I chipmaker che stanno cercando di espandere le capacità di produzione stanno soffrendo una carenza senza precedenti di componenti e forniture. I principali produttori di attrezzature – come Applied Materials, KLA, Lam Research e ASML – citano carenze di ogni tipo: lenti, valvole, pompe, microcontrollori, tecnopolimeri e moduli elettronici, per dirne alcuni. Le attese si rivelano molto lunghe per alcune macchine cruciali: si passa da una media di circa 3/4 mesi prima della pandemia a 10-12 mesi nel 2021 ad adesso, con ritardi fino a 18 mesi. Ci sono addirittura casi con più di 20 mesi di attesa, come nel caso di alcune apparecchiature di prova prodotte dall’americana UCK. Per non parlare dei 30 mesi per ricevere le apparecchiature per la realizzazione dei substrati, cioè il materiale per il trasporto dei chip prima dell’installazione sui circuiti stampati: a dirlo è proprio Umicron, il più grande produttore mondiale di substrati.
Fonti del settore affermano che i ritardi nell’ottenimento delle apparecchiature per la produzione di chip sono “i peggiori degli ultimi decenni“, poiché la carenza di componenti e i ritardi logistici aumentano lungo tutta la catena di approvvigionamento. Questo va a scapito di TSMC, UMC, Intel e Samsung, che stanno costruendo nuovi impianti per sopperire alla crisi dei chip. Impianti programmati per entrare in funzione alcuni già dal prossimo anno, ma si sta iniziando a temere che questi ritardi nelle consegne influiranno sui piani. I chipmaker stanno persino inviando dirigenti di alto livello per sollecitare i fornitori di apparecchiature a sforzi maggiori. Come afferma un manager di settore, “il mese scorso un fornitore di componenti mi ha detto che i tempi consegni sono di circa 6 mesi, la scorsa settimana che sarebbero stati 8 mesi e questa settimana sono diventati 10 mesi“.
La domanda di chip è alta, ma l’offerta scarseggia a causa della crisi dei chi
A questo punto, TSMC è preoccupata di non riuscire a rispettare le consegne previste; ed è un problema, perché parliamo di uno se non iò chipmaker forse più importante al mondo. Fra i suoi clienti troviamo Apple, NVIDIA, AMD, Intel, Qualcomm, MediaTek e Broadcom, per dirne soltanto alcuni. Sempre nell’isola di Taiwan, il CFO del chipmaker UMC (il quarto al mondo) afferma che “la carenza di componenti potrebbe iniziare a migliorare solo nella seconda metà del 2022“. Al contempo, ASML (fornitore di apparecchiature chiave per la stampa dei chip) afferma che “la carenza di chip potrebbe durare due anni, l’intero settore si sta preparando per affrontare questo problema“.
Il problema è che per le aziende di tecnologia è praticamente impossibile trovare vie alternative: molti componenti sono realizzati con tecniche esclusive e introvabili altrove, come nel caso degli obiettivi fotografici Zeiss o le pompe chimiche Iwaki. Trovare un’alternativa richiede un lungo processo di verifica, necessario per testare la garanzia di continuità e qualità della filiera produttiva dei semiconduttori. È anche per questo che la Cina, nonostante il colosso tecnologico qual è, sta faticando a imporsi nel panorama dei chipmaker, legato a realtà occidentali o vicine ai relativi mercati (come Taiwan, Giappone e Sud Corea).
Nel frattempo, Gokul Hariharan, dirigente di JPMorgan, ha sottolineato come queste problematiche si riscontrino con i rallentamenti di mercato. “Dal punto di vista generale, la più grande preoccupazione è se la crescita della domanda dell’industria dei semiconduttori sia sostenibile. Vediamo già segni di rallentamento [della domanda] per l’elettronica di consumo e ciò potrebbe avere implicazioni per la catena di approvvigionamento dei semiconduttori”. Lo dimostra il fatto che i brand di smartphone cinesi stiano rallentando le spedizioni di smartphone in tutto il mondo.