Da quando l’Unione Europea ha stabilito l’obbligo del connettore unico, anche Apple si è dovuta arrendere all’utilizzo della porta USB-C al posto della famigerata porta Lightning. A questo punto, il prossimo obiettivo dell’Europa è standardizzare anche la carica dei dispositivi tecnologico, quella ricarica rapida universale di cui tanto si vocifera da qualche mese. Da qui in avanti, sia smartphone Android che iPhone potranno caricarsi utilizzando lo stesso caricatore e cavo: secondo le stime europee, il riutilizzo dei caricatori esistenti farebbe risparmiare agli utenti circa 250 milioni di euro all’anno evitando l’acquisto di caricatori superflui. Ma rimane il dilemma della ricarica rapida, ancora troppo frammentata fra i produttori in circolazione.
DxOMark dimostra come cambia la ricarica rapida da produttore a produttore
Per quanto assurdo possa sembrare, un caricatore a 65W di un determinato brand non carica mai a 65W gli smartphone di altri brand; la stessa cosa vale per i caricatori di terze parti, che anche a pari wattaggio non hanno accesso agli standard proprietari dei produttori di smartphone e devono quindi affidarsi unicamente agli standard di dominio pubblico. Quello principale si chiama USB-C Power Delivery, è teoricamente in grado di caricare fino a 240W ma viene utilizzato solo da Samsung e Google. Ci sarebbe anche lo standard USB Power Delivery PPS (Programmable Power Supply), tecnologia di ricarica molto avanzata e più efficiente ma poco diffusa.
Senza parlare, poi, degli standard di ricarica Qualcomm Quick Charge o MediaTek Pump Express, disponibili in base al chipset adottato e usati da quasi nessuno. Apple ha la sua ricarica senza un nome specificato; Samsung ha la sua Adaptative Fast Charging; Xiaomi la Hypercharge; Realme usa la SuperDart e OnePlus la Warp Charge ma sono soltanto nomi alternativi della SuperVOOC di OPPO; idem per la FlashCharge di vivo e iQOO; Huawei e Honor utilizzano la SuperCharge; infine, Motorola ha la sua TurboPower.
Questo marasma di tecnologie differenti viene rimarcato nei test di DxOMark, con protagonisti iPhone 13, Xiaomi 12 Pro, Samsung Galaxy S22 Ultra, Oppo Find X5 e Google Pixel 6. Per tutti questi modelli, DxOMark ha effettuato la prova di ricarica incrociando tutti i rispettivi caricatori proprietari, ma non solo. Utilizzando caricatori di terze parti Amazon, Anker, Belkin e Force Power, ciò che si evince è che non vengono sfruttati al loro massimo potenziale: per esempio, il caricatore Anker da 65W arriva solo a 18W su OPPO; in generale, questo tipo di caricatori sono più efficaci su Apple, Samsung e Google.
Per capirci, se Xiaomi 12 Pro si carica in circa 40 minuti col suo caricatore da 120W, ci mette 3 ore e mezzo con il caricatore da 80W di OPPO; viceversa, OPPO Find X5 ci mette 45 minuti col suo caricatore a 80W salendo a 2 ore con quello da 120W di Xiaomi. Con il progressivo svilupparsi di queste tecnologie di ricarica rapida, il rischio è che aumentino i rifiuti tecnologici: quando un utente passa da uno smartphone Xiaomi a uno OPPO, per esempio, rischia di ritrovarsi con un caricatore potente ma inutilizzabile sul suo nuovo telefono.
Ovviamente i produttori non sono incentivati a creare tecnologie condivise, perché in questo modo “forzano” i propri clienti a rimanere con loro, ma la nuova normativa europea prevede che i caricatori diventino più compatibili incentivando l’utilizzo della USB-C Power Delivery, con una potenza garantita di almeno 30W. Fortunatamente per noi, qualcosa si sta muovendo e paradossalmente proprio in Cina, terra di molti standard proprietari, dove brand come Xiaomi, OPPO, vivo e Huawei si stanno muovendo per creare la prima ricarica rapida universale.
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