Il suo fondatore fu piuttosto categorico nel bocciare l’espansione di TSMC in USA: Morris Chang l’ha definita “uno spreco e un costoso esercizio di futilità“, andando contro le intenzioni della compagnia da lui creata a Taiwan nel 1987. D’altronde, un primo tentativo sul suolo statunitense venne già fatto a fine anni ’90 con la joint venture WaferTech, un buco nell’acqua che fece desistere il chipmaker da altre avventure estere. Nel periodo post-COVID, TSMC ha ritrattato le sue posizioni, iniziando a portare i suoi impianti fuori dall’Asia, cominciando proprio dal suolo statunitense.
Il debutto di TSMC negli USA non sta andando come sperato, si pensa al Giappone
Abbiamo già parlato del perché TSMC voglia aprire anche negli Stati Uniti, una scelta da cui sono nate le prime fabbriche negli USA, entrambe situate nello stato dell’Arizona nei pressi di Phoenix, non troppo lontane da altri impianti di chipmaker quali Intel, NXP e ON Semiconductor. Un investimenti importantissimo pari a 40 miliardi di dollari, ma i lavori non starebbero però andando come previsto, per la frustrazione di TSMC. In primis la carenza di lavoratori qualificati, a cui si aggiunge l’opposizione da parte dei sindacati nazionali verso l’importazioni di lavoratori taiwanesi, fattore che potrebbe cozzare con i requisiti per avere i finanziamenti miliardari dell’US Chips Act. Senza contare i costi più alti: TSMC aveva messo in conto spese più alte del 20% rispetto a Taiwan, costi che sono poi saliti del 50%.
Tutte difficoltà che hanno costretto TSMC a spostare l’apertura dei primi impianti dal 2024 al 2025. Nel frattempo, il 2024 sarà l’anno in cui aprirà la prima fabbrica in Giappone, un impianto da 8,6 miliardi di dollari sull’isola di Kyushu. TSMC avrebbe una “visione più ottimistica” verso il paese del Sol Levante, e starebbe valutando di aumentare la capacità della fabbrica e aggiungerne una seconda per la produzione di chip più avanzati. Taiwan e Giappone condividerebbero la stessa cultura del lavoro, e la maggiore vicinanza territoriale sarebbe vantaggiosa per i fornitori di apparecchiature e materie prime.
Parlare di cultura del lavoro nel panorama tech asiatico è sempre controverso: secondo TSMC, i lavoratori nipponici sarebbe più disposti al sacrificio, fra “orari punitivi e forte impegno nei confronti del datore di lavoro, mentre le macchine per la produzione funzionano 24h in camere sterili e pulite“, riporta una fonte anonima interna alla vicenda. Le stesse preoccupazioni potrebbero sorgere per il debutto di TSMC in Europa, con una joint venture in Germania che potrebbe comportare al chipmaker gli stessi problemi sorti negli Stati Uniti, citando “lunghe ferie e sindacati forti“.
C’è poi un altro problema per gli Stati Uniti: alla luce di queste problematiche, TSMC si starebbe convincendo a non aprire nessun impianto di packaging negli USA. Questo significa che qualsiasi microchip prodotto in Arizona dovrà comunque essere spedito a Taiwan per essere preparato alla vendita, facendo venir meno l’obiettivo di ridurre la dipendenza verso l’Asia del governo Biden. E rimane così lo spauracchio dell’annessione cinese di Taiwan.
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