Xiaomi: ecco il database delle “parole censurate” dalla MIUI

xiaomi censura cina

Se avete seguito le notizie recenti, vi sarete probabilmente accorti della Lituania contro gli smartphone cinesi, accusando in particolare Xiaomi di attuare censura sugli smartphone. Un’accusa piuttosto grave, dato che tocca un argomento delicato come quello dell’intervento del Partito Comunista Cinese nella vita dei cittadini. Che il PCC abbia una forte influenza sulla propria popolazione non lo scopriamo certo oggi, come vi ho spiegato nell’editoriale “Perché la Cina copia?. Ancora oggi, il Great Firewall impedisce a più di un miliardo di persone di accedere a qualsiasi contenuto, limitandosi a quello che il governo cinese ritiene opportuno. Ma da qui ad affermare che lo stesso comportamento passi anche attraverso multinazionali come Xiaomi ce ne passa.

Abbiamo parlato in lungo e largo della questione: se ve la foste persa, vi invito a recuperare l’articolo dedicato. Ma se volessimo riassumere in breve, il Centro di Sicurezza Informatica lituano (NSCC) ha individuato nel software Xiaomi varie falle potenzialmente pericolose. Quella che più ha fatto discutere è la presenza di un database, denominato MiAdBlacklistConfig, che conterrebbe una serie di parole e frasi sensibili. Quello che la MIUI farebbe è individuarle e, nel caso, non mostrarle nelle app di sistema. Un vero e proprio atto censorio, specialmente se si considera che nel database appaiono frasi come “independence of Taiwan“, “Tibet Independence Movement” e “Hong Kong“. Tutti argomenti molto sensibili al Partito Comunista Cinese, che negli anni ha maturato posizioni controverse verso questi territori geografici.

Xiaomi non censura nulla: lo rivela il database incriminato della MIUI

Vista così, la faccenda sembrerebbe piuttosto pensate nonché gravi nei confronti di un’azienda come Xiaomi. Fortunatamente per la compagnia di Lei Jun, la situazione è ben differente e ci sono le prove in merito. Quello che l’NSCC ha fatto è peccare di “distrazione” e non cogliere un particolare molto importante per comprendere meglio come funziona questo meccanismo. Se si scava bene all’interno della MIUI non ci vuole molto per capire che il file MiAdBlacklistConfig esiste, ma che ha un obiettivo tutt’altro che censorio.

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MiAdBlacklistConfig è quello di configurarsi con INativeAd, un modulo contenuto nello Xiaomi Global Ad Software Development Kit che gestisce la visualizzazione degli annunci pubblicitari. In poche parole, il database “incriminato” altro non è che un contenitore di parole controverse che Xiaomi non vuole che appaiono nelle pubblicità mostrate in alcune versioni (principalmente quelle asiatiche) della MIUI.

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Indagando ulteriormente, anche grazie alla collaborazione di Adam Conway (giornalista di XDA), ho messo mano sul database per consultarlo e capire meglio di cosa si tratti. Per una maggiore trasparenza sulla vicenda, ho deciso di darvi modo di scaricarlo in modo che possiate consultarlo anche voi. Premessa: il file arriva da uno Xiaomi Mi 11 Ultra con i permessi di root ed è possibile che possa variare da smartphone a smartphone. Ma il punto è lo stesso, cioè che non parliamo di atti censori bensì di filtri pubblicitari.

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La prima cosa che noterete è tutta una serie di parole e frasi sessuali che evito di riportare per ovvie ragioni. Anche per questo, non ho potuto creare un documento su PasteBin per facilitarvene la consultazione. Una volta scaricato il file, potrete aprirlo col Blocco Note di Windows (o app del genere) per leggerne il contenuto. E potrete facilmente notare anche la presenza di parole come “China” e “xiaomi mi5“. Che senso avrebbe per Xiaomi e il governo cinese applicare un’auto-censura?

È persino compresa la parola “mi“: se ci fosse censura, gli utenti Xiaomi non potrebbero visitare il sito ufficiale mi.com della stessa Xiaomi. Ma potrei andare avanti e citare anche un elenco di vari produttori come iPhone, Samsung, Huawei, ZTE, Nokia, OnePlus e così via. Perché ovviamente Xiaomi non ha alcun interesse che sui propri smartphone compaiano pubblicità che contengano riferimenti ad aziende rivali.

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