È notizia di questi giorni che i paesi del G7, cioè Unione Europea, Regno Unito, USA, Canada e Giappone, stiano valutando di mettere un tetto sul prezzo del petrolio importato dalla Russia. Una decisione che è in cantiere da mesi ma che finora aveva incontrato resistenza da parte della Germania, una delle nazioni più colpite dai risvolti energetici dell’instabilità geopolitica in Europa. L’obiettivo è quello di diminuire il flusso economico delle casse del governo Putin, dato che è dal mercato petrolifero che la Russia finanzia un comparto militare da 100 miliardi di euro l’anno, in azioni nel conflitto con l’Ucraina.
L’Europa vuole mettere un tetto al prezzo del petrolio dalla Russia: la Cina nel mirino
Non si conosce ancora ufficialmente a quanto ammonterebbe il tetto sul prezzo del petrolio, ma il G7 ha dichiarato che verrebbe garantito un margine di guadagno per la Russia. Fra i paletti previsti dal G7 c’è l’eventuale divieto al trasporto marittimo a livello globale su petrolio e prodotti petroliferi di origine russa qualora non venisse rispettato questo tetto. Come prevedibile, la Russia ha minacciato di interrompere la vendita di petrolio verso quei paesi che approveranno questo tetto, ma per il G7 il vero problema sarà trovare un accordo con grandi importatori come Cina e India, sia per motivi politici che economici.
Per farlo, il G7 vorrebbe imporre un blocco similare alle sanzioni contro l’Iran: chi non rispetterà l’accordo, quindi, comprando petrolio non rispettando il tetto al prezzo, perderà l’accesso a USA ed Europa e ai relativi mercati in dollari ed euro. Se la Cina non rispettasse questi accordi, l’esclusione dal mercato europeo potrebbe ulteriormente colpire quelle aziende tecnologiche già colpite dalla crisi economica, come Xiaomi, OPPO e vivo; anche Huawei, da tempo in crisi ed ampiamente esclusa dal mercato europeo, ha interrotto nuovi contratti in Russia per paura di essere esclusa totalmente dall’Europa.
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