Dopo mesi di discussione, a fine 2022 è arrivata la decisione da parte dell’Europa: il connettore unico si farà e su tutti i dispositivi elettronici, anche quelli targati Apple. Una notizia che ha fatto molto scalpore nel mondo tecnologico, dopo oltre un decennio di utilizzo della porta Lightning soprattutto su iPhone ma anche su molti altri prodotti del suo catalogo. A partire dai prossimi mesi, probabilmente già dalla serie iPhone 15, avverrà il tanto atteso cambiamento: ripercorriamo quindi la storia della porta Lightning per capire come mai Apple l’ha inventata e utilizzata per così tanto tempo, pur suscitando le critiche dei consumatori.
La storia della porta Lightning, fra luci e ombre dell’evoluzione tecnologica di Apple
Per avere un quadro più ampio bisogna tornare indietro al 1986, quando Apple creò la tecnologia FireWire, cioè il suo nome commerciale dello standard IEEE 1394 sviluppato assieme ad altre compagnie come Sony, LG e Panasonic per sostituire il precedente standard Small Computer System Interface (SCSI). La storia dei connettori proprietari per Apple inizia quindi già negli anni ’90, quando lo standard FireWire si diffuse in settori quali videocamere, PC e hard disk esterni grazie alla sue prestazioni fino a 400 Mbit/s. Dal 1997 in poi tutti i Macintosh ne vennero dotati, ma dal 2009 Apple e Intel collaborarono per la creazione di quella che divenne la tecnologia Thunderbolt (inizialmente presentata con il nome di Light Peak), adottata su MacBook Pro a partire dal 2011. Quel connettore era in grado di incorporare in unico cavo USB, PCI Express e DisplayPort, oltre a toccare velocità di 40 Gbit/s nelle sue iterazioni più recenti.
Nel frattempo, sulla linea di PC portatili Apple si fece strada anche la tecnologia MagSafe, lanciata nel 2006 con i primissimi MacBook Pro. Il connettore reversibile fungeva da caricatore magnetico, con tutti i vantaggi che ne conseguivano: era facile da collegare grazie alla forza dei magneti, eliminava il rischio che il PC cadesse se tirato perché si staccava quando colpito ed era dotato di un LED che comunicava lo stato della carica anche a coperchio chiuso. Questo connettore venne però eliminato nel 2016 in favore della porta USB-C, sia perché il cavo MagSafe tendeva a rompersi più frequentemente di quanto si potesse desiderare sia perché Apple preferiva che con un cavo unico si potesse fare tutto.
Tornando a parlare di FireWire, fu nel 2003 che la compagnia scelse di accantonarlo con iPod 3rd Gen in favore di un nuovo connettore a 30 pin, in grado di gestire sia ricarica che trasferimento dati ad alta velocità. In pochi anni, questo standard si diffuse su tutti i vari iPod (Classic, Nano e Touch) ma soprattutto su iPhone, il cui debutto avvenne nel 2007. Ma non ci volle molto prima che Apple si accorgesse che questa tipologia di connettore era un grosso limite per la corsa alla miniaturizzazione telefonica.
Ed è qui che sorge la domanda: perché Apple non ha usato la porta USB-C? Nel 1998 fu proprio Apple la prima al mondo a introdurre la tecnologia USB-A sul suo iMac G3, sostituendo gli standard RS-232, ADB e SCSI. Per non parlare del fatto che Apple fa(ceva) parte del consorzio che risponde al nome di USB Implementers Forum, incaricato di sviluppare le prossime evoluzioni del mondo USB e da cui è nato anche lo standard USB-C.
Il problema sorse nel 2010, quando sugli scaffali usciva iPhone 4 ma gli ingegneri Apple erano già al lavoro su quello che sarebbe poi diventato iPhone 5. L’obiettivo era che avesse sì uno schermo più grande ma che avesse il 12% di volume strutturale in meno, risultato impossibile da raggiungere con il troppo grande connettore a 30 pin. Lo standard USB-C non sarebbe stato pronto prima del 2014, perciò Apple avrebbe dovuto scegliere se aspettare 2 anni e avere uno smartphone più grosso (e meno sexy) di quanto sperato o trovare una nuova soluzione.
Fu così che nacque la tecnologia Lightning, il tanto controverso connettore a 8 pin che venne introdotto nel keynote di fine 2012 assieme ad iPhone 5, iPod Touch 5th Gen, iPod Nano 7th Gen e successivamente su iPad 4th Gen e sul primo iPad Mini. Oltre a essere più piccolo e sottile, era stato preferito al connettore microUSB per il fatto di essere reversibile, proprio come quello USB-C che però si sarebbe iniziato a diffondere 3 anni dopo. Inoltre, l’integrazione di un chip di autenticità permetteva ad Apple di bloccare la fabbricazione di accessori senza autorizzazione, avere un ecosistema più controllato e di qualità così come obbligare i produttori di terze parti a collaborare con loro (e pagare le relative royalties).
Inutile dire che questa transizione generò molte critiche, in primis per la mancanza di retrocompatibilità che rendeva obsolescenti milioni se non miliardi di accessori venduti in tutto il mondo dal primo iPhone alla serie 4S. La mancanza di un adattatore in confezione inasprì ulteriormente le critiche, che Apple tenne a mente quando nel 2016, per il lancio delle AirPods, tolse la porta mini-jack da iPhone 7 ma aggiungendo l’adattatore nella scatola (almeno per i primi anni). Non mancarono critiche anche in termini di performance: la porta Lightning non andava oltre i 480 Mbit/s (praticamente una USB 2.0), limite giustificato dal fatto che il trasferimento di dati via cavo sarebbe stato sempre meno usato su smartphone; e infatti su Mac e iPad il passaggio a USB-C è avvenuto proprio per la loro appartenenza al mondo PC, dove questo tipo di trasferimento è più comune.
Nel 2015, questo limite venne aggirato con il primo iPad Pro, per cui venne creata una nuova versione della porta Lightning dove sfruttare tutti e 16 i pin del connettore per avere supporto USB 3.2 Gen 1 e alzare la velocità a 5 Gbit/s. Tuttavia, a partire dal 2018 la gamma iPad si è progressivamente spostata allo standard USB-C, e lo stesso è avvenuto con i PC. Nel 2015, la linea MacBook abbracciò in toto la USB-C, con una mossa anche troppo azzardata in quanto eliminò di colpo non solo USB-A ma anche slot SD, HDMI e MagSafe; per Apple il futuro era wireless, salvo poi tornare sui suoi passi con i modelli più recenti. Lo stesso è avvenuto con le macchine più performanti, con l’adozione della porta USB-C anche sui Mac Pro dal 2019.
Arriviamo così ai giorni nostri, con l’Unione Europea che richiede a gran voce che tutti i produttori tech si adeguino e inizino a creare prodotti soltanto USB-C. Per uno studio nel 2019 redatto dalla commissione europea, nel 2018 il 50% dei caricatori in commercio era di tipo microUSB, 29% di tipo USB-C e 21% di tipo Lightning, aumentando così il rischio di rifiuti elettronici se a ogni acquisto di uno smartphone servono caricatori e cavi nuovi. Il dito era puntato perlopiù verso Apple, che non tardò a controbattere, parlando di “preoccupazione che una regolamentazione così rigorosa soffochi l’innovazione piuttosto che incoraggiarla, danneggiando i consumatori in Europa e nel mondo“. La risposta di Thierry Breton della commissione europea fu altrettanto secca: “Ogni volta che presentiamo una proposta, queste aziende iniziano a dire ‘sarà contro l’innovazione’: no, non è contro l’innovazione, non è contro nessuno, è per i consumatori.”.
Prima che arrivasse il sì dell’Europa si vociferava che Apple stesse valutando di abbandonare la tecnologia Lightning in favore di un iPhone privo di porte, avendo già dalla sua standard come MagSafe e Smart Connector per gestire ricarica e trasferimento dati senza bisogno di porte. Tuttavia, per gli addetti ai lavori già con iPhone 15 dovrebbe avvenire la transizione da Lightning a USB-C: non solo meno rifiuti, ma anche la possibilità per i possessori di iPhone, iPad e MacBook di portarsi dietro un solo cavo per caricarli tutti. E nel frattempo si inizia già a parlare di ricarica rapida comune, ovvero quello che potrebbe essere il prossimo step nella ricerca di una maggiore universalità tecnologica.
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