Si torna a parlare della Cina e della sua ferra politica Zero Covid, dopo che sui social sono iniziati a circolare video con protagonista un esodo di massa dalla più grande fabbrica di iPhone. Nelle clip si vedono persone che si ammassano, scavalcano recinti e fuggono dall’impianto Foxconn, portando con sé bagagli in campi e autostrade, a causa del lockdown che vede i trasporti pubblici sospesi e strade sorvegliate per bloccare la libera circolazione dei veicoli.
La politica Zero Covid in Cina colpisce Foxconn, i suoi dipendenti e la produzione Apple
Nelle scorse settimane, sui social cinesi come Weibo e WeChat si erano fatte sentire le proteste dei dipendenti Foxconn dell’enorme fabbrica di Zhengzhou. L’impianto nella capitale della provincia di Henan conta circa 200.000 dipendenti, da cui sono arrivate richieste d’aiuto contro le misure di controllo della pandemia per bloccare un focolaio di Covid-19 individuato nella fabbrica cinese. Sin da subito, sono sorte preoccupazioni sull’aver sottostimato l’entità del focolaio, con Foxconn che parlava di “un piccolo numero di lavoratori” contagiato, a cui avrebbe fornito “mezzi di sussistenza, comfort psicologico e feedback reattivo“.
Nonostante queste rassicurazioni, i lavoratori hanno lamentato misure eccessivamente rigide, come il dover percorrere un tragitto fisso obbligatorio fra dormitori e luoghi di lavoro. Inoltre, Foxconn ha chiuso le mense per evitare ulteriori contagi, obbligandoli a mangiare in dormitorio (spesso con pasti in scatola) creando un’atmosfera di degrado, anche a causa dell’accumularsi di immondizia negli spazi comuni, fra test Covid e resti del cibo. Oltre alla scarsa qualità del cibo fornito loro, i contagiati messi in quarantena hanno lamentato anche e soprattutto di non aver ricevuto cure mediche adeguate: “L’azienda ha lasciato i pazienti infetti a rimanere nel dormitorio con i loro coinquilini… come può proteggere la nostra sicurezza in questo modo?” afferma una persona coinvolta.
A causa della situazione attuale, la città di Zhengzhou ha messo in lockdown fino al 9 novembre i suoi 10 milioni di abitanti, i quali sono obbligati a rimanere a casa ed eseguire i test Covid con cadenza quotidiana. C’è preoccupazione anche nelle zone circostanti: nella città di Jiaozuo, per esempio, si chiede alla gente di denunciare i lavoratori Foxconn fuggiti dal campus. Per capire le dinamiche assolutamente stringenti della politica Zero Covid del governo Xi Jinping, la media in Cina delle ultime settimane è di circa 1.000 contagi, mentre l’Italia di circa 30.000.
Viste le scene circolate su media e social, Foxconn ha cercato di venire incontro ai dipendenti che vogliono tornare nella propria città natale, organizzando autobus e punti di raccolta. Al contempo, la compagnia taiwanese avrebbe estremo bisogno di lavoratori per mantenere una produzione adeguata di melafonini per la storica partner Apple; fra le misure adottate, si parla anche di un indennizzo di 50 yuan al giorno (circa 7€) per chi si reca a lavoro per dedicarsi alla produzione della serie iPhone 14. Secondo fonti vicine alla vicenda, Apple rischia di subire un calo della produzione fino al 30% per il mese di novembre, considerato che dall’enorme fabbrica di Zhengzhou esce il 10% della sua produzione telefonica globale.
E mentre Foxconn parla di “produzione relativamente stabile” e “impatto limitato” per le spedizioni di iPhone nel Q4 2022, Apple e Foxconn starebbero spostando parte della produzione su altri impianti a Shenzhen. Non è né la prima né la seconda volta che i lockdown in Cina mettono a dura prova la filiera tecnologica globale, specialmente quella Apple che nella nazione hanno gran parte della sua catena produttiva. Il rischio è che prodotti non solo come iPhone ma anche iPad e MacBook subiscano ritardi e intoppi tali da renderli più difficili da trovare sugli scaffali. E non stupisce che le Big Tech stiano scappando dalla Cina, cercando in altre nazioni emergenti i propri punti produttivi, come nel caso di Apple e l’India. Ma se si parla di produzione di smartphone, i numeri dimostrano che i marchi di tutto il mondo sono ancora molto dipendenti dalle fabbriche cinesi.
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