanto.

"Chi è senza peccato, scagli la prima pietra"
Vangelo secondo Giovanni 8,1-11

Se non vi bastassero le sacre scritture, forse questa vignetta può esprimere il concetto più di tante parole.

huawei cina usa meme

Dank memes a parte, anche la Cina ha compiuto la sua buona dose di azioni dubbie. Il biennio 2009/2010 è stato attraversato dal blocco dell’accesso in Cina a piattaforme come Google e Facebook. A queste sono seguite tutte le principali realtà occidentali: WhatsApp, Twitter, Instagram, Reddit, Snapchat e Twitch, per dirne soltanto alcuni (qua la lista completa). Senza contare tutti i servizi forniti da Google, come YouTube, Gmail, Maps, Calendari e via dicendo. Il perché di questo massiccio ban fa parte della visione che la Cina ha dell’utilizzo del web in occidente. Per quanto non condivisibile, è una diffidenza anch’essa storica, così come per quella americana. E se poco fa ho citato quel passo del Vangelo, c’è un chiaro motivo: anche gli USA hanno fatto la loro parte.

Il caso più eclatante è senza ombra di dubbio quello legato ad Edward Snowden, le cui rivelazioni hanno sconquassato il mondo politico. Nei documenti fatti trapelare si getta un pesante cono d’ombra sull’operato di NSA ed operatori telefonici americani, i quali avrebbero acquisito dati in maniera illecita a danno di molti paesi e governi. E fra questi figurava anche la Cina, la quale avrebbe subito azioni di pirateria sin dal 2009. Come riportato dal Sunday Morning Post, l’NSA avrebbe violato gli operatori telefonici cinesi e la Tsinghua University di Pechino per raccogliere milioni di messaggi.

edward snowden cina

Cosa è successo a Huawei?

In questo clima di tensione, l’annuncio del ban USA nei confronti di Huawei ha avuto ripercussioni a dir poco ingenti. La recente aggiunta alla famigerata Entity List ha comportato che tutte le aziende statunitensi debbano giocoforza prendervi le distanze. Ma non solo: anche tutte le aziende che utilizzano tecnologie di provenienza americana non possono più commerciare con Huawei. Ecco, quindi, che nomi come Google, Intel, Qualcomm, Broadcom, Microsoft e NVIDIA (per dirne alcuni) sono prontamente spariti dai radar della società. I telefoni Huawei sono spariti dal sito Android, l’azienda è stata esclusa dalla SD Association, la produzione dei chipset Kirin è compromessa dall’esclusione da ARM e così via.

Ma non solo: seppur sia in atto una proroga fino al 19 agosto, molte aziende ed operatori, sia in Europa che in Asia, hanno comunque deciso di ostracizzare Huawei. Non tanto per esigenze legali, quanto per la notizia in sé del ban che, ormai in circolo, sta irrimediabilmente danneggiando l’immagine di Huawei. Come prevedibile, le vendite sono in calo, dato che le persone hanno paura di comprare i loro prodotti. Molti di coloro che hanno un telefono Huawei si stanno chiedendo “Cosa succederà al mio smartphone?”, ignari su quale sia l’effettiva situazione aggiornamenti. E ora si parla anche di estromettere Huawei dai giochi per il 5G, quando fino a metà maggio sembrava tutto incentrato sul gigante cinese.

Al netto di ciò, la posizione di Huawei è a dir poco difficile. Per quanto sia forte il patriottismo cinese, lo stesso Ren Zhengfei ha espresso le proprie insicurezze. Egli ha affermato che, seppur l’azienda sia forte della sua leadership nel settore, è necessaria un’azione corale per il normale proseguo del settore. Alla luce di tutto questo, in rete si sono mobilitate molte persone dietro all’hashtag #supporthuawei. Soprattutto in Italia, dove il marchio Huawei rappresenta al giorno d’oggi una grossa fetta del mercato telefonico. Da che parte stare, quindi, e soprattutto perché?

A Donald Trump non piace la Cina

Prima di lanciarmi in un’analisi della situazione, è stato necessario illustrarvi la faccenda da ambo i lati. Perché seppur scriva per GizChina, un blog il cui nome lascia già intuire verso che parte del mondo propenda, ho sempre tenuto alla razionalità del mio lavoro. Ho sempre scritto in maniera oggettiva, proprio perché non mi ritengo uno di quegli utenti secondo cui “cinese è bello”, a prescindere da tutto. Finché si parla di argomenti che rimangono fra noi, utenti appassionati del mondo asiatico, possiamo anche permetterci qualche esternazione più soggettiva. Ma in casi come questi, dove l’esito delle cose andrà ad influire per forza di cose il mondo intero, è necessario mantenere una mente quanto più lucida possibile.

In rete si è letto di tutto: da chi dà dell’ipocrita alla Cina, che con il proprio Great Firewall ha bloccato l’accesso dell’occidente nel proprio web, a chi accusa Trump di essere un bieco manipolatore che pensa unicamente al tornaconto americano senza pensare alle conseguenze. E per quanto banale possa essere, come al solito la verità sta nel mezzo. Secondo il documento rilasciato dal Dipartimento del Commercio USA, il motivo del ban di Huawei è il seguente:

Huawei è stata aggiunta alla Entity List dopo che il Dipartimento ha concluso che la società è impegnata in attività contrarie agli interessi di sicurezza nazionale o di politica estera degli Stati Uniti, incluse presunte violazioni della International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), cospirazione per violare IEEPA fornendo servizi finanziari vietati all’Iran e ostruzione della giustizia in relazione alle indagini sulle presunte violazioni delle sanzioni statunitensi, tra le altre attività illecite.

Niente spionaggio, quindi, o furti industriali: il ban di Huawei è legato alle relazioni con l’Iran, a quanto pare. Un modus operandi che ha portato anche all’arresto di Meng Wanzhou, CFO di Huawei e figlia proprio di Ren Zhengfei. Probabilmente a questo punto potreste essere confusi: si tratta di uno scontro morale o meramente economico? A darci una risposta è il diretto interessato, ovvero Donald Trump che, pochi giorni fa ha così affermato:

Huawei è molto pericolosa. Guardate cosa ha fatto dal punto di vista della sicurezza, dal punto di vista militare, è molto pericolosa. È possibile che Huawei sia inclusa in qualche tipo di accordo commerciale.

Lungi da me giudicare la persona, ma converrete con me che una dichiarazione del genere sia piuttosto bipolare. Huawei è pericolosa perché ha avuto a che fare con l’Iran però allo stesso tempo si può trovare un accordo commerciale? Un problema come quello legato al terrorismo si può bypassare in questo modo? Basta unire i punti per constatare che quella che abbiamo di fronte è considerabile l’ennesima guerra commerciale. E sarà proprio Ren, dopo 4 anni di silenzio stampa, ad esclamare ai microfoni dei giornalisti che il problema di Huawei è quello di essere “un seme di sesamo rimasto incastrato nello scontro fra due nazioni“.

Le guerre commerciali non fanno bene a nessuno

Storicamente parlando, questo tipo di scontri fra nazioni non ha mai giovato a nessuna delle due parti. Basti pensare alla Grande Depressione, con l’amministrazione Hoover che impose dazi fino al 59%, causando il crollo del PIL mondiale. Oppure Nixon e Reagan e i dazi imposti sull’acciaio. O anche l’aumento dei dazi da parte di George W. Bush, i quali comportarono la perdita di 200.000 posti di lavoro ed un calo di 30.4 milioni di dollari del PIL statunitense. La storia dovrebbe insegnare ma ahimè c’è chi, come Trump, è meno recettivo a questo tipo di insegnamenti. E mentre questa nuova guerra ai dazi è in corso, nel 2018/2019 i produttori cinesi mettono il turbo, soprattutto Huawei che fa registrare un secco +50% sovvertendo l’andamento del mercato. Al contempo, Apple cala del -20%, mentre Google ed altri produttori “occidentaleggianti” come Motorola ed LG non compaiono nei radar della telefonia.

Vista così, quella degli USA potrebbe apparire come una ripicca. “Che la Cina banni Apple!” ha esclamato qualcuno, e non a caso. Secondo gli analisti, il ban cinese comporterebbe un forte calo del -30% che, in un momento non felice come questo, andrebbero ad intaccare non poco l’immagine di Cupertino. Ma non è questa la via per la risoluzione dei conflitti. E non lo dico io, ma lo stesso Ren Zhengfei in una recente intervistaBloomberg. Se la Cina bannasse Apple, noi protesteremmo. Se non ci fosse Apple, non ci sarebbe la telefonia come la conosciamo oggi. Apple è il mio insegnante: in quanto studente, non gli farei mai una cosa del genere“. Per quanto possano sembrare parole di circostanza, le dichiarazioni di Ren non sono state del tutto pacifiche. Ha dimostrato una certa antipatia verso il comportamento di Trump, ritenuto eccessivamente aggressivo, ma non verso le aziende considerabili rivali. Ha anche affermato di essere disposto a firmare un contratto di “No Backdoor con la Cina ed il resto del mondo, in modo da fugare qualsiasi dubbio a riguardo.

A parer mio, non è una guerra ciò di cui ha bisogno il mondo tech e non, oggi più che mai. È innegabile che le colpe siano da ambo le parti, ma una risoluzione del genere, così irruenta, non porterà ad altro se non ad ulteriori problemi. Il progresso del 5G rallenterà, il mercato elettronico si depaupererà e soprattutto i già complicati rapporti commerciali e politici fra le nazioni peggioreranno. È questo ciò che vogliamo? E poi, dove si posiziona l’Europa in tutto questo? Dove ci posizioniamo noi? Ok i meme su Huawei vs USA, ma adesso è arrivato il momento di prendere una posizione, per quanto scomoda possa risultare. Finchè una prova tangibile, una condanna non sancirà la colpevolezza di Huawei a tutte le accuse mosse fino ad oggi, sarà davvero difficile giudicare e assecondare ciò a cui stiamo assistendo e tutte le conseguenze che ne deriveranno. Il mercato mondiale della telefonia si erge su colossi come Huawei e un tentativo di tabula rasa da parte del mondo tech danneggia tutti quanti. Non resta che augurarsi che al G20 la situazione fra le posizioni possa distendersi.


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