Hanno fatto molto discutere le accuse della Lituania contro alcune aziende di smartphone come Huawei, OnePlus e soprattutto Xiaomi. Quest’ultima è stata la compagnia messa più in ombra dal report stilato dal Centro di Sicurezza Informatica della Lituania (NSCC), con accuse di tracciamento dati, falle di sicurezza e censura da parte del Partito Comunista Cinese. Secondo quanto rivelato dal report lituano, gli smartphone Xiaomi accederebbero ad una sorta di blacklist contenente parole e frasi da censurare. Se foste curiosi, potete consultare il database voi stessi: lo trovate nel mio articolo dedicato. Ma è bastato indagare in maniera più precisa per capire che non ci si trova dinnanzi ad un atto censorio, come dimostrano le prove in rete.
La Lituania accusa di censura Xiaomi: interpellato un esperto di sicurezza di terze parti
Ovviamente non è tardato ad arrivare un comunicato ufficiale da parte di Xiaomi, in cui la compagnia smentisce categoricamente qualsiasi accusa da parte del governo della Lituania. Sia che si parli di censura che di raccolta dati, la posizione di Xiaomi è irremovibile, affermando di non violare alcuna legge vigente negli stati in cui opera. Ma parliamo di accuse piuttosto pesanti, con il ministro della difesa lituano che ha chiesto ai cittadini di non acquistare smartphone Xiaomi e di gettare quelli già in possesso. Proprio per questo, la società di Lei Jun ha annunciato l’assunzione di un esperto di terze parti per indagare su quanto avanzato dalla Lituania. Non è ancora stato specificato quale organizzazione esterna sarà coinvolta nell’indagine, anche se si vocifera abbia sede in Europa.
Xiaomi ha spiegato il perché esista un database nella MIUI, il quale funge da filtro per evitare che compaiano pubblicità volgari e controverse sui propri smartphone. Una spiegazione che non ha convinto le autorità lituane, con il ministro della difesa che ha così controbattuto: “Affermare la gestione di una lista nera per filtrare i contenuti illegali significa ammettere che i telefoni sono in grado di filtrare i contenuti“. Alle sue parole si sono aggiunte quelle del deputato Margiris Abukevicius: “La nostra indagine ha scoperto che la lista nera per i filtri conteneva solo termini a sfondo politico. Se comparisse una nuova lista, ciò non negherebbe i nostri risultati, mostrerebbe solo che l’azienda sta cercando di riparare la sua reputazione“.
Questo è soltanto l’ennesimo tassello della diatriba che si è aperta negli scorsi mesi e che vede contrapposte proprio Lituania e Cina. Ad agosto la nazione europea annunciò l’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan. Una mossa che è andata contro quello che abitualmente accade, con le missioni diplomatiche europee che fanno riferimento invece alla città di Taipei (capitale di Taiwan). Ciò ha scatenato le ire del governo cinese, che storicamente rivendica la sua sovranità su Taiwan. Il mondo si divide sostanzialmente in due fazioni: chi non lo riconosce come stato indipendente (cioè Cina, Russia, USA, Canada e Unione Europea) e chi invece sì. La mossa della Lituania va proprio in quest’ultima direzione e c’è chi vede in tutto ciò una mossa geopolitica nell’eterna lotta fra occidente (principalmente USA) ed oriente (principalmente Russia e Cina).
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