Se ne parlato a lungo, ma adesso è realtà: il governo USA ha firmato il CHIP Act, che da proposta diventa ufficialmente legge. Lo scopo è quello di rendere più indipendente gli Stati Uniti nel settore tecnologico, dopo che la crisi dei semiconduttori ha dimostrato le problematicità di un mercato così poco geograficamente vario. Come affermato dal presidente Biden, “l’America ha inventato i semiconduttori, ma nel corso degli anni abbiamo lasciato che la produzione di semiconduttori si spostasse all’estero“. L’obiettivo è quello di far tornare in auge l’industria statunitense dei chip, dopo aver vissuto in prima persona i rallentamenti dovuti ai forti lockdown in Asia.
Allo stato attuale, da Taiwan, Cina e Sud Corea proviene circa l’87% della produzione globale di semiconduttori. Di questi, ben il 63% solo da Taiwan, in particolare da TSMC che ne produce oltre il 50%, specialmente quei chip di ultimissima generazione che trova spazio nei prodotti Qualcomm e Apple, per rimanere in ambito americano. Proprio per questo, c’è forte preoccupazione attorno all’ipotesi che la Cina decida di riappropriarsi dell’isola di Taiwan. Anche perché, nonostante sia la fabbrica tech del mondo, dalle fonderie cinesi esce soltanto il 7% della produzione globale. Qualora la Cina riuscisse a far tornare Taiwan sotto la propria bandiera, potrebbe colmare il gap tecnologico che la separa dalle nazioni leader; tuttavia, la stessa TSMC ha spiegato perché un’invasione del genere finirebbe per danneggiare chiunque, Cina compresa.
Gli USA vogliono rendersi più indipendenti nella produzione di semiconduttori: cos’è il CHIPS Act
Il Senato statunitense ha così approvato il CHIP and Science Act, una misura da 280 miliardi di dollari per stimolare l’industria nazionale. Quando si parla di semiconduttori, le realtà principali degli Stati Uniti sono Intel, GlobalFoundries, Micron, Western Digital, Texas Instruments e Analog Devices. Di questi 280 miliardi, 52 saranno messi a disposizione per queste ed altre società sotto forma di crediti d’imposta e finanziamenti. Chi godrà di questi incentivi non potrà spostare la produzione in Cina, se non per quei semiconduttori tecnologicamente datati (a 28 nm o precedenti). Oltre a puntare sulle proprie aziende, l’obiettivo americano è anche quello di attirare talenti esteri che possano contribuire alla filiera nazionale. In questo modo, società come TSMC e Samsung, che hanno già impianti di stampa negli USA e ne stanno costruendo di nuovi, non potranno espandersi in Cina se usufruiranno di questi finanziamenti.
“Un terzo dell’inflazione del 2021 era dovuto al prezzo elevato delle automobili, trainato dalla carenza di semiconduttori”, afferma Biden. “Per il bene della nostra economia, del lavoro e della sicurezza nazionale, dobbiamo produrre di nuovo questi semiconduttori in America“. Ma ci vorrà tempo prima che gli USA possano rendersi concretamente più indipendenti dall’Asia. Nel frattempo, il governo americano sta intensificando gli sforzi per creare il patto Chip 4 Alliance assieme a Taiwan, Sud Corea e Giappone.
E non manca la risposta della Cina: “CHIPS Acts e Chip 4 hanno una forte natura coercitiva, chiedendo agli altri di schierarsi tra Cina e Stati Uniti, per soffocare il nostro sviluppo“. Come afferma un ingegnere cinese di settore (che è voluto rimanere anonimo), c’è un certo pessimismo nell’industria dei semiconduttori in Cina, dato che il CHIPS Act potrebbe vanificare gli sforzi finora raggiunti. Per esempio, si vocifera che SMIC (il più grande chipmaker cinese) abbia raggiunto l’obiettivo di stampare chip a 7 nm, ma a rallentarlo pesantemente c’è proprio quel ban americano che rischia di infrangersi anche sul mercato cinese delle memorie.
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