La Cina usa Xiaomi, Huawei e OnePlus per censurare: l’accusa dall’Europa

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Non è la prima volta che l’occidente si scaglia contro i produttori cinesi per i loro legami con il governo. L’esempio più eclatante è senz’altro il ban contro Huawei, una circostanza che ha profondamente cambiato il panorama del mercato tecnologico. Fra l’altro, lo stesso ban potrebbe essere inflitto anche contro Honor, ma anche Xiaomi finì nel mirino delle autorità USA. Aveva fatto molto parlare la notizia del ban contro Xiaomi, anche se in quel caso la decisione venne ritirata. Ma andando a ritroso nel tempo, potremmo anche parlare delle raccolta illecita di dati di cui venne incolpata Xiaomi, con l’azienda che si vide costretta a fare retrofront.

Anziché dagli USA, nei mesi scorsi un’altra accusa è stata rivolta a vari produttori cinesi da parte di una nazione dell’Europa. Nella fattispecie il Belgio, che aveva puntato il dito contro varie aziende in merito ad una potenziale minaccia di spionaggio. Ma la tensione da parte del nostro continente non finisce qua. Questa volta è la Lituania a schierarsi contro l’oriente, con il ministero della Difesa che ha invitato i cittadini a non acquistare smartphone Xiaomi, Huawei e OnePlus e a gettare quelli già in possesso. La decisione deriva da un report del dipartimento informatico del governo lituano, nel quale si parla di varie criticità che riguarderebbero i prodotti delle tre aziende in questione.

Aggiornamento 23/09: dopo i comunicati ufficiali di Huawei e Xiaomi, un’indagine di XDA rivela che le accuse contro Xiaomi sono infondate. Trovate tutti i dettagli a fine articolo.

La Lituania lancia una pesante accusa nei confronti degli smartphone cinesi

Nel caso di Xiaomi, la Lituania menziona la capacità di questi dispositivi di censurare termini sensibili al governo cinese. Lo smartphone incriminato sarebbe Xiaomi Mi 10T, ma non è da escludere che ulteriori indagini possano allargare l’accusa anche ad altri modelli. Sarebbe stato individuato un elenco di circa 450 parole, riguardanti argomenti come l’indipendenza di Tibet e Taiwan, movimenti per la democrazia e così via: se foste interessati, vi invito a recuperare questo editoriale. Secondo il governo lituano, il software sarebbe stato modificato ad hoc per non mostrare apertamente questo tipo di censura in Europa. Ma Xiaomi sarebbe in grado di attivare in remoto la censura in qualsiasi momento, senza che l’utente se ne accorga. App di sistema come Sicurezza, Mi Browser, Pulitore, MIUI Package Installer e Temi scaricano regolarmente un file chiamato “MiAdBlacklistConfig”, cioè il database delle parole da censurare.

Ma non finisce qui, perché secondo queste accuse le falle nel software di Xiaomi sarebbero svariate. Per esempio, le app preinstallate nella MIUI sarebbero in grado di tracciare il comportamento dell’utente ed inviare informazioni sensibili (tipi di file eseguiti, stato dell’interfaccia USB, tipo di rete a cui si è connessi) a terze parti. I destinatari di questi dati sarebbero vari server gestiti da Tencent, sia in Singapore che in USA, Olanda, Germania e India. Lo stesso Mi Browser utilizzerebbe i dati raccolti in maniera illecita, in particolare quelli raccolti tramite il modulo Sensor Data. Le statistiche ottenute sarebbero inviate tramite un canale crittografato ai server di Xiaomi in Singapore, una procedura non coperta dal GDPR europeo.

Nelle accuse si parla anche dei servizi cloud Xiaomi, il cui utilizzo comporterebbe la registrazione del numero telefonico dell’utente nei server di Singapore mediante un SMS crittografato. Il problema starebbe nel fatto che, pur scegliendo l’autenticazione tramite mail, il numero verrebbe comunque registrato all’insaputa dell’utente.

Quali le colpe di Huawei e OnePlus?

Nel caso di Huawei, invece, lo smartphone su cui ci si è concentrati è Huawei P40. Secondo le indagini delle autorità lituane, lo store proprietario AppGallery è potenzialmente pericoloso perché si interfaccia con store di terze parti. Fintanto che un’app è disponibile su AppGallery, questa viene scaricata in sicurezza, ma il problema si manifesta quando l’app non è disponibile. In tal caso, l’AppGallery fa una ricerca su app store esterni fra cui Aptoide, APKPure e APKMonk. Di conseguenza, sussiste il rischio che potenziali app malevoli vengano scaricate e bypassino i servizi di protezione che piattaforme come Apple e Google sono soliti offrire.

Nel report si cita anche OnePlus 8T come smartphone da evitare, ma senza fornire particolari dettagli al riguardo.

Si fa notare che Lituania e Cina stanno vivendo momenti di instabilità politica già da tempo. Questo a causa della scelta della Lituania di accettare un “Ufficio di rappresentanza di Taiwan” anziché “di Taipei”, come solitamente accade nelle missioni diplomatiche dello stato in occidente. Normalmente le nazioni fanno riferimento alla città di Taipei, dato che la Cina rivendica la sovranità su Taiwan. Una mossa che ha ovviamente attirato le ire del governo cinese, che ha prontamente scacciato l’ambasciatore lituano e richiesto di ritirare il proprio dalla Lituania.

Aggiornamento 22/09

Non sono tardate ad arrivare le risposte delle aziende coinvolte. A partire da Huawei, specificando che la compagnia non invia a nessuno i dati dei propri utenti. Nel caso di Xiaomi, c’è un comunicato più elaborato, vista anche la quantità di accuse riversatole contro:

i dispositivi dell’azienda non censurano le comunicazioni da o verso i suoi utenti. Xiaomi non ha mai e mai limiterà o bloccherà alcun comportamento personale dei nostri utenti di smartphone, come la ricerca, la chiamata, la navigazione web o l’uso di software di comunicazione di terze parti. Xiaomi rispetta e protegge pienamente i diritti legali di tutti gli utenti. Xiaomi rispetta il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea (GDPR).”

Smontata l’accusa | Aggiornamento 23/09

Dopo le polemiche sollevatesi in merito alle accuse di censura contro Xiaomi, il team XDA ha ben pensato di indagare più a fondo sulla questione. E il risultato verte in favore della compagnia cinese: trovate tutto nell’articolo dedicato.

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