Sono anni che il presidente di Samsung, Lee Jae-yong, è coinvolto in cause legali che in più occasioni gli hanno fatto rischiare di finire in carcere. Una diatriba che pare lungi dall’essere risolta, perché in queste ore la procura sud-coreana ha nuovamente avanzato una richiesta nei suoi confronti per una pena detentiva per 5 anni.
Si ripalesa il rischio di finire in carcere per il presidente di Samsung
Per capire meglio la situazione, bisogna tornare agli anni ’60-’70, quando l’economia della Corea del Sud iniziò a essere pesantemente trainata dalle cosiddette chaebols, grossi conglomerati che rispondono al nome di LG, Hyundai, SK Group e – appunto – Samsung. Per capirci, quasi il 20% del PIL sud-coreano deriva dal gruppo Samsung; per avere un metro di paragone, la più grande azienda giapponese, Toyota, rappresenta il 5% del PIL giapponese, mentre quella statunitense, Walmart, il 2,5%.
Per i giovani sud-coreani, diventare un “Samsung Man” è un obiettivo preponderante per avere successo nella vita. In madrepatria, Samsung non significa solamente elettronica di consumo: smartphone, tablet ed elettrodomestici, ma anche assicurazioni sulla vita, costruzione di edifici, navi e traghetti, parchi divertimenti e molto altro ancora. Ne sono così nate 59 società affiliate a Samsung, una rete di proprietà diffusa e contorta che ha creato spazi di grigio che hanno contribuito a questa situazione.
Nel 2017 , la procura sudcoreana accusò Lee Jae-yong di corruzione, appropriazione indebita e falsa testimonianza. La motivazione risale al 2014, quando l’allora presidente Lee Kun-hee finì in coma causa infarto, avvenimento che spinse i figli a escogitare un piano per evitare di andare incontro alla tassa di successione del 50% che ha la Corea del Sud, una delle più alte al mondo; andare incontro a questa tassa significherebbe vedersi dimezzata la quota azionaria, col conseguente rischio di perdere potere decisionale.
Samsung decise così di fondere due delle sue più antiche aziende affiliate, Samsung Construction and Trading e Cheil Industries; su quest’ultima il controllo della famiglia Lee si era indebolito negli anni per via dell’acquisto di azioni da parte di investitori esterni, pertanto sarebbe stato vantaggioso alzare la valutazione della prima e abbassare quello della seconda, in modo da fonderle e ritrovarsi con un controllo aziendale ancora più solido. Affinché ciò fosse possibile, però, serviva il consenso di due terzi degli azionisti, fra cui il principale azionista esterno cioè il servizio pensionistico alias il Ministero della Sanità alias il governo sud-coreano.
Per riuscirci dovevano arrivare al presidente di allora, Park Geun-hye, e lo fecero tramite Choi Soon-sil, confidente di lunga data e leva decisionale sul presidente, alle cui fondazione Samsung donò qualcosa come 36 milioni di dollari. Se conosciamo questa storia, è perché nel 2017 scoppiò lo scandalo che portò alla richiesta di incarcerazione di Park Geun-hye e Lee Jae-yong, che vennerò però graziati fra 2021 e 2022.
Lee Jae-yong viene oggi nuovamente accusato di aver manipolato il prezzo delle azioni nella fusione fra Samsung C&T e Cheil Industries, oltre che per frode contabile e violazione di doveri. Inoltre, l’accusa richiede anche il pagamento di una multa di circa 384.000 dollari, oltre alla detenzione di altre persone coinvolte, per una causa la cui sentenza dovrebbe arrivare a inizio 2024.
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