Possiamo dirlo: c’è un prima e un dopo rispetto al ban di Huawei, e mi riferisco allo scontro commerciale e tecnologico fra USA e Cina. Nonostante i dissapori fra le due fazioni ci siano sempre stati, in ambito tech il blocco del colosso cinese ha dato il via a una serie di azioni statunitensi che hanno via via messo i bastoni fra le ruote al mercato orientale. Uno scontro che verte soprattutto in materia di semiconduttori, con USA e paesi alleati che stanno applicando restrizioni difficili da arginare per la Cina e con esiti molto impattanti. Per non parlare dell’incognita Taiwan, le recenti accuse di spionaggio e le minacce di bombardamento delle fabbriche di TSMC. Questa volta, però, la diatriba riguarda il settore dell’e-commerce e punta dritto contro due nuovi giganti: Shein e Temu.
Shein e Temu: gli USA vogliono combattere l’anti-competitività degli shop della Cina
Da sempre, la Cina si affaccia in occidente con numerosi store online che offrono prezzi molto convenienti per prodotti che spesso non è nemmeno possibile trovare nei nostri negozi. Ma se oggi acquistare tecnologia dalla Cina è meno conveniente di una volta, la convenienza si è spostata altrove, per esempio nel mercato della moda con Shein o in quello dei gadget con Temu. Quest’ultimo ha da poco debuttato qua in Italia ma ha sin da subito riscosso un certo clamore mediatico, complici le numerose offerte a prezzi stracciati per attirare clienti su prodotti di vario tipo: giocattoli, elettronica, abbigliamento, utensili per la casa e chi più ne ha, più ne metta, in pieno stile Aliexpress.
Shein è invece stato fondato nel 2008, oggi vale 100 miliardi di dollari (più di Zara e H&M messi assieme) e se è uno degli e-commerce più utilizzati al mondo è grazie al trend della cosiddetta “moda a breve termine”, coniato per indicare la compravendita di vestiti dalla scarsa longevità. Tralasciando le considerazioni etiche che ne conseguono, giorni fa il Congresso USA ha presentato una proposta di legge per impedire agli store cinesi di vendere in occidente senza pagare i dazi. Il riferimento è al regime de minimis, cioè quell’agevolaziona economica che permette di non pagare la dogana per tutte quelle importazioni sotto agli 800$ (nel caso degli Stati Uniti), oltre a evitare ispezioni della dogana (con possibili rischi di elusione del copyright).
Questa scappatoia fa sì che store come Shein, Temu ma non solo possano vendere fuori dalla Cina a prezzi molto bassi, con ripercussioni sulla competitività di mercato. Ma se la legge andasse in porto, ecco che tutti gli store cinesi sarebbero costretti a rivedere le proprie strategie commerciali: come afferma Zhang Zhouping, analista del settore, “aumenterebbe il costo operativo per le società di e-commerce transfrontaliero, mettendole in una posizione svantaggiata nella concorrenza globale“.
Nel 2019, lo scontro fra USA e Cina portò all’aggiunta di dazi del 25% (oltre a quelli già presenti) su vari prodotti importati dalla Cina: se così fosse anche per store come Shein e Temu, sarebbe fisiologico un aumento dei prezzi per i consumatori. Secondo Earl Blumenauer, membro del Congresso USA, “la scappatoia de minimis è una minaccia per la competitività americana, la sicurezza dei consumatori e i diritti umani fondamentali“, con riferimento alle accuse verso Shein di sfruttare la manodopera uigura nello Xinjiang.
Bisogna però fare un distinguo fra USA ed Europa, perché a cavallo fra 2020 e 2021 qua da noi è arrivata la EU VAT Reform, che impone il pagamento delle tasse anche per acquisti sotto i 22€. Ma per quanto la notizia faccia riferimento al mercato statunitense, uno scossone del genere potrebbe avere ripercussioni sul business globale di questi store, Europa compresa.
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