Annunciato a inizio anno, l’European Chips Act è il piano che l’Unione Europea ha studiato per contrastare la crisi dei semiconduttori che continua ad affliggere il mondo. Così come tutte le regioni nella produzione tecnologica, anche l’Europa ha subito le ripercussioni che la crisi dei chip ha comportato per l’intera filiera globale. Anche perché, se Taiwan e Sud Corea possono vantare le fabbriche più avanzate al mondo, lo stesso non possono dire le nazioni europee, che dipendono molto dagli impianti asiatici quando si parla di dispositivi consumer come smartphone, tablet, PC e quant’altro. Differente è la situazione se si parla di automobili e industrie, dove chipmaker europei come Infineon, NXP e STMicroeletronics hanno grosse quote di mercato. Per non dimenticare ASML e Carl Zeiss, le aziende olandesi che producono quei macchinari senza cui TSMC e Samsung non sarebbero in grado di realizzare chip così sofisticati.
I chipmaker lanciano l’allarme: servono più soldi per l’European Chips Act
Da qui nasce la volontà delle autorità europee di creare l’European Chips Act, il cui obiettivo è quello di riportare l’Europa ad avere un ruolo importante nel mercato globale dei semiconduttori. Nel 2020, sono stati prodotti 1 trilione di microchip in tutto il mondo, ma soltanto il 10% di questi sono stati prodotti in Europa. Oltre a questa minore competitività, ci sono anche le conseguenza della crisi dei chip e i colli di bottiglia venutisi a creare con gli effetti della pandemia. Ecco, quindi, che la Commissione Europea ha studiato un piano di investimenti da oltre 43 miliardi di euro per salire dal 10% al 20% della produzione globale entro il 2030; si parla di costruire nuove fabbriche, potenziare quelle già esistenti, investire nelle tecnologie di ultima generazione, dare sostegno alla filiera europea e solidificare le partnership con i paesi alleati.
Ma secondo le realtà coinvolte, i fondi sarebbero assolutamente insufficienti per riportare l’Europa a una posizione di leadership nel mondo dei semiconduttori. A dirlo è NXP, il più grande chipmaker d’Europa ed ex storica divisione semiconduttori di Philips: come dichiarato dall’AD Kurt Sievers, servirebbero 500 miliardi di euro di investimenti per arrivare al 20% a cui ambisce il Chips Act europeo. Questo perché per passare dal 10% al 20% significherebbe triplicare o quadruplicare le capacità di produzione chip del continente.
Nel frattempo, la Corea del Sud ha previsto un piano di investimenti da ben 460 miliardi per aumentare la sua quota globale dal 3% al 10%; c’è poi Taiwan, che con il suo colosso TSMC ha pronto un piano da 100 miliardi per solidificare la sua posizione di leadership. Al contrario, il Chips Act degli Stati Uniti si ferma a 52 miliardi, cifra che potrebbe non essere adeguata come nel caso dell’Europa per contrastare l’egemonia asiatica.
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