I prototipi VR di Meta ci mostrano il futuro della realtà virtuale

meta prototipi visori vr

Sin dall’acquisizione di Oculus nel 2014 per la bellezza di 2 miliardi, Meta (ex Facebook) ha fatto capire al mondo di voler puntare molto sulla realtà virtuale. Da allora, Oculus è diventata Reality Labs e ha dato via a una serie di progetti più o meno futuristici, come il metaverso Horizon Worlds, e la creazione di dispositivi VR e AR. Uno su tutti il Meta Quest, visore VR apprezzato per essere stand-alone e non necessitare il collegamento a un PC per l’elaborazione delle prestazioni. Tuttavia, i visori attualmente in commercio sono ancora da perfezionare sotto il profilo tecnologico, e questo Meta e Reality Labs lo sanno bene.

Mark Zuckerberg mostra al mondo gli sviluppi tecnologici dei visori VR di Meta

In questi giorni si è tenuto “Inside the Lab”, evento dal quale sono fuoriusciti tre prototipi di visore VR a cui le aziende di Mark Zuckerberg stanno lavorando. Quando si pensa a un prodotto del genere, la sfida più grande riguarda il display, elemento essenziale per ricreare un’esperienza quanto più immersiva e “realistica” possibile. Come premesso, oggi la tecnologia a cui il pubblico ha accesso è ancora limitata sotto alcuni aspetti, come per esempio la definizione dello schermo.

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Al contrario degli smartphone, dove avere una risoluzione elevata lascia il tempo che trova, è una caratteristica essenziale per i visori, data l’estrema vicinanza del pannello agli occhi. Nasce così Butterscotch, prototipo in grado di spingersi dove nessun visore commerciale si è mai spinto. Lo schermo qua utilizzato ha una risoluzione di 55 PPD (pixel per grado), dove 60 PPD è il benchmark di riferimento, cioè la soglia base per offrire una risoluzione retinica. Per capirci, Butterscotch ha una risoluzione pari a due volte e mezzo quella di Meta Quest 2. Il risultato non è stato raggiunto con un nuovo pannello (attualmente non ne esistono di così avanzati), bensì riducendo il campo visivo della metà e sviluppando un nuovo obiettivo. Come potete vedere dall’esempio qua sopra, la differenza è piuttosto notevole.

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Il secondo prototipo si chiama Starburst, probabilmente il primo visore VR HDR esistente al mondo. Una feature ancora agli albori, come si evince dal notevole ingombro del visore (con tanto di ventole di dissipazione), ma che mira a risolvere un altro limite delle attuali tecnologie. Spesso gli oggetti nel mondo reale sono 10 o 100 volte più luminosi degli schermi in commercio, e ne consegue che i colori devono essere altrettanto vividi per risultare realistici. Per capirci, se la serie TV Samsung 65Q9 raggiunge un massimo di 2.000 nits in HDR (Quest 2 si ferma a 100 nits), l’obiettivo di Meta è quello di toccare i 10.000 nits. Un risultato infranto da Starburst, tramite al posizionamento di una lampada luminosa dietro ai pannelli LCD con cui arriva addirittura a 20.000 nits.

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Passando a qualcosa di più concreto, Holocake 2 è il prototipo che mira a essere il visore VR più sottile e leggero mai costruito. Normalmente, l’ingombro del visore è dettato dalla distanza fra schermo e occhio, necessaria per avere una corretta messa a fuoco. Per ovviare a ciò, Meta ha sviluppato due tecnologie ad hoc, a partire dai display olografici. Come spiega Mark Zuckerberg, “gli olografi sono fondamentalmente registrazioni di ciò che accade quando la luce colpisce qualcosa. Quindi, proprio come un olografo è molto più piatto della cosa stessa, l’ottica olografica è molto più piatta delle lenti standard, ma influenzano la luce in entrata più o meno allo stesso modo“.

L’altra tecnologia è la riflessione polarizzata, un metodo di piegatura ottica che riduce lo spazio fra display e obiettivo, possibile grazie anche alla sostituzione di laser al posto dei LED come sorgente luminosa. A differenza dei prototipi precedenti, Holocake 2 è funzionante e in grado di offrire esperienze VR stand-alone al livello di quelle di visori collegati a PC. Tuttavia, sarà necessario progettare laser così sofisticati ma che abbiano un prezzo abbordabile per il mercato consumer.

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L’ultimo prototipo, questa volta puramente concettuale e senza una riproduzione fisica, si chiama Mirror Lake. In questo caso, il limite che si vuole aggirare è quello della messa a fuoco, altro elemento essenziale per avere una visione realistica. Questo perché nella vita reale siamo in grado di usare la vista per mettere a fuoco sia da vicino che da lontano, con tutte le sfumature nel mezzo. Al contrario, sugli attuali visori VR la messa a fuoco è limitata a una porzione dell’inquadratura. Mirror Lake combina lenti varifocali Half-Dome e tecnologie di eye-tracking per permettere al visore di cambiare la messa a fuoco a seconda di dove l’utente sta guardando.

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