“A che pro acquistarlo senza caricatore, se il prezzo è lo stesso?“, qualcuno si potrebbe chiedere. E qui ci ricolleghiamo all’Unione Europea, che sta agendo in maniera incisiva sul mandare il mercato tecnologico in una direzione più congeniale. Lo abbiamo visto con la lotta ai monopoli dei vari Digital Markets Act e Digital Services Act, sfide che si stanno concentrando anche per combattere l’inquinamento elettronico.
Era il 2009 quando la Commissione Europea iniziò a discutere con i produttori del concetto di caricatore universale. Chi c’era si ricorderà che fra anni ’90 e anni 2000 molto spesso capitava che ogni telefono avesse il suo tipo di caricatore. Chi li comprava, ogni volta che cambiava marca si ritrovava con caricatori inutilizzabili e che prima o poi finivano in discarica, magari pure senza venire smaltiti correttamente.
Gli sforzi dell’Europa hanno avuto i loro frutti, perché nell’ultimo decennio si è passati da 30 a 3 tipologie di caricatori, grazie anche alla standardizzazione della porta USB che progressivamente è stata adottata da tutti e che ci ha portati a un mondo dove praticamente ogni caricatore può essere collegato a smartphone e tablet di qualsiasi marchio. Per anni l’unica eccezione è stata Apple, che ha preferito il suo connettore Lightning a quello USB, ma anch’essa si è piegata alle leggi europee pena l’impossibilità di vendere nel continente.
Arriviamo così ai nostri giorni e a benefici eproblemi che comporterà la sparizione dei caricatori dalle confezioni. Nonostante l’intento della Commissione Europea sia benevolo, questa transizione sta avvenendo non senza alcune ipocrisie di fondo, dettate più dal comportamento dei produttori che da quello dell’Europa. Secondo il Parlamento Europeo, “i consumatori potranno acquistare un nuovo dispositivo elettronico senza un nuovo caricabatterie, limitando il numero di caricabatterie non desiderati acquistati o lasciati inutilizzati“. Una scelta virtuosa, ma che inevitabilmente cozza con l’evoluzione tecnologica.
Come mostrato in questi test, la frammentazione delle ricariche rapide ci mette nella situazione in cui uno smartphone come Xiaomi 12 Pro si carica in 40 minuti col caricatore Xiaomi da 120W ma ci mette quasi 4 ore se se ne utilizza uno OPPO da 80W. Se il wattaggio di per sé non significa nulla è perché quasi ogni azienda ha la sua ricarica proprietaria: Samsung Adaptive Fast Charging, Motorola TurboPower, Xiaomi HyperCharge, OPPO SuperVOOC, Honor SuperCharge e così via.
Da parte sua, l’Europa sta incentivando l’adozione della ricarica USB Power Delivery, ma ancora oggi è tutt’altro che diffusa perché poco potente, in un mercato che, specialmente per le compagnie cinesi, spinge per offrire ricariche sempre più rapide che attirino gli acquisti. Immaginate di acquistare un OPPO con caricatore a 65W, poi qualche anno dopo passare a uno Xiaomi e accorgervi che quel caricatore non carica più a 65W ma soltanto a 15W perché le tecnologie OPPO non sono compatibili con quelle Xiaomi.
Togliere il caricatore in confezione ha senso con i modelli di fascia bassa come Redmi 13, che vengono venduti con caricatori lenti e quindi facilmente rimpiazzabili con altri che abbiamo in casa, ma non con quelli di fascia medio/alta. È il caso di Realme GT6, che si carica a 120W ma solo a patto di usare il suo caricatore, che adesso non è più in dotazione ma va acquistato a parte. A meno che non abbia una sensibilità ecologica molto spiccata, l’utente sarà spinto ad acquistarlo, alla faccia dell’ambiente: non solo ce ne sarà uno in più in circolazione, ma verrà persino venduto con un imballaggio dedicato, paradossalmente finendo non per ridurre ma aumentare l’inquinamento.
Lo stesso discorso vale per l’obiettivo futuro dell’Europa, che sta valutando di togliere anche il cavo dalla confezione per lo stesso principio di contenere gli sprechi. Perché non tutti sanno che affinché una ricarica sia effettivamente rapida non serve soltanto che il caricatore sia compatibile con lo smartphone su cui viene utilizzato ma anche che il cavo sia adeguatamente realizzato per supportare tale potenza.
È evidente che le azioni dell’Unione Europea fatichino a stare al passo col costante ricambio generazionale delle tecnologie, rischiando di generare confusione a scapito dei consumatori e a beneficio di aziende che fanno green washing, che si difendono dietro il “ce lo dice l’Europa” e che sono ben contente di incassare due volte dalla vendita di smartphone e caricatore.
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