Aggiornamento 22/05: diviene ufficiale il ban di Micron, trovate i dettagli nell’articolo.
Questa volta è la Cina a bannare uno dei principali chipmaker degli Stati Uniti: sto parlando di Micron, uno dei più grandi produttori al mondo di memorie varie fra cui RAM, SSD e chiavette USB e che agisce anche con i suoi sub-brand Ballistix e Crucial. È quindi un componente molto importante per l’industria americana dei semiconduttori, e la revisione condotta dall’ente Cyberspace Administration of China (CAC) ha avuto come esito che i prodotti venduti in Cina da Micron rappresenterebbero un rischio per la sicurezza nazionale.
Micron bannata in Cina, e gli Stati Uniti cercano aiuto da parte della Sud Corea
Il colosso statunitense ha cercato la collaborazione con il governo cinese, ma il verdetto del CAC non lascia scampo: “la revisione ha rilevato che i prodotti di Micron presentano seri rischi per la sicurezza della rete, che pongono significativi rischi per la sicurezza della catena di approvvigionamento dell’infrastruttura informativa critica della Cina, influenzando la sicurezza nazionale cinese“. Indicata come la quarta azienda di semiconduttori al mondo, Micron possiede oltre il 20% del mercato globale delle memorie DRAM e oltre il 10% di quelle NAND. E proprio perché la Cina deve appoggiarsi così tanto ai chipmaker stranieri, il blocco cinese significa per Micron perdere una grossa fetta di mercato: circa l’11% del fatturato, pari a oltre 30 miliardi di dollari, con clienti come Xiaomi, OPPO, Lenovo, ZTE e Coolpad. C’è chi afferma che il ban avrà un effetto limitato su Micron, in quanto gran parte dei prodotti DRAM e NAND vengono acquistati da produttori di elettronica di consumo piuttosto che dal governo e dalle società di telecomunicazioni; tuttavia, per gli analisti c’è il rischio che questi produttori mettano comunque da parte Micron per motivi politici.
L’indagine da parte della Cyberspace Administration of China è stata fatta partire per la “salvaguardia della sicurezza della catena di approvvigionamento delle infrastrutture informative critiche, della sicurezza informatica e nazionale“, una motivazione simile a quella che ha portato al ban delle varie Huawei, SMIC e YMTC. Le indagini si sono concentrate soprattutto sulle infrastrutture informatiche critiche, cioè quelle che interessano sicurezza nazionale, sussistenza sociale, telecomunicazioni, settore energetico, trasporti, finanza e sistemi energetici. Secondo fonti vicine alla vicenda, potrebbero partire dalla Cina sanzioni e richieste di sostituzione negli apparati interessati, come avvenuto con Huawei e ZTE nelle reti occidentali.
E a proposito di YMTC, se la Cina non può permettersi di far subodorare un possibile ban ad aziende americane come Intel, AMD, NVIDIA e Qualcomm, dalle quali dipende buona parte del suo mercato tecnologico, ben diverso è il discorso con Micron. La Cina sta investendo miliardi nel suo campione delle memorie YTMC, e c’è chi vede in un possibile ban di Micron la volontà di estromettere dal mercato nazionale il suo più grosso competitor a stelle e strisce. Allo stesso tempo, le limitazioni americane stanno impedendo a chipmaker cinesi come YMTZ, ChangXin, Longsys e BIWIN di avere accesso alle ultime tecnologie, e affidarsi unicamente a loro potrebbe essere deleterio per la competitività cinese; anche perché non soltanto gli Stati Uniti, ma anche Giappone e Paesi Bassi stanno attivamente mettendo i bastoni fra le ruote alle aziende cinesi.
Secondo i consulenti di ChipLaw, “è molto probabile che la domanda di chip di memoria di fascia alta verrà trasferita a Samsung e SK Hynix”, e proprio per questo il governo Biden avrebbe chiesto al Sud Corea di non colmare il vuoto creato dal ban di Micron in Cina: questo perché, più che Micron, sono le sud-coreane Samsung e SK Hynix ad avere la leadership del mercato (70% delle memorie DRAM, 50% di quelle NAND).
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