USA senza Huawei: ecco a quanto ammontano le perdite

huawei ren zhengfei

La vicenda che vede contrapposte Huawei e USA è complessa, in quanto vede coinvolte motivazioni socio/politiche che riguardano moralità ed etica. Due argomenti che non vivono soltanto di bianco e nero ma che hanno molte sfaccettature, come abbiamo espresso nel nostro editoriale. L’aspetto meno soggettivo riguarda invece la componente economica, con danni ingenti che riguardano entrambe le parti. Anche se la mossa arriva da parte del governo USA per (secondo loro) tutelare l’operato la propria economica, le problematiche investono ed investiranno anche le aziende del territorio statunitense.

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Gli Huawei fanno capire quali sono le perdite economiche se gli USA continueranno a bloccarli

La stessa Google si è espressa contrariamente alla decisione dell’amministrazione Trump in più occasioni. Le prime motivazioni riguardavano motivi di sicurezza, dato che boicottare un’azienda così diffusa al mondo offrirebbe più facilmente il fianco al mondo dell’hacking. Ma è indubbio che, senza Huawei, Big G perderà moltissimi utenti, anche se c’è da dire che buona parte di questi sono ubicati in Cina. E qua i servizi Google non ci sono già da anni, pertanto la situazione non è così tragica come apparentemente parlano i numeri.

Analizzando la vicenda da più lontano ed espandendo il discorso a tutto il settore, il punto lo fa proprio il fondatore di Huawei, Ren Zhengfei. Attraverso una delle ultime interviste, ha specificato come nel 2019 la propria azienda abbia speso qualcosa come 18.7 miliardi di dollari in componenti made in USA. Una cifra da capogiro, soprattutto se si considera la crescita rispetto al 2018, durante il quale le spese ammontavano a 11 miliardi. Cifre che, allo stato attuale, non saranno più investite dal 2020 in poi, a tutto danno delle aziende americane.

Anche se l’intento di Huawei sarebbe quello di non rimpiazzarle, continuando a rifornirsi presso le compagnie con cui ha avuto a che fare finora. I responsabili hanno specificato come le alternative ci sarebbero già a disposizione, ma che preferirebbero non optare per esse, “mantenendo buone relazioni con i fornitori americani“. La situazione è quasi paradossale, come dichiarato da Ren: “la proposta di alcuni politici USA non rappresenta a pieno l’opinione del governo. Molte compagnie americane hanno ricevuto l’approvazione dal Dipartimento del Commercio US per poterci fornire le componenti“. Lo abbiamo potuto constatare con l’ultima serie Huawei P40, fra le cui componenti figurano pezzi di provenienza americana.

Le perdite ci saranno anche per la taiwanese TSMC

Le dichiarazioni a stampo finanziario riguardano anche un’altra faccenda, sempre legata all’ostracizzazione da parte del governo Trump. Le ultime direttive faranno sì che, salvo cambiamenti ulteriori, Huawei non possa più rifornirsi da TSMC. Anche se il chipmaker non opera in America, essendo con base a Taiwan, sfrutta tecnologie di stampo USA. Un po’ come accaduto nei mesi passati con ARM, azienda britannica ma su cui è caduta la stessa scure che si abbatterà su TSMC.

Ciò significa che la divisione HiSilicon dovrà affidarsi ad aziende cinesi, in particolar modo SMIC. È innegabile che Huawei dovrebbe risentirne, rendendo più complicata la produzione dei propri chipset. D’altro canto, anche TSMC ne risentirà, se si considera che Huawei ha contribuito ai loro incassi per un totale di circa 5 miliardi di dollari. Prima di Huawei c’è soltanto Apple, in grado di far arrivare nelle casse del chipmaker qualcosa come 8.2 miliardi. Questo boost nelle revenue per TSMC da parte di Huawei è da ricercare proprio nello spauracchio delle leggi americane, non ancora ufficializzate. Ne consegue che il produttore abbia fatto razzia di scorte, in modo da essere coperta per i primi mesi da quando potrebbe partire questo ulteriore blocco.

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