Giappone e USA: l’alleanza nei chip è un serio rischio per la Cina

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Chip 4 Alliance, detta anche “Fab4”, un’importante alleanza strategica fra USA, Taiwan, Sud Corea e Giappone che impensierisce la Cina. Da quando è nata, la nazione guidata da Xi Jinping ha iniziato ad accusare pesantemente l’ostracizzazione che Stati Uniti e alleati asiatici hanno imposto alla sua industria dei chip. L’obiettivo di queste quattro nazioni è quello di creare un gruppo unito che contrasti le pressioni geopolitiche esercitate dalla Cina; obiettivo che vediamo adesso ufficialmente confermato dal Giappone, con il suo ministro dell’economia, del commercio e dell’industria che si è pronunciato in maniera piuttosto decisa contro la Cina.

Il Giappone conferma la volontà di allearsi con gli USA per contrastare il mercato dei chip della Cina

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In una recente intervista, il ministro giapponese Yasutoshi Nishimura ha ribadito l’intenzione di coordinarsi con gli Stati Uniti per limitare le esportazioni tecnologiche verso la Cina, nonché lo sviluppo congiunto di tecnologie a doppio uso. Negli scorsi mesi, gli USA hanno rivendicato l’accordo di Wassenaar, firmato nel 1996 da 42 nazioni, con cui controllare le esportazioni nel mondo di quelle tecnologie a scopo sia civile che militare, fra cui rientrano proprio i semiconduttori; inutile dire che, fra queste 42 nazioni, non è presente la Cina.

Da quando la Cina ha aumentato le pressioni per imporre il suo status quo nel Mar Cinese Orientale e Meridionale, e da quando sono aumentate le provocazioni verso Taiwan, il governo giapponese ha fermamente condannato l’operato cinese. Le previsioni affermano che il Giappone dovrebbe unirsi agli USA nel blocco dei chip verso la Cina, in collaborazione anche con i Paesi Bassi. Mentre Taiwan e Sud Corea sono le nazioni leader nello sviluppo dei microchip più avanzati, Giappone e Olanda lo sono quando si parla di macchinari e attrezzature varie. Dagli impianti delle giapponesi Shin Etsu e Sumco esce oltre il 50% dei wafer di silicio usati in tutto il mondo, sono di Tokyo Electron e delle europee ASML e Carl Zeiss i macchinari senza cui aziende come TSMC e Samsung esisterebbero; per non parlare di Sony, che produce oltre il 50% dei sensori fotografici mondiali, di Kioxia che è il secondo produttore di memorie globali e di Renesas, il terzo chipmaker mondiale nella produzione di chip per automobili.

Nella storia della tecnologia, la Cina è arrivata per ultima nello sviluppare un mercato interno, soffrendo in maniera acuta la dipendenza dalle tecnologie straniere. Lo abbiamo visto soprattutto con Huawei, che da quando ha subito il ban americano non è più in grado di prodursi chip da sola ed essere competitiva. E se è successo questo a un colosso come Huawei, è andato molto peggio alle realtà più piccole, con i vari blocchi americani che hanno fallire migliaia di aziende e rischiano di rallentare pesantemente l’industria cinese.

Le scelte del Giappone non sono soltanto di natura geopolitica ma anche di semplice convenienza. La politica Zero Covid ha compromesso pesantemente la globalizzazione e i legami economici fra le varie nazioni, che non vedono più nella Cina l’hub tecnologico mondiale che era fino a qualche anno fa. Come afferma il ministro Nishimura, “il Giappone ha imparato che non deve dipendere eccessivamente da altri paesi, in particolare da un solo paese specifico, per beni e tecnologie indispensabili per le nostre industrie e la nostra vita quotidiana“. In virtù della Chip 4 Alliance, il Giappone ha dato via a varie collaborazioni strategiche, come la joint venture fra Sony, Toyota e TSMC per il mondo automobilistico e l’accordo fra IBM e Rapidus per le prime fabbriche a 2 nm. E come non citare l’apertura delle prime fabbriche TSMC e Samsung in America, o l’espansione di Intel in Europa, a cui potrebbe seguire anche TSMC.

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