Era l’inizio dell’ormai conclusasi estate quando OPPO annunciava la fusione con OnePlus. Un grosso cambiamento per entrambe le compagnie coinvolte, non soltanto per i clienti e le rispettive community. Sin da subito, ambedue hanno affermato come questa transizione avrebbe portato benefici alle aziende, potendo così ottimizzare al meglio le risorse a disposizione. Ma se si volesse guardare la realtà dei fatti, basta guardare al passato per capire che le due compagnie sono sempre state legate. Così come lo sono tutte le compagnie che fanno parte del gruppo BBK, ma questa è un’altra storia che potete trovare approfondita nel mio editoriale.
Sin da quando esiste, OnePlus è sempre stata vista come una costola di OPPO, anche perché nata proprio da un suo ex vice-presidente. Le compagnie abbiano spesso negato questi legami, ma un recente documento interno rimarca come OnePlus sia diventato un brand all’interno di OPPO. Un cambiamento che ha prevedibilmente scombussolato gli organici e generato del malcontento, come dimostrano i licenziamenti avvenuti in casa OnePlus.
Partono i licenziamenti in casa OPPO e le motivazioni sono molteplici
Ma se nel caso di OnePlus i dipendenti si sono auto-licenziati, un nuovo report afferma che OPPO sta tagliando il 20% del personale. E non staremmo parlando di licenziamenti in settori secondari, bensì in comparti importanti come il team ColorOS e quello dedicato ai dispositivi Internet of Things (wearables, cuffie e così via). Questo sarebbe un effetto diretto proprio della fusione con OnePlus, nonché dall’instabilità di mercato provocata dalla pandemia.
Se si guarda il mercato dalla prospettiva globale, OPPO è senz’altro una delle compagnie che più sta crescendo, arrivando a conquistare le prime posizioni sul podio. Una crescita guidata soprattutto dall’occidente, dove la compagnia è sempre stata assente salvo una parentesi non propriamente rosea qualche anno fa. Ma se si guarda alla Cina, la madre patria di OPPO, la situazione si fa un pelo più complessa.
Nel 2016 riuscì a posizionarsi in prima posizione nella propria nazione, un territorio fondamentale per la pressoché totalità dei brand cinesi. OPPO ha sempre investito molto, sia in ricerca e sviluppo che in marketing, ma negli anni ha gradualmente visto calare le sue quote di mercato in Cina. Specialmente nel biennio 2019/2020, anni in cui Huawei aveva ancora un forte ascendente sulle vendite in madre patria.
Ma con il 2021 è arrivato il tracollo di Huawei, le cui quote perse sono state prontamente agguantate dalle dirette rivali, ovvero Xiaomi, vivo e OPPO. La top 5 del Q2 2021 vede vivo in testa, seguita proprio da OPPO e da Xiaomi, rispettivamente al 23%, 21% e 17% del mercato. Ma per quanto vivo sia una sua “cugina”, sono anni che OPPO manca dalla prima posizione e l’impressione, secondo gli addetti ai lavori, è che l’azienda si sia espansa troppo rapidamente in questi anni.
Proprio per questo, OPPO avrebbe deciso di ridimensionarsi, cogliendo la palla al balzo per (ri)unirsi con OnePlus e fondere i team per sfruttare al meglio l’organico complessivo. Anche perché, sempre secondo le fonti del report di Bloomberg, OPPO starebbe subendo le conseguenze dell’aggredire quel mercato premium in cui Apple continua a farla da padrona. Una storia comune a pressoché tutti i marchi Android: se si guarda la classifica degli smartphone più venduti del 2021, la maggior parte sono iPhone, il resto sono modelli low-cost Redmi e Samsung.
Non è un caso che la stessa OnePlus, compagnia fondata sul concetto di flagship killer, si sia progressivamente spostata sulla vendite di telefoni più budget-friendly. Vendere smartphone costosi non paga in termini economici ed è proprio qui che interviene la creazione della serie Nord. Sempre rimanendo in casa OPPO, poi, anche il mercato Internet of Things non starebbe dando i frutti sperati: ad oggi, OPPO detiene l’1% del mercato globale degli smartwatch e l’1,7% in quello delle cuffie.
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