C’era un tempo in cui erano gli Stati Uniti a dominare il mercato dei chip, un’epoca in cui Intel rappresentava uno dei cavalli di battaglia americani nel mondo, assieme a Fairchild e Texas Instruments. È grazie a Intel se è nato il primo microprocessore della storia, ma potrei stare a snocciolare tanti altri dati e momenti storici che hanno delineato il mondo della tecnologia per come lo conosciamo oggi. Da essere il principale nome nel campo della fabbricazione dei semiconduttori, negli anni Intel è progressivamente scesa nella classifica globale in favore di realtà asiatiche quali TSMC e Samsung. In pochi anni decenni, gli impianti taiwanesi e sud-coreani hanno scalzato quelli americani diventando l’epicentro della fabbricazione dei chip che popolano i dispositivi di tutto il mondo.
Ecco il piano ambizioso di Intel per superare TSMC e Samsung
Se si sommano Taiwan, Sud Corea e Cina, soltanto queste tre nazioni comandano il mercato con l’87% della produzione globale di semiconduttori di ogni tipo. Ma da quando Pat Gelsinger è stato nominato CEO di Intel nel 2021, egli ha reso pubblica la volontà di far tornare Intel e, di riflesso, gli Stati Uniti a essere protagonisti nella filiera dei chip. Una missione per niente facile, per quanto perorata da atti governativi come il CHIPS Act, con cui gli USA si impegnano a finanziare per 280 miliardi di dollari l’industria dei chip americani.
Se si guarda l’attuale top 10 dei chipmaker nel mondo, la classifica è composta principalmente da compagnie che fabbricano per terzi: TSMC, UMC, SMIC e così via. Troviamo anche realtà ibride come Samsung e GlobalFoundries (AMD), che producono principalmente per sé stesse. Al contrario, una compagnia come Intel ha passato la sua intera storia a concentrarsi alla produzione esclusivamente per sé stessa. Nonostante ciò le abbia permesso di creare tecnologie proprietarie di cui soltanto lei è in possesso, ciò rappresenta uno svantaggio in termini di sviluppo tecnologico ed economico. Se TSMC è il colosso che conosciamo oggi, è proprio perché ha sfruttato la sua neutralità per conquistare importanti clienti e crescere con e grazie a loro.
Da qui nascerebbe la volontà di Intel di aprire i suoi orizzonti e diventare a tutti gli effetti un chipmaker anche per altre aziende. Dall’elezione di Gelsinger a CEO, Intel ha investito più di 70 miliardi per l’evoluzione e l’ampliamento dei suoi impianti. Allo stato attuale, TSMC e Samsung possono vantare di essere le prime al mondo in grado di produrre chip fra i più sofisticati al mondo, come quelli a 4 nm che già oggi troviamo su smartphone Qualcomm, MediaTek e Samsung, a 3 nm che arriveranno nei prossimi mesi e a 2 nm per il prossimo futuro. Al contrario, Intel ha faticato per mettere su impianti efficaci nella produzione di chip a 7 e 10 nm, palesando un certo grado di arretratezza in favore delle suddette rivali.
Arriviamo così alle ultime dichiarazioni di Randhir Thakur, presidente di Intel Foundry Services, in cui afferma che l’obiettivo è diventare il chipmaker #2 al mondo. Per farlo, ha dato via alla costruzione di varie fabbriche in giro per il mondo, fra USA ed Europa, per un investimento di oltre 77 miliardi; non scordiamoci, poi, che a inizio 2022 Intel ha anche speso 5,4 miliardi per acquistare il chipmaker israeliano Tower Semiconductor, presente nella succitata top 10 dove invece latita Intel.
Nel frattempo, c’è chi fa notare come il valore di Intel in borsa si sia dimezzato nell’ultimo anno, in un contesto storico che sta colpendo duramente tutte le aziende tecnologiche a causa delle varie crisi economiche e produttive. Inoltre, il 2022 dovrebbe concludersi con un flusso di casa negativo da 2 a 4 miliardi, raddoppiato rispetto alle previsioni iniziali. Ma secondo gli analisti, un calo del genere è previsto quando si attua un cambiamento di filosofia del genere: secondo David Crawford, consulente di Bain & Co., “è una strategia molto sensata per Intel, ma non è per i deboli di cuore, la strategia peggiore per qualcuno come Intel è essere mediocri“.
Per chi produrrà Intel?
Nata come compagnia di stampo informatico, Intel si è specializzata principalmente in ambito PC e notebook, come dimostra la sua lunga storia nel mondo dei processori. Nel tempo si è poi allargata al sempre crescente ambito di server e data center, per non dimenticarci la sfortunata parentesi in ambito mobile. Nei primi anni 2000, Intel provò la strada del fornitore di chip per il mercato dei palmari per poi spostarsi anche al mercato dei feature phone, con marchi quali Samsung, Palm, Motorola e BlackBerry. Con la nascita di Android, il primo smartphone Intel Atom fu Motorola RAZR i, ma fu nel 2014 con la serie ASUS ZenFone che le CPU Intel iniziarono a diffondersi un po’ di più.
Da allora, però, l’avventura di Intel nel mondo degli smartphone è finita in un niente di fatto, annunciando la chiusura del progetto Atom nel 2016. Nel 2019 il colpo di grazia, con la vendite della divisione modem a quella Apple che recentemente ha chiuso con Intel dedicandosi alla produzione in casa dei suoi chip Apple M. Salvo improvvisi cambi di programma, è altamente improbabile che Intel decida nuovamente di gettarsi nella telefonia, preferendo invece potenziare e migliorare quello che già sa fare bene. Fra i primi clienti intenzionati a usufruire dei chip Intel ci sono Amazon AWS ma anche le stesse Qualcomm e MediaTek, che finora hanno delegato la propria produzione proprio a TSMC e Samsung.
Ma mentre si parla già di 2 nm per Taiwan e Sud Corea, Intel sta faticando ad avviare la sua produzione di massa a 5 nm, per il processo Intel 3 (3 nm) bisognerà attendere fine 2023 e per quello Intel 18A (2 nm) la fine 2024. Come afferma CCS Insight, “se Intel si imbatte in un altro incidente in cui ricadono indietro di due generazioni [nella tecnologia di produzione di chip], sono finiti“.
⭐️ Scopri le migliori offerte online grazie al nostro canale Telegram esclusivo.