Aggiornamento febbraio 2024: aggiunta Meizu alla lista dei brand “defunti”.
Il mercato deglismartphone può essere molto crudele. Anche per marchi storici come Sony, LG, Motorola e Microsoft che, pur avendo gettato le basi per la telefonia come la conosciamo oggi, sono praticamente scomparsi dalla circolazione, alcuni più di altri. Pensate alle realtà molto più piccole, finite per soccombere sotto il peso della competizione. Oggi facciamo un salto nel passato, esaminando la storia della telefonia cinese per capire l’errore che ha portato alla scomparsa dei tanti brand di cui vi abbiamo parlato in passato
Nascita e morte dei brand di smartphone cinesi: come mai stanno sparendo dalla circolazione?
Essere dei colossi dell’elettronica ha indubbiamente i suoi vantaggi. Sony incassa buona parte del suo fatturato dall’ecosistema PlayStation e dalla divisione fotocamere, LG ha le smart TV e gli elettrodomestici e Microsoft un impero informatico composto da PC, servizi web e intelligenza artificiale. Ben diversa è la storia per le decine di aziende di smartphone cinesi che sono sparite nel corso degli anni. In un saggio del ’71 chiamato “Future Shock“, Alvin Toffler coniava il concetto di “overchoice“: in poche parole, troppa scelta ha un effetto negativo sulla psiche del consumatore. Evidentemente questo concetto non è stato considerato dalla moltitudine di marchi cinesi che hanno provato invano a farsi un nome nel mondo.
C’è chi è sopravvissuto…
Per rimanere competitivi, il primo passo fondamentale è stare al passo col mercato: oggi più che mai, è evidente che spesso il vero profitto nasca più dalla vendita di servizi che di oggetti fisici. Il secondo passo, di pari passo col primo, è la diversificazione: concentrarsi su un unica tipologia di prodotto può funzionare solo agli inizi, ma anche nel settore tecnologico è importante tenersi aperte diverse strade.
Non a caso, fra le cinesi ci sono solo tre aziende che sono rimaste a galla focalizzandosi sul fare altro. Una è 360 Qihoo, nata guadagnando da servizi web, antivirus, pubblicità e partecipazioni in altri settori come il mondo gaming. La seconda è Meitu, diventata famosa per la creazione di app per l’editing foto e video, venduti sia agli utenti che al settore business. Infine c’è Meizu, che dopo un’ampia parentesi negli smartphone ha deciso di cambiare rotta e andare in un’altra direzione.
Ciò che hanno in comune 360 Qihoo e Meitu è la realizzazione di smartphone come un’opportunità di diffondere i propri servizi, seppur con un business model per niente di facile realizzazione. 360 Qihoo ha proposto smartphone abbastanza blandi, farcendoli di servizi a tema sicurezza, ma capirete bene quanto sia difficile per una compagnia cinese vendersi in questo modo alla platea occidentale, che storicamente non vede di buon occhio l’accostamento sicurezza/Cina.
Meitu provò invece a osare di più, con smartphone ben più particolari ma pensati per un target femminile, spesso con edizioni limitate e a prezzi particolarmente elevati. Il risultato? 360 Qihoo ha cessato di creare smartphone e Meitu ha ceduto la divisione hardware a Xiaomi. C’è anche un’altra compagnia che ha seguito una strada similare: mi riferisco a Konka, passata da realizzare smartphone a oggetti differenti fra cui accessori audio, smart TV ed altro ancora.
Ho citato anche Meizu, la società che più recentemente ha deciso di accantonare i suoi progetti in ambito smartphone per dedicarsi ad altro. Nacque nel 2011 ed ebbe il suo momento di massimo splendore fra 2013 e 2016, periodo in cui riuscì anche a farsi un nome sul mercato europeo e italiano, in un’epoca in cui marchi come Xiaomi, OPPO e vivo faticavano a uscire dai confini cinesi.
Meizu non riuscì però a capitalizzare quel momento propizio, complice anche lo sbarco in Europa dei succitati competitor, e da lì in avanti perse il vantaggio guadagnato. Inizialmente decise di dedicarsi esclusivamente al segmento di fascia alta del mercato, obiettivo molto arduo causa concorrenza di Apple e Samsung. Nel 2022, la casa automobilistica cinese Geely acquistò una Meizu in piena difficoltà, e da lì ebbe inizio la transizione che la allontanò dal settore telefonico.
Fra DreamCar MX e Flyme Auto, Geely spostò il focus di Meizu dai telefoni al mondo delle auto elettriche ma non solo, perché dichiara di volersi dedicare all’intelligenza artificiale. Nel frattempo, uno dei vari marchi di Geely, ovvero Polestar, vuole presentare il suo primo smartphone e sarà proprio un rebrand Meizu, che potrebbe così continuare a vivere sotto l’egida di un altro marchio.
… e chi non ce l’ha fatta
Se queste aziende sono riuscite ad andare oltre, ad altre non è andata altrettanto bene. Per esempio LeEco, prima conosciuta come LeTV, è il caso più emblematico di che pensa troppo in grande senza esserne veramente in grado. Come 360 Qihoo e Meitu, nacque in un altro settore, cioè come produttore televisivo, lanciando il suo servizio di streaming 3 anni prima di Netflix per poi realizzare smart TV e smartphone premium a basso costo per diffondere la piattaforma.
In poco tempo si espanse moltissimo, prima in Russia, India e poi divenendo la prima cinese del suo genere a sbarcare negli USA. Da lì in poi, il disastro: l’espansione si rivelò prematura, LeEco perse la bussola e iniziò a creare sempre più prodotti come cuffie, visori VR, persino bici elettriche e addirittura un prototipo di auto elettrica con la controverso Faraday Future. Ma chi troppo vuole, nulla stringe e, ahimè, LeEco chiuse i battenti. Dopo anni, LeEco è “rinata” sotto forma di LeTV ed è tornata sul mercato degli smartphone ma è un fantasma del suo passato, realizzando smartphone low-cost palesemente ispirati (se non peggio) ad altri marchi.
Spesso la difficoltà nell’approcciare il mercato sta nel capire il pubblico a cui ci si rivolge: penso a Smartisan, deceduto a causa delle sue elevate ambizioni. Sin dal suo primo Smartisan T1, la scelta fu quella di puntare alla fascia premium, con telefoni dal gusto artigianale (“Smartisan” sta per “Smart Artisan”, appunto), dall’estetica ricercata e un’interfaccia software/hardware unica. Ancora ricordo il bellissimo Nut Pro 2, per non parlare dello schermo TNT che poco aveva da invidiare al più blasonato Microsoft Surface Studio. Una strategia rispettabile ma che purtroppo non trovò riscontro in un mercato troppo di nicchia.
La strategia dei sub-brand
Un’altra via per affrontare il mercato degli smartphone è quella dei sub-brand. Xiaomi, Huawei, OPPO, vivo: tutte le società di punta in Cina hanno creato il proprio spin-off, anche se c’è modo e modo di attuare questa strategia. ZUK fu il tentativo di Lenovo di far crescere la propria non entusiasmante presenza nella telefonia, rivolgendosi al mercato online e al pubblico dei tech entusiasts, come dimostrò la collaborazione con Cyanogen per il flagship killer ZUK Z1 in stile OnePlus. Un esperimento interessante ma che venne interrotto proprio dalla casa madre Lenovo, che preferì puntare sulla più mainstream Motorola.
La chiave è spiccare nella massa
Quando si pensa alla telefonia cinese, c’è stato un periodo in cui bastava che uno smartphone costasse poco perché attirasse l’attenzione del pubblico occidentale; poi in Europa arrivarono prima Huawei e poi Xiaomi, che ben presto monopolizzarono la fascia low-cost. A quel punto, l’unico modo per sopravvivere era differenziarsi: per esempio coi rugged phone, come nel caso di Blackview, Oukitel, Ulefone e Doogee, che prima realizzavano smartphone più tradizionali ma senza riscuotere grande successo. Fra l’altro, proprio Doogee aveva lanciato il suo sub-brand HomTom, che forse qualcuno di voi ricorda ma anch’esso sparito.
Ci sono altri due marchi di cui prima parlavamo molto più spesso di adesso. Mi riferisco a Elephone e UMIDIGI (ex UMi). Entrambe non sono propriamente fallite ma sono finite in secondo piano preferendo dedicarsi ad altri prodotti. Elephone ha creato moltissimi accessori: smartwatch, cuffie, webcam, caricatori, powerbank, persino action cam e sigarette elettroniche. UMIDIGI fa più o meno lo stesso, fra accessori, qualche smartphone rugged e modelli più “particolari” con termometro in tempi di pandemia.
Se Xiaomi e Huawei sono diventate famose nel mondo è perché per loro in Cina è stato più facile nascere e crescere: costi più bassi e margini migliori, vicinanza alla catena produttiva e ricerca & sviluppo facilitati dagli aiuti statali. E dopo essere diventate giganti in madrepatria ed essersi fatte conoscere nel mondo grazie a internet, allora si sono potute permettere di spostarsi fuori dalla Cina. Partire subito in occidente sarebbe stato troppo rischioso, ma Vernee e JiaYu vollero comunque osare, facendo la fine di Icaro che si spinse troppo verso il sole: entrambe investirono in Europa, aprirono divisioni nel nostro continente ma finendo travolte dalla concorrenza.
Ma c’è anche chi è causa della sua disgrazia
Ci sono storie nobili e altre meno nobili che hanno segnato la fine di una compagnia, come quella di Gionee. In Europa non è mai arrivata e forse è meglio così, perché la sua chiusura avrebbe avuto una cassa di risonanza ancora più ampia. Era il 2018 quando si venne a sapere che versava in cattive acque a causa del gioco d’azzardo, vizietto che le costò la bancarotta, con debiti per ben 2 miliardi di euro. Come LeTV, anche Gionee è resuscitata di recente, ma dubitiamo che andrà molto lontana.
Un’altra realtà tecnicamente ancora attiva ma scomparsa dai radar è Leagoo: provò a investire in Europa, fu addirittura sponsor della squadra di calcio del Tottenham ma fece il classico errore di non capire su cosa puntare. Se sei un produttore che fa smartphone, vendere sigarette elettroniche e mascherine chirurgiche non è proprio il massimo.
La lista delle aziende scomparse potrebbe continuare ancora a lungo e potrei citarvi nomi come Bluboo, Cong, InnJoo, M-Horse, Maze, Nomu, Siswoo, THL, Vkworld, YU, ZOPO. L’impressione è che quei tempi di estrema varietà siano finiti e che non torneranno più, sia perché si prospetta un futuro sempre più legato ai servizi anziché all’hardware, sia perché i consumatori odierni preferiscono affidarsi a compagnie che assicurano loro una maggiore solidità. Oggi abbiamo meno scelta ed è innegabile che il mercato sia diventato più banale, ma è altrettanto vero che abbiamo barattato questa varietà per un mercato più stabile ed affidabile.
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