Cos’è il fediverso e perché può rivoluzionare i social network

fediverso social network

Nonostante sia stato coniato diversi anni fa, il termine fediverso è tornato a far parlare di sé dopo la sua integrazione in Instagram Threads, il social network di Meta che vuole fare concorrenza a Twitter. E se finora abbiamo concepito i social network come universi chiusi in cui è difficile comunicare fra piattaforme differenti, questo concetto vuole cambiare questo paradigma, aprendo le porte alla decentralizzazione dei social media e potenzialmente rivoluzionare il modo in cui usiamo internet.

Perché il fediverso potrebbe essere la prossima frontiera dei social network

web 3.0
Crediti: Canva

Perché è nato il fediverso

Negli anni ’90, il panorama web era ben diverso da quello attuale: non esistevano le piattaforme delle Big Tech e, a parte qualche portale di riferimento (Yahoo, AltaVista, AOL, Netscape, ecc.), la maggior parte dei contenuti, che fossero testi, immagini e video, erano sparpagliati in giro per migliaia di blog indipendenti. Questa forte frammentazione aveva i suoi vantaggi: avere il controllo totale del proprio sito significava niente censura, più creatività e meno oppressione algoritmica. Allo stesso tempo, era molto più difficile trovare informazioni, la navigazione era meno sicura e stabile, i costi della propria presenza online erano più alti e la mancanza di standardizzazione creava incompatibilità fra siti e dispositivi.

Poi sono arrivati motori di ricerca e social network, che hanno sì risolto questi problemi ma ne hanno introdotti di nuovi: da un lato un’esperienza più efficiente, sicura e completa, dall’altro più dipendenza verso quelle poche compagnie che detengono l’oligopolio digitale, con conseguenti rischi in termini di censura ed eccessiva omogeneità creativa e di pensiero. Se il Web 1.0 consentiva di parlare di ogni cosa, colorare il proprio sito a proprio piacimento ed esprimere la propria creatività, il Web 2.0 ne ha barattato vantaggi e svantaggi in cambio di un’esperienza più uniforme e accessibile per tutti; se prima avere un sito non era cosa da tutti a livello tecnico ed economico, oggi avere un profilo social è semplicissimo.

C’è chi crede che tutti dovrebbero avere il proprio sito ed essere in grado di mettersi in comunicazione con gli altri e condividere i propri contenuti senza restrizioni. Un’ideale che si scontra con i succitati problemi pratici: per esempio, per archiviare i propri dati e contenuti servono i server, cioè macchinari costosi che richiedono alti standard di sicurezza altrettanto costosi. Ed è qui che subentra il Web 3.0 e con esso il fediverso, quello che potremmo definire un compromesso fra 1.0 e 2.0.

L’importanza di Twitter per il fediverso

Come tutti i social network principali, anche Twitter fa parte del Web 2.0, pertanto non è un elemento che compone il fediverso: allo stesso tempo, però, potrebbe averlo aiutato a sbocciare del tutto. Nonostante sia un social più o meno chiuso come i vari Facebook e Instagram, negli anni Twitter si è contraddistinto per essere un social più libero rispetto alla concorrenza, seguendo una filosofia meno censoria e più focalizzata sul volere degli utenti.

Nel 2022, però, qualcosa è cambiato: Elon Musk ha acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari, e da lì le sorti del social dell’uccellino blu sono cambiate. Dopo l’acquisizione, la figura pubblica di Musk è stata oggetto di numerose controversie anche e soprattutto riguardanti la sua gestione di Twitter, generando un certo malcontento in moltissimi utenti e dando vita alla cosiddetta #TwitterMigration. Un utente su Instagram Thread ha così ironizzato: “per capire quanto sia odiato Musk, basta vedere il successo di un social creato da Zuckerberg“, riferendosi al boom di Instagram Threads.

elon musk twitter x wechat

Chi ha inventato il fediverso

Le origini del fediverso risalgono a Evan Prodromou, programmatore canadese che nel 2008 creò GNU social (in precedenza conosciuto come StatusNet e Laconica), protocollo open source per siti di microblogging che non debbano dipendere da un’unica piattaforma centralizzata. Pochi mesi dopo nacque il primo nodo del fediverso ideato da Evan, il social network identi.ca che mirava a essere un Twitter decentralizzato. E fu così che la comunità intorno al protocollo iniziò a crescere, dando vita a varie alternative ai social più tipicamente mainstream e anche nuovi protocolli aperti, molti dei quali per opera dello stesso Evan: OStatus, pump.io, Open Social, Pubsubhubbub, WebFinger, ActivityStreams, XMPP, RSS e OpenID, per citarne alcuni.

Quali siti fanno parte del fediverso

Nel 2010 nacque Diaspora, social network mirato a dare più controllo ai propri utenti, e nello stesso anno nacque Friendica, che come WordPress e Tumblr consentiva la pubblicazione dei propri articoli; nel 2015, YouTube e Spotify ebbero due nuovi rivali in PeerTube e Funkwhale, piattaforme decentralizzate per lo streaming video e audio; nel 2016 fu il turno di Mastodon, lanciato come alternativa etica a Twitter dopo polemiche su alcuni casi di censura; l’anno successivo arrivò Pleroma, social focalizzato sull’avere consumi energetici molto bassi (può girare su un Raspberry Pi); nel 2018 Pixelfed puntò al mondo della fotografia, ponendosi come alternativa a Instagram.

Questo è un elenco dei principali siti e piattaforme che compongono il fediverso, fra i quali Mastodon rappresenta il caso più popolare, avendo registrato oltre 10 milioni di utenti. Ma ci sono anche piattaforme già esistenti che stanno iniziando ad adottare il linguaggio di ActivityPub: Tumblr, Flipboard, Medium, Mozilla e WordPress, oltre alla stessa Meta con il suo Instagram Threads.

fediverso social network
Crediti: Ricardo Martinez

Quali sono i vantaggi del fediverso

Il termine fediverso nasce dall’unione di “federato” e “universo”, dove la federazione consiste nel permettere l’interoperabilità tra siti e server indipendenti mediante l’utilizzo di protocolli aperti. Uno su tutti ActivityPub, co-creato nel 2018 sempre da Evan Prodromou, che consente lo scambio decentralizzato fra utenti di piattaforme diverse. In poche parole, nel fediverso i social network parlano la stessa lingua (ActivityPub), riprendendo il concetto di piattaforme del Web 2.0 ma con la decentralizzazione del Web 3.0. Così facendo, le persone non sono limitate a interagire con gli altri utenti della piattaforma dove si trovano ma possono farlo anche con quelli di altri siti, senza necessariamente dover creare più account.

I vantaggi sono molteplici. Gli utenti hanno più controllo sui propri dati, senza delegare tutto ad una singola compagnia; si favorisce la diversità di voci, evitando la creazione di “piazze digitali” dominate da pochi colossi, la concentrazione del potere in poche mani e la possibilità di censura da parte di un’unica entità centrale; e poi, la natura open source garantisce più trasparenza sugli algoritmi e sul loro funzionamento. Hai presente le mail, dove un account Gmail può dialogare con uno Outlook e viceversa? Ecco, immagina di iscriverti a un social e poter portarti dietro i contatti che hai già altrove. Immagina di pubblicare su quel social un post, una foto, un video e che quel contenuto sia visualizzabile e interagibile anche sugli altri social.

Quanto è sostenibile il fediverso?

L’idea è quella di un ecosistema più democratico e personalizzabile, per quanto sia un traguardo difficile da raggiungere. Ad oggi, il fediverso deve ancora crescere molto per raggiungere i livelli di diffusione dei vari Facebook, Instagram, TikTok, YouTube e Twitter. Il problema principale è di tipo economico: se questi social possono vantare interfacce curate, immediatezza d’utilizzo e un certo grado di sicurezza, è grazie ai business miliardari che vi ruotano attorno. E se Meta incassa oltre 100 miliardi di dollari all’anno è grazie alla quantità di utenti che attira a sé con una certa semplicità d’accesso, cosa che spesso le controparti nel fediverso non hanno non avendo gli stessi budget da spendere.

C’è poi il problema della moderazione: fintanto che era frequentato da qualche migliaio di appassionati, avere un internet deregolamentato era sostenibile. Oggi si tratta invece di gestire piattaforme con miliardi di persone da tutto il mondo, con tutti i problemi che ne conseguono in termini di contenuti controversi e censura e con la necessità di avere complessi e costosi sistemi di moderazione adeguati alla massa di persone coinvolte. E l’idea di avere community più piccole, un po’ come contrapporre il piccolo paese alla metropoli, è un altro aspetto ideale ma difficile da conciliare con la sostenibilità economica.

Chissà, magari in un futuro non troppo lontano potrebbe essere la norma che le persone abbiano un unico profilo social privato che funga da accesso a tutti i social network. In questo modo, si eviterebbero tutte le scocciature di dover avere profili multipli per ogni piattaforma: il proprio profilo digitale sarebbe anche il proprio canale YouTube ma anche il proprio profilo Facebook, Instagram, Threads, Twitter, Mastodon, TikTok, WordPress e così via. E qualora uno di questi social fallisse o prendesse una direzione non gradita, i propri contatti e i propri contenuti sarebbero al sicuro, pronti per essere fruiti altrove senza il rischio di perderli per sempre.

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