Alla presidenza Trump sia succeduto il mandato a Joe Biden, ma il ban USA è ancora un grosso fardello per l’operato di Huawei. Nonostante l’azienda cinese abbia chiesto udienza per chiarire la propria posizione, la lotta fra USA e Cina non accenna a placarsi. Di recente abbiamo assistito all’ultima evoluzione del processo contro Meng Wanzhou, adesso liberata e tornata in Cina ma ancora imputata di varie violazioni delle leggi internazionali. Di recente, poi, sempre il governo americano ha investito grosse somme di denaro per buttare fuori Huawei e ZTE dalle proprie infrastrutture e sta cercando di fare lo stesso in Europa. Ma anche se il ban americano è tutt’altro che prossimo ad essere sollevato, c’è chi l’avrebbe violato e quasi paradossalmente proprio negli USA.
Mi riferisco a Seagate, storica multinazionale con sede proprio in California nonché il più grande produttore di hard disk al mondo. Vien da sé che in passato Seagate sia stata fra le aziende partner di Huawei, con cui ha avuto a che fare per la vendita di unità di archiviazione. Ma da quando il ban USA è entrato in vigore e Huawei è stata inserita nella Entity List, nessuna azienda può avere rapporti commerciali che riguardino prodotti derivanti da tecnologie di stampo americano. Che siano aziende americane o asiatiche, il divieto rimane tale. Sembrava strano che nessuno avesse violato questo divieto, ma oggi scopriamo che c’è almeno un caso di violazione in tal senso. E riguarda proprio l’americana Seagate, che successivamente al ban del governo Trump avrebbe continuato a spedire hard disk a Huawei.
Seagate avrebbe violato il ban USA, vendendo attrezzature a Huawei
A far scattare la denuncia è stato il senato USA, nella fattispecie il comitato incaricato per commercio, scienza e trasporti. Le indagini si sono concentrate sulla presunta violazione da parte di Seagate della norma emessa nel 2020 dal Bureau of Industry and Security. Una norma che “mira in modo stretto e strategico all’acquisizione da parte di Huawei di semiconduttori che sono il prodotto diretto di determinati software e tecnologie statunitensi“. Una definizione generica ma che sostanzialmente ricopre qualsiasi prodotto basato su semiconduttori che derivi da tecnologie americane.
Fatto sta che questa genericità è stata sfruttata in modo più o meno consapevole da Seagate, che ha affermato alle autorità americane di non aver richiesto alcuna licenza per continuare a vendere hard disk a Huawei. Secondo le dichiarazioni della compagnia americana, la licenza non sarebbe stata richiesta in quanto non sarebbe stata reputata necessaria per la vendita di dischi rigidi. Seagate ha poi specificato di aver successivamente interrotto le spedizioni, senza però specificare in quale data.
Secondo le stime del comitato del senato USA, Huawei spenderebbe circa 800 milioni di dollari l’anno nell’acquisto di dischi rigidi da impiegare principalmente in data center e server. Nel mentre, gli analisti di settore sottolineano come Seagate sia arrivata ad avere il 51% del mercato dei dischi rigidi a fine 2020 ed una crescita azionaria dell+86% proprio successivamente al ban USA. Inoltre, Huawei avrebbe aumentato le vendite di sistemi di archiviazione di oltre il 30%, un risultato che pare improbabile senza l’aiuto di un partner strategico quale Seagate. Al contrario, rivali come Western Digital e Toshiba avrebbero effettivamente interrotto le spedizioni verso Huawei, finendo per essere penalizzate economicamente.
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