Aggiornamento 26/10: ci sono nuovi risvolti nella vicenda che vede coinvolti TSMC, USA e Cina. Trovate tutti i dettagli a fine articolo.
Anche se l’allentamento della pandemia sembra star portando un minimo di sollievo, la crisi dei semiconduttori continua ad essere sotto i riflettori. E paradossalmente non è stato il lockdown, bensì le riaperture e la ripartenza globale ad attanagliare un mercato che stenta a riassestarsi del tutto. Per quanto le fabbriche chiuse in Asia siano state un duro colpo, sin dalle prime riaperture c’è stata una vera e propria corsa ai chipset che ha causato non pochi rallentamenti. Si è quindi creato una sorta di schieramento che vede contrapposti USA e Cina, esacerbando una situazione che già vede le due macro-potenze ai minimi storici. Un balletto che ha visto gli Stati Uniti e Qualcomm accusare Huawei di aver causato parte di questi rallentamenti e viceversa. E adesso è TSMC a finire nella stessa morsa, con la Casa Bianca che sta avanzando richieste nei suoi confronti per alleviare la crisi imperante.
Nonostante la piccola presenza sull’atlante mondiale, l’isola di Taiwan contiene forse la più importante azienda quando si parla di mercato e sviluppo tecnologico. Mi riferisco a TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.), ad oggi il più grande produttore di chip al mondo ergo una filiera fondamentale per moltissime aziende. Fra i principali clienti troviamo Apple, Qualcomm, NVIDIA, Broadcom, AMD, Intel e MediaTek. In precedenza fra questi figurava anche Huawei HiSilicon, ma sappiamo bene che fine abbia fatto. Se si esclude la diretta rivale Samsung e i suoi chip Exynos, se il vostro smartphone è in grado di avere la potenza che ha è grazie soprattutto al lavoro svolto da TSMC.
TSMC risponde al dito puntato contro dalla Casa Bianca e dagli USA
Dalle decisioni e dalle capacità del chipmaker taiwanese dipende una bella fetta del mercato totale, compreso quello occidentale. Anche perché ad attingere dalla fornitura di TSMC ci sono anche moltissime altre aziende di altri settori, in primis l’industria automobilistica. E per quanto sui nostri lidi vi parliamo della crisi in ottica smartphone, forse è proprio la produzione dei veicoli quella più colpita fra tutte. Anche perché l’impressione è che, forti della propria potenza economica, i produttori di smartphone siano stati in grado di fare incetta di chipset, in barba alle case automobilistiche.
In un’intervista al TIME, il presidente di TSMC Mark Liu l’ha espresso chiaramente: “[Le case automoblistiche] hanno immediatamente puntato il dito contro TSMC.“. Ma il vero problema è che le aziende starebbero acquistando più chip di quanti ne abbiano veramente bisogno, proprio in virtù della suddetta corsa agli approvvigionamenti. In un contesto storico in cui è tangibile la paura di nuove chiusure, le compagnie stanno cercando di mettersi al riparo da un peggioramento della situazione. Proprio per questo, TSMC sta cercando di triangolare i dati in suo possesso per capire quali clienti abbiano veramente bisogno di chip e chi se ne stia un po’ approfittando.
E se le aziende di tecnologia sono quelle che stanno approfittando della loro forza di mercato, ciò potrebbe significare che l’Asia, Cina in primis, sia la causa dei mali di settori in difficoltà come quello automobilistico. E qual è la zona geografica il cui indotto deriva in buona parte dalla produzione di veicoli? Esatto, proprio quegli USA dove case automobilistiche e relativi fornitori rappresentano il 3% del PIL americano. Se consideriamo quanto il governo Trump puntasse sul consolidamento del tessuto lavorativo nazionale, ecco che il ban Huawei assume nuovi significati. Con il passaggio da Trump a Biden non sembra cambiato granché, nonostante la sua posizione pubblica si stia dimostrando più morbida e meno aggressiva.
Che l’occidente dipenda dall’oriente per il mercato tecnologico non lo scopriamo certo oggi, ma la crisi dei semiconduttori ha riportato in primo piano questo legame. Gli USA stanno lavorando per rendersi più indipendenti da Cina e Taiwan, prima escludendo Huawei e ZTE dalle reti nazionali e adesso con investimenti da 50 miliardi per rendersi più competitivi nel campo dei semiconduttori. Cifre considerevoli, ma che si ridimensionano se si considera che la sola TSMC sta investendo 100 miliardi per aumentare le proprie capacità produttive.
Cosa sta accadendo fra USA e TSMC?
Alla luce di tutto ciò, scopriamo che la Casa Bianca ha richiesto a TSMC la divulgazione di informazioni su fornitori e clienti. Una domanda atta a creare più “trasparenza” sulla filiera dei semiconduttori, con tanto di questionario da parte del Dipartimento del Commercio. Al suo interno troviamo domande sul tipo di chip prodotti, dove e come vengono prodotti, le tempistiche e quali sono i clienti che ne ordinano di più. Non ha tardato ad arrivare la risposta di TSMC: “Sicuramente non faremo trapelare le informazioni sensibili della nostra azienda, in particolare quelle relative ai nostri clienti. La fiducia dei clienti è uno degli elementi chiave del successo della nostra azienda. Se questo è per risolvere i problemi della catena di approvvigionamento, vedremo come possiamo fare meglio per aiutarli. Per quanto riguarda i chip per auto, abbiamo cercato di aumentare la produzione e dare la priorità ai chip per auto a un certo livello.“.
Il tentativo del governo USA di determinare con più esattezza le cause delle limitazioni in cui sono incappate le aziende automobilistiche potrebbe proseguire e con più insistenza. Addirittura si citano minacce di costrizione di divulgazione mediante l’utilizzo di una legge sulla sicurezza nazionale risalente al periodo della Guerra Fredda. La risposta è arrivata anche da parte dello stesso governo di Taiwan, impegnatosi a sostenere TSMC contro possibili costrizioni dagli USA.
La Cina contro TSMC | Aggiornamento 26/10
Sta facendo parlare la notizia che vede TSMC collaborativa con gli USA per placare la richiesta di informazioni da parte del governo statunitense. Specialmente in Cina, dove la notizia non è stata presa per niente bene e si teme che queste informazioni potrebbero essere utilizzate per sanzionare la nazione. Una richiesta, quella delle autorità americane, che non ha riguardato esclusivamente TSMC, ma anche la sud coreana Samsung Electronics e persino l’americana Intel. Non è ancora chiaro quali informazioni verranno fornite, ma TSMC ha chiarito che non divulgherà informazioni riservate né danneggerà i diritti dei propri clienti ed azionisti.
L’intenzione degli USA sarebbe solamente di capire quali siano le motivazioni dietro la crisi dei chip, ma la Cina è preoccupata. Come afferma l’accademico Xi Chen, questi dati potrebbero aiutare gli USA a colpire le aziende cinesi sotto forma di sanzioni. Basti pensare a quanto accaduto a Huawei: da quando TSMC non produce più i suoi chip Kirin, la divisione HiSilicon ha quasi chiuso i battenti. Un’altra realtà importante colpita dal divieto di cooperare con TSMC è Phytium, una delle sette leader cinesi nell’ambito del supercomputing. Sui media e social cinesi sono spuntati numerosi articoli critici nei confronti delle azioni di TSMC, reputato un “mettersi in ginocchio agli Stati Uniti“.
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