Come spiegato in questo video-editoriale, la crisi dei semiconduttori è anche collegata alla dipendenza di molte compagnie, Apple compresa, nei confronti di TSMC, specialmente quando la rivale Samsung non è in grado di competere. E non bisogna sottovalutare il fattore Cina: soprattutto negli ultimi anni, il governo Xi Jinping ha reiterato la volontà di riannettere l’isola di Taiwan, con tutti i problemi che ne conseguirebbero. Se si guarda al panorama tecnologico, un’invasione cinese comporterebbe grosse problematiche per le fabbriche di TSMC e di riflesso per tutti i suoi clienti.
E questo lo sanno bene quegli Stati Uniti che negli ultimi mesi hanno premuto l’acceleratore nel rendere la vita difficile all’industria dei chip cinese. Oltre a creare la Chip 4 Alliance proprio con Taiwan, Sud Corea e Giappone, gli USA hanno stilato il CHIPS Act che prevede investimenti miliardari per riaccendere un settore dei semiconduttori statunitensi messo a dura prova proprio dall’Asia. Tuttavia, gli USA non hanno un’alternativa valida, nonostante gli sforzi di Intel per ridiventarlo in futuro, e quindi si trova in un certo modo costretta a convincere TSMC a operare anche sul suolo americano.
E mentre Taiwan ha declinato la richiesta di investire in Europa e in Italia, ha invece scelto di farlo negli USA, con le prime fabbriche americaneTSMC che sorgeranno nel deserto dell’Arizona. Dai due impianti, situati nella zona di Phoenix, usciranno chip realizzati con processo produttivi avanzati a 5, 4 e 3 nm, per intenderci gli stessi di SoC quali Apple A16 Bionic, Snapdragon 8 Gen 2 e Dimensity 9200. L’apertura è prevista per il 2024 per gli impianti a 5 e 4 nm e per il 2026 per quello a 3 nm, e ne beneficeranno tutti i clienti statunitensi di TSMC, come AMD, Broadcom, Marvell, NVIDIA e – appunto – Apple.
Lo conferma Tim Cook, che a un recente evento in Arizona ha affermato quanto segue: “Oggi combiniamo l’esperienza di TSMC con l’impareggiabile ingegnosità dei lavoratori americani. Stiamo investendo in un futuro più forte e luminoso, stiamo piantando il nostro seme in Arizona e in Apple siamo orgogliosi di contribuire a nutrire la sua crescita.“. Per i due impianti è previsto un investimento complessivo pari a 40 miliardi di dollari, fra i più grandi investimenti di paesi esteri nella storia degli USA, spesa che sarà sostenuta anche dal succitato CHIPS Act. Secondo le previsioni di TSMC, una volta operativi, gli impianti restituiranno un fatturato annuo pari a 10 miliardi e creeranno 13.000 posti di lavoro.
Le fabbriche in madrepatria continueranno a essere il fulcro della produzione più avanzata di TSMC: quando nel 2026 le fabbriche USA inizieranno a stampare a 3 nm, dall’Asia usciranno già i primi chip a 2 nm. Questo farà sì che Taiwan mantenga il vantaggio tecnologico maturato negli anni, in modo tale che gli USA non arrivino a un punto tale da poter fare a meno dell’isola di Formosa. Inizialmente, l’impianto americano Fab 21 (a 5 e 4 nm) dovrebbe produrre 20.000 wafer al mese, mentre quello taiwanese Fab 18 (a 3 nm) arriva a ben 120.000; ma una volta attivi, la produzione di entrambi gli impianti americani dovrebbe arrivare a oltre 600.000 wafer all’anno. Ma è un primo passo verso una maggiore diversificazione, con Apple che sta cercando di differenziare quanto più possibile da Cina e Taiwan. “Il mio sogno di 25 anni fa ora si realizzerà” afferma Morris Chang, fondatore storico di TSMC.
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