Sembra non voler placarsi il dissidio fra India e Cina, con il contenzioso geografico che sta impattando anche sul mondo economico colpendo le aziende cinesi, Huawei compresa. Tutto è partito dal ban di tantissime app cinesi, a cui sono seguiti i blocchi delle approvazioni dei telefoni cinesi per poi più recentemente toccare anche la sfera finanziaria. Tutto è partito negli scorsi mesi, quando le autorità indiane accusarono Xiaomi di aver violato le leggi fiscali con un conseguente enorme sequestro monetario ai suoi danni. Dopo la società di Lei Jun è stato il turno di vivo, che per la stessa accusa è finita anch’essa vittima di perquisizioni e blocco di conti bancari.
Dopo Xiaomi e vivo, anche Huawei finisce nel mirino delle autorità indiane
Non è la prima volta che l’India decide di boicottare le operazioni di Huawei: nel corso del 2020, dopo USA e paesi occidentali, anche il governo indiano decise di bannare il 5G di Huawei e ZTE. Questa volta, però, il problema non riguarda la sicurezza delle infrastrutture di rete bensì le leggi fiscali. Proprio come avvenuto per Xiaomi e vivo, anche questa volta è l’Enforcement Directorate, agenzia contro la criminalità finanziaria, a puntare il dito contro Huawei.
Secondo le autorità nazionali, infatti, la divisione indiana di Huawei avrebbe evaso le tasse rimpatriando in Cina circa 94,5 milioni di dollari. Questa somma sarebbe stata fatta passare sotto forma di dividendi, in modo da ridurre il reddito imponibile in India e dichiarare ricavi minori e conseguentemente pagare meno tasse. Anche se la notizia è divenuta pubblica in questi giorni, le indagini vanno avanti da mesi, visto che già a febbraio il dipartimento indiano ha congelato i conti bancari indiani di Huawei, operazione preceduta da perquisizioni all’interno dei suoi uffici.
Tuttavia, l’Alta Corte di Delhi ha sospeso il congelamento chiedendo maggiori dettagli al dipartimento, il quale ha risposto con accuse dettagliate e materiale incriminante contro Huawei. Ha poi specificato che Huawei non ha libri contabili affidabili a disposizione, rendendo di fatto impossibile accertare la veridicità dei redditi dichiarati alle autorità. Inoltre, non è stato fornito l’accesso alle mail di Yang Yi, direttore finanziario di Huawei, con cui verificare l’operato fiscale.
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