Il piano di Huawei per tornare a farsi i chip

huawei chip

Di tutti i limiti imposti dal ban USA, quello che colpisce maggiormente Huawei è l’impossibilità di farsi i chip da sola. Dal momento in cui è stata inserita nella Entity List, la compagnia cinese ha perso la possibilità di commerciare liberamente con TSMC. Fino al 2019, infatti, il chipmaker taiwanese si era occupato di fabbricare i semiconduttori ingegnerizzata da HiSilicon, la divisione fabless di Huawei incaricata di sviluppare i chipset Kirin. Dal giorno del ban in poi, Huawei si è trovata costretta a ricorrere alle scorte in magazzino, salvo poi trovare sollievo nell’ottenere le licenze necessarie per mettere mano sui SoC Qualcomm, ma con un limite importante: l’assenza di 5G.

Fintanto che Huawei non potrà tornare a fare smartphone 5G, non si potrà considerare veramente competitiva in un mercato in cui il 5G è sempre più alla portata di tutti. Il crollo nelle vendite sottolinea quanto Huawei non sia più un brand tenuto in considerazione dai consumatori, specialmente quando smartphone come Huawei Mate 50 costano oltre 1.000€; e anche se il sold out sembra dire il contrario, l’impressione è che si tratti più di questione di avere scorte più piccole del normale.

Huawei sta pianificando di tornare alla produzione di chip, grazie ai chipmaker cinesi

Come riporta Nikkei, Huawei sarebbe sempre più intenzionata a tornare a sorpassare i limiti imposti dal ban statunitense e tornare a produrre i chip in casa. Non potendo più affidarsi a TSMC, nei piani della società sarebbero previste collaborazioni con alcuni dei principali chipmaker che popolano l’industria della Cina. Niente da fare, quindi, per l’ipotesi che vedeva Huawei propensa a costruire impianti per la produzione di HiSilicon: sarebbe un onere troppo dispendioso, in una situazione economica non propriamente brillante per l’azienda.

Per l’occasione, si vocifera che Huawei starebbe persino riprogettando il design dei suoi chip per poter funzionare con tecnologie di fabbricazione più datate, a causa dei limiti produttivi della Cina. Se realtà come TSMC e Samsung possono stampare chip a 3 nm EUV è perché hanno libero accesso ai macchinari ASML, gli unici ad aver raggiunto questo grado di miniaturizzazione e complessità. Al contrario, il chipmaker cinese più avanzato, cioè SMIC, produce sì a 7 nm ma con tecnologia DUV (Deep Ultraviolet), una generazione indietro rispetto a quella EUV (Extreme Ultraviolet).

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Anziché costruire impianti proprietari, Huawei starebbe inviando addetti e finanziamenti a compagnie quali JHICC (Jinhua Integrated Circuit) e NSI (Ningbo Semiconductor International), con l’obiettivo di assemblare linee produttive che non siano soggette alle leggi americane. Non viene fatta menzione di SMIC, anche se è l’azionista principale di NSI e pertanto esiste un legame fra le due. Inoltre, Huawei starebbe lavorando al fianco di chipmaker minori e le relative fabbriche in aree come quella di Shenzhen.

Nonostante il pensiero vada subito agli smartphone, è plausibile che nei piani di Huawei ci sia la volontà di consolidare la sua posizione prima nell’ambito delle telecomunicazioni, dove prima era una delle aziende più importanti al mondo. Se nel 2020 aveva il 33% del mercato globale, nel 2022 è calata ma non troppo al 27,4%, forte del 53% del mercato cinese. Almeno inizialmente, i chipmaker al fianco di Huawei potrebbero produrre chip poco avanzati per i telefoni ma adeguati per le apparecchiature di rete, meno dispendiose in termini di nanometri; senza contare che Huawei produce circa 500.000 di queste apparecchiature, mentre di smartphone ne produce a milioni, e questo verrebbe incontro alla minor tiratura di chip di cui sarebbero in grado le compagnie cinesi.

Di tutte le compagnie citate, SMIC e altre sono finite nel mirino del ban USA, ma i relativi limiti non si paleserebbero nel momento in cui la filiera costruita con Huawei non interessasse prodotti con tecnologie americane. Per esempio, JHICC si occupava di creare memorie DRAM ma nel 2018 è stata frenata dal ban USA dopo l’accusa di furto di proprietà intellettuale ai danni dell’americana Micron; con l’aiuto di Huawei, JHICC potrebbe convertire la sua linea produttiva dalle memorie a processori e chip logici. Per quanto riguarda NSI, la sua specializzazione in componenti a radiofrequenza e chip analogici ad alta tensione sarebbe decisamente utile per i prodotti telecomunicativi di Huawei.

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