Se stai leggendo questo editoriale dallo smartphone, è molto probabile che questo sia stato prodotto in Cina. Lo dicono i dati di vendita: oggi, in Italia, la metà dei telefoni arriva da aziende cinesi. Se mi stai leggendo dal notebook, anche in questo caso i dati ci dicono che l’azienda leader è cinese. Potrei dire lo stesso per il video che accompagna questo articolo: e se lo stessi guardando dalla smart TV? Eh sì, anche l’azienda leader nella produzione di schermi LCD è cinese. E posso dire la stessa cosa per Nintendo, PlayStation e Xbox: tutte le console nei vostri salotti sono assemblate in Cina. Nonostante ciò, c’è un settore dove la Cina sta provando a diventare la prima della classe ma senza riuscirci. E se ultimamente sentiamo parlare di guerra fra Cina e Taiwan è anche per questo motivo, perciò oggi vi voglio raccontare il piano della Cina per diventare leader dei semiconduttori.
Definire “complessa” la disputa tra le due parti sarebbe un eufemismo. D’altronde parliamo di un’isola grossa poco più della Sardegna ma che conta ben 24 milioni di abitanti, auto-proclamatosi Repubblica di Cina ma riconosciuta come tale da sole 15 nazioni nel mondo. Sull’argomento potremmo parlare in lungo e largo, ma quella di oggi non è né una lezione di storia né di geografia, bensì una spiegazione di come la crisi dei chip stia riaccendendo questa guerra, ma anche di come il mercato tech della Cina non esisterebbe senza Taiwan.
Indice
Cina vs Taiwan: tutta questione di chip
Oggi più che mai, essere leader dei semiconduttori significa influire sugli equilibri economici mondiali. Come vi ho spiegato in questo articolo, se si guarda la top 5 dei chipmaker mondiali troviamo Taiwan, Sud Corea, USA e solo in fondo la Cina. Ma com’è possibile, se quest’ultima è così importante per il mondo della tecnologia?
Affinché una nazione possa ambire a diventare leader nei semiconduttori, è necessario che intraprenda una direzione specifica. Per esempio, la Sud Corea con Samsung è leader nella produzione di memorie. Gli Stati Uniti hanno Intel nella produzione di chip informatici. Il Giappone ha Sony, che primeggia nella produzione di sensori fotografici. E poi c’è Taiwan, che ha trovato la gallina dalle uova d’oro in TSMC e i suoi System-on-a-Chip, il cervello di ogni smartphone e tablet nel mondo.
Andiamo quindi per ordine e dividiamo questo vasto mondo in 2 macro-categorie, quelle più critiche: i chip per smartphone e quelli per computer.
L’industria dei chip per smartphone in Cina
Partendo dagli smartphone, è un settore che si divide fra aziende fabless e fab, differenza che vi ho spiegato in questo articolo dedicato. Fra le due, l’industria fab è senza ombra di dubbio quella più importante: per quanto tu possa essere bravo a ideare chip, se non puoi stamparli non andrai molto lontano. In entrambi i casi, comunque, parliamo di uno dei mercati più costosi e complessi al mondo e che quindi richiede manodopera estremamente avanzata. Come riporta lo studio “China I.C. Industry Talent Development Report“, nel 2020 la Cina conta 541mila impiegati nell’industria dei chip, ma per rimanere competitivi gliene serviranno altri 200mila entro il 2023. È evidente che ci sia una carenza di talenti, ed è qua che iniziamo a capire quanto la Cina dipenda da Taiwan.
Storia di SMIC
Prima di tutto, il fondatore di SMIC, l’azienda fab di punta in Cina, si chiama Richard Chang ed è di origini taiwanesi. Lavorò per 20 anni in Texas Instruments al fianco di Morris Chang, altro storico taiwanese in quanto fondatore nientepopodimeno che di TSMC. Una volta trasferitosi in Cina, la creazione di SMIC da parte di Richard partì nel 2000 dallo Zhangjiang Hi-Tech Park, una delle varie Silicon Valley cinesi create fra anni ’80 e ’90 per ricalcare il successo californiano ma anche quello taiwanese, che nella propria Silicon Valley, cioè lo Hsinchu Science Park, vide nascere realtà come TSMC, UMC e MediaTek.
Persino la prima storica rivale di SMIC, la cinese Grace Semiconductor, aveva forti legami con Taiwan. Oltre a Jiang Zemin, figlio dell’allora segretario del Partito Comunista Cinese, fra i fondatori di Grace c’era il taiwanese Winston Wang. Fratello di Cher Wang, fondatrice di HTC e del chipmaker VIA Technologies, fratello di Charlene Wang, fondatrice di un altro chipmaker, First International Computer, ma soprattutto figlio di Wang Yung-ching, una delle persone più ricche al mondo in quanto creatore di Formosa Plastics, compagnia su cui si basa la storia dell’economia taiwanese.
La Cina ha sempre saputo di dipendere da Taiwan: persino Foxconn, altro gioiello cinese dalle cui fabbriche esce il 40% dell’elettronica mondiale, opera molto in Cina ma venne fondato dal taiwanese Terry Gou.
Tornando a parlare di SMIC, è solo grazie a Taiwan se oggi è così importante per la Cina, che nei primi impianti di Shanghai, Chengdu e Wuhan investì oltre 10 miliardi. Ma serviva personale altamente qualificato per avviarli: e dove trovarlo, se non a Taiwan? Peccato che all’epoca un semplice dipendente taiwanese avesse uno stipendio migliore di quello di un manager cinese. Per rubarle i talenti, SMIC attuò la seguente strategia: 1) i soldi, offrendo migliaia di azioni a importanti membri di TSMC per valori che oggi ammonterebbero a milioni di dollari. Punto 2) l’ambizione: una nuova avventura in SMIC poteva voler dire fare carriera in un’azienda ambiziosa e in piena crescita. E poi, punto 3) il patriottismo: per i molti cinesi emigrati a lavorare in TSMC, passare a SMIC avrebbe significato contribuire al progresso della Cina. SMIC crebbe velocemente in pochi anni, ma TSMC non rimase a guardare, anche perché pareva che non le rubasse solo i dipendenti. Nel 2003 scattò la denuncia per furto di proprietà intellettuale, denuncia che TSMC vinse e che segnò l’iniziò della crisi per SMIC, a partire dalle dimissioni del fondatore.
I motivi della crisi erano molteplici: essendo la Cina più arretrata di Taiwan, SMIC esordì come produttore di memorie, più facili da realizzare dei chip di TSMC ma meno profittevoli. Inoltre, visto che la Cina investiva montagne di soldi, nacquero piccoli competitor che frammentarono il mercato, come nel 2022 Ningbo Zhongwei, fondato sempre da ex manager TSMC e poi venduto a BYD, grossa casa automobilistica nonché assemblatore di smartphone per aziende come Xiaomi, OPPO, Huawei, Honor, Nokia e Motorola.
La dipendenza della Cina da Taiwan la ritroviamo anche nel modo in cui SMIC si riorganizzò dopo le dimissioni del fondatore. Nei piani alti dell’azienda si susseguirono diversi ex leader di TSMC, come Tzu-yin Chiu, Chiang Shangyi ma soprattutto Liang Mong Song, denominato “il mercenario dei chip”, in quanto condannato da TSMC per furto di segreti industriali in favore di Samsung e della Sud Corea, che ha poi tradito passando alla Cina. Quella di Liang fu un’assunzione fondamentale per SMIC: con la sua esperienza, in 2 anni le fece fare un salto generazionale di 10 anni, facendola passare dai chip a 28 nm a quelli a 7 nm. Grazie ai progressi raggiunti, SMIC lavorò anche con Qualcomm. Vi ricordate Redmi Note Prime e Moto G 2015? Entrambi montavano lo Snapdragon 410, chip di fascia bassa ma con gli stessi 28 nm degli allora più potenti Snapdragon 800 e 805: merito proprio delle fabbriche SMIC. Inoltre, SMIC acquistò aziende estere, come il rilevamento del 70% del chipmaker italo-tedesco LFoundry, aprendosi così le porte al mercato dei chip per automobili, con tanto di fabbrica ad Avezzano in Abruzzo.
Oggi SMIC è l’azienda fab più importante della Cina: lo dimostrano le nuove fabbriche di Shanghai, Pechino e Shenzhen, per un totale di 20 miliardi di investimenti. Numeri impressionanti, se non fosse che TSMC ha annunciato un piano da oltre 100 miliardi per la sua espansione. E qua torniamo al punto iniziale: come può la piccola Taiwan fare meglio della mega-potenza Cina? Se TSMC ha rivoluzionato il mercato dei semiconduttori è perché, come insegna il suo fondatore, per essere i migliori bisogna essere aperti al mondo e ai suoi mercati, una filosofia che mal si sposa con la cultura moderna cinese. Come dichiara il ricercatore Yang Ruilin, se lavorare in TSMC significa agire puramente in termini di business, lavorare in SMIC significa agire anche sulla base di motivi politici e ideologici, anche perché ogni decisione delle aziende cinesi deve prima passare il vaglio del governo.
Se la Cina è arretrata è anche per gli equilibri geopolitici, a vantaggio di una Taiwan storicamente più vicina all’occidente. Da quando gli USA hanno bannato SMIC, l’hanno tagliata fuori dall’acquistare dall’olandese ASML i costosissimi macchinari che permettono a TSMC e Samsung di produrre i tanto preziosi chip a 5 nm. Di questo passo, SMIC potrebbe non essere mai al loro pari, ma non è detto che ciò sia un male. Mentre TSMC e Samsung si contendono la fascia alta, SMIC continua a dedicarsi a settori non avanzati ma comunque remunerativi, come quello automobilistico, della connettività e dell’Internet of Things.
Storia di UNISOC
Ok, vi ho parlato di smartphone e industria fab, ma com’è messa la Cina nell’industria fabless? Neanche a dirlo, anche qua a comandare sono USA e Taiwan, rispettivamente con Qualcomm e MediaTek. Potremmo dire che per diventare leader ci sono 2 modi: farsi amiche le aziende delle nazioni più avanzate, come fece Taiwan, oppure spendere una barca di soldi e comprarsele, come prova a fare la Cina. L’unico chipmaker fabless di punta in Cina è UNISOC, cioè la fusione di Spreadtrum e RDA Microelectronics, acquistate per quasi 2 miliardi da Unigroup, corporazione fondata dalla prestigiosa università Tsinghua di Pechino, una delle migliori al mondo e dove, fra l’altro, si è laureato Xi Jinping.
Avete presente il bruco di Slither.io? Ecco, vista la scarsa esperienza nel settore, l’unico modo per rendere UNISOC leader era fargli inglobare aziende sempre più grosse. Dopo aver acquistato Spreadtrum e RDA Microelectronics, spese altri 2,3 miliardi per prendersi H3C Technologies, branca cinese di HP per server e data network. Inutile dire che queste manovre insospettirono sia USA che Taiwan. Non solo gli USA bloccarono UNISOC dal diventare azionista di Western Digital, ma soprattutto la tentata acquisizione, per la bellezza di 23 miliardi di Micron, la più grande compagnia americana di produzione di memorie per brand come Crucial, Ballistix e Lexar. Pensate: se fosse andata in porto, sarebbe stata la più grande acquisizione nella storia di un’azienda americana da una cinese. Ma anche se all’epoca c’era la presidenza Bush, più vicina alla Cina rispetto a Trump e Biden, gli Stati Uniti bloccarono tutto per non far finire un’azienda così importante nelle mani della Cina.
Stessa cosa accaduta qualche anno dopo, quando fu Taiwan a bloccare il tentativo di UNISOC di cercare una storica fusione con MediaTek. Fusione che li avrebbe di fatto resi il più grande chipmaker fabless al mondo, superando in un sol colpo l’americana Qualcomm. Ma col senno di poi, MediaTek è comunque diventata da sola il primo chipmaker fabless al mondo, rimarcando la superiorità di Taiwan sulla Cina anche nel mondo fabless. Certo, è anche vero che solo negli ultimi 12 mesi sono spuntati più di 70 smartphone con chip UNISOC. Parliamoci chiaro, tutti smartphone di bassa lega: a parte nomi come Samsung, Honor, Realme, Motorola, Nokia e ZTE, la lista contiene tutti brand minori, come UMIDIGI, Ulefone, Cubot, Blackview, Oukitel, Doogee e così via. Vedremo se questa tattica pagherà sul lungo periodo, ma la crescita annuale di UNISOC del 95% sembrerebbe star ripagando gli sforzi.
Per il momento, che si parla di fab o fabless, la strategia della Cina nel mercato dei chip per smartphone è quella di essere il punto di riferimento per il mercato low-cost. Ma se vorrà effettivamente slegarsi dal resto del mondo, come paventato in più e più occasioni, c’è ancora tanta strada da fare. Anche perché finora vi ho parlato del mondo smartphone, ma se parliamo di chip per computer la situazione è persino peggiore.
L’industria dei chip PC in Cina
Zhaoxin
Questo perché, se i chip per smartphone hanno architettura ARM, perciò di matrice britannica, quelli per PC hanno architettura Intel x86 perciò di matrice americana. E si sa, alla Cina non va a genio usare tecnologie americane, specie dopo il caso Snowden, che nel 2013 rivelò come gli Stati Uniti spiassero il mondo intero. Per ridurre la dipendenza dalle CPU americane, nel 2013 nacque Zhaoxin. E secondo voi, poteva la Cina riuscire a fondare un’azienda di CPU senza Taiwan? Zhaoxin nacque come joint venture tra la Cina e il chipmaker taiwanese VIA Technologies.
Dovete sapere che, normalmente, gli USA non concedono alle aziende cinesi le licenze Intel per produrre CPU x86 per ovvie ragioni di competitività. Ma caso vuole che in passato VIA Technologies avesse assorbito le americane Cyrix e Centaur, assorbendo anche le loro licenze Intel x86 che poterono così essere usate in Cina anni dopo. Tuttavia, i risultati non sono entusiasmanti: la più recente serie KX-6000 è considerata 8 anni indietro rispetto alla controparte americana. Anche perché, per la volontà della Cina di slegarsi da Taiwan, Zhaoxin vorrebbe farsi produrre le CPU da SMIC e non più da TSMC. Ma abbiamo visto quanto SMIC sia indietro rispetto alla concorrenza.
Hygon
L’altro tentativo della Cina nel mondo delle CPU si chiama Hygon, e indovinate un po’? È una joint venture, però stavolta con l’americana AMD, che nel 2015 era in crisi e vide nella Cina un’opportunità per risollevarsi. Ovviamente la partnership fece arrabbiare gli Stati Uniti, che cercarono di impedire ad AMD di fornire le licenze x86 alla Cina. Ne nacque così un rigiro di aziende e sotto-aziende per far sì che AMD aiutasse la Cina a farsi le proprie CPU ma senza che mettessero le mani sulle licenze. Ma come per Zhaoxin, anche Hygon non è riuscita a sfondare, anche perché la joint venture è poi finita nella Entity List.
Insomma, Cina e x86 è un matrimonio che non s’ha da fare. Ma è veramente un problema? Con i suoi chip M1, Apple ha dimostrato al mondo intero come l’architettura ARM possa essere altamente competitiva anche nel mondo PC. E poi, tutti gli smartphone hanno architettura ARM, e si va verso un futuro in cui smartphone e PC saranno sempre più una cosa sola. Oggi la Cina non ha alcuna voce in capitolo nei chip x86, ma se ARM manterrà le aspettative potremmo riparlarne in futuro.
L’industria delle memorie in Cina
Così com’è accaduto per il mercato dei chip mobile, anche il settore delle memorie in Cina potrebbe risentire delle limitazioni derivanti dalle sanzioni USA. Se foste interessati, c’è un articolo dedicato sull’argomento.
Non scordiamoci di Sud Corea e Giappone
Resta il fatto che per la Cina sarà molto difficile, se non impossibile, rimpiazzare la dipendenza da TSMC. E qui torniamo alla minaccia che incombe sull’isola di Taiwan. C’è chi dice che Taiwan farà la fine di Hong Kong, cioè tante proteste nel resto del mondo ma con la Cina lasciata libera di agire. Ma a mio parere, la situazione è ben differente per tutta una serie di equilibri geopolitici.
In primis, gli Stati Uniti dipendono da Taiwan: senza TSMC non esisterebbero i potentissimi chip Apple, a cui fra l’altro ha affidato in esclusiva tutta l’iniziale filiera a 5 nm. E visto che i suoi principali clienti sono perlopiù americani, cioè Qualcomm, NVIDIA, AMD, Broadcom e parzialmente anche Intel e Texas Instruments, TSMC sta spendendo decine di miliardi per costruire fabbriche in America, in modo da pararsi le spalle dall’avanzata cinese. Immaginatevi se TSMC finisse nelle mani della Cina che potenziale disastro sarebbe per l’America. Senza contare che, se Taiwan venisse presa dalla Cina, anche MediaTek diventerebbe sua e di colpo la Cina supererebbe gli Stati Uniti e l’americana Qualcomm in un colpo solo.
Se si guarda lo scacchiere in ballo, abbiamo da un lato la Cina, dall’altro Stati Uniti assieme a Taiwan ma non dimentichiamoci anche Sud Corea e Giappone. Nel caso in cui la Cina finisse veramente col conquistare Taiwan, gli Stati Uniti sanno che avrebbero bisogno della Sud Corea. Lo dimostra Qualcomm, che dopo anni di esclusiva con TSMC sta facendo produrre sempre più chip a Samsung. Fra l’altro, le coreane Samsung ed LG sono anche i principali fornitori di schermi al mondo. Il vero problema è che Samsung è sia produttore che rivale delle aziende con cui lavora. Prendiamo Apple: i primi iPhone 3G e 3GS avevano chip Samsung, ma nel momento in cui Samsung iniziò a essere una rivale negli smartphone, ecco che da iPhone 4 in poi tutti i chip sono fatti produrre da TSMC.
Nonostante questi legami, la Sud Corea si trova fra l’incudine e il martello: nel 2020, le fabbriche Samsung hanno incassato 46 miliardi dagli USA e 44 miliardi dalla Cina. Inoltre, ricordiamoci che le uniche aziende a cui Samsung abbia mai concesso di utilizzare i suoi recenti chip Exynos sono cinesi, cioè Meizu e vivo. Insomma, se gli Stati Uniti si trovano bene con la neutralità di Taiwan, non si può dire lo stesso con la Sud Corea, che non a caso sta preparando un enorme piano da 450 miliardi di dollari che la aiuti a superare TSMC.
In tutto ciò, il Giappone è il più sfortunato. Negli anni ‘80, gli Stati Uniti boicottarono NEC, Toshiba e Hitachi, dato che erano leader nella produzione delle memorie ai danni di Intel. Una mossa che mise in ginocchio l’industria dei semiconduttori nipponica che negli anni si è notevolmente ridimensionata. Tutto ciò a favore di Taiwan ma soprattutto Sud Corea, che oggi produce il 59% delle memorie nel mondo e da cui dipendono gli Stati Uniti, visto che l’americana Micron ne produce solo il 17%. Ciò nonostante, il Giappone rimane un importante alleato americano: dalle fabbriche Sony, infatti, escono i sensori fotografici dei telefoni di tutto il mondo, compresi iPhone e persino gli smartphone della diretta rivale Samsung, anch’essa produttrice di sensori fotografici.
Si prospetta quindi un futuro fra l’intrigante e l’inquietante, con lo scontro dei mercati democratici di USA, Taiwan, Sud Corea e Giappone contro quello meno democratico della Cina.
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