Oggi la crisi dei chip non è più un argomento solo per addetti ai lavori, ma è un qualcosa che sta scuotendo tutta la società dalle fondamenta, soprattutto da quando pandemia e lockdown hanno rallentato le fabbriche di tutto il mondo. E se oggi vivere questa crisi significa non riuscire a comprare con facilità una console o una scheda grafica di ultima generazione, domani potrebbe significare non riuscire a comprare un’auto nuova, dato che sta iniziando a colpire duramente il mondo automobilistico. Ma il motivo per cui stiamo vivendo questa crisi non è esclusivamente la pandemia: di motivi ce ne sono molteplici, ma oggi vi voglio parlare di quello che reputo più affascinante ma anche preoccupante. Sto parlando di TSMC, un’azienda che potreste aver sentito nominare di tanto in tanto, ma da cui dipende buona parte della nostra vita.
Crisi dei chip: cosa sta succedendo e cosa c’entra TSMC in tutto ciò
Innanzitutto, qualche numero: solo nel 2020, TSMC ha incassato qualcosa come 48 miliardi di dollari, e negli ultimi anni il suo titolo in borsa ha avuto una crescita di più del 200%, con un picco non a caso fra 2020 e 2021, cioè quando la crisi dei chip ha iniziato a farsi sentire. Questo perché, anche se non ha tecnicamente un monopolio, dalle fabbriche di TSMC esce un quantitativo di chip inimmaginabile. In primis i chip di praticamente tutti gli smartphone in circolazione dato che produce per Qualcomm e MediaTek, quindi di riflesso per Xiaomi, OPPO, vivo, OnePlus, Realme, Honor e compagnia varia. L’unica eccezione è Samsung che se li fa da sola ma che comunque ogni tanto utilizza anche i chip Qualcomm. Ma nell’elenco figurano anche i chipset proprietari che Apple utilizza su iPhone, iPad, Apple Watch, PC e notebook. Prima del ban americano, poi, TSMC produceva anche i chip degli allora vendutissimi smartphone Huawei. Per non parlare che fra i suoi principali clienti ci sono NVIDIA, AMD e Intel, cioè tutti i chip che troviamo nelle CPU e le GPU di tutti i computer, notebook, tablet e console in circolazione.
In poche parole, nelle mani di TMSC c’è più di metà del mercato globale e forse iniziate a capire dove voglio andare a parare. Le stime parlano che nel 2021 le vendite mondiali di semiconduttori supereranno i 500 miliardi di dollari. Parliamo quindi di uno dei mercati più ricchi al mondo, ma nonostante ciò una singola azienda tiene in scacco tutti quanti. Ma com’è possibile?
L’importanza di Taiwan
Com’è possibile, poi, che il mondo dei semiconduttori sia nelle mani di una singola azienda ma non negli Stati Uniti, in Cina o in Giappone, bensì in Taiwan. Un’isola grossa poco più della Sardegna ma che allo stesso tempo conta più di 23 milioni di abitanti ed una delle nazioni più ricche al mondo, più della Germania, del Regno Unito e del Giappone. Oggi più che mai, Taiwan è al centro dello scontro geopolitico in atto fra USA e Cina e i motivi, come sempre, sono sia storici che economici. Potremmo dire che la Cina abbia sempre avuto un misto di ammirazione e gelosia verso Taiwan, che negli anni ’80 era una delle cosiddette 4 Tigri Asiatiche assieme a Sud Corea, Singapore e Hong Kong. Tutte nazioni divenute molto ricche in un’epoca in cui invece la Cina ancora faticava a mettersi in pari col resto del mondo. I motivi li ho spiegato nel video “Perché gli smartphone vengono tutti dalla Cina?“.
A differenza della Cina, Taiwan ha vissuto a lungo come colonia occidentale, godendo o subendo l’influsso di società europee tendenzialmente più liberali dell’Asia. Non a caso, Taiwan è stato il primo stato asiatico a legalizzare il matrimonio omosessuale, per esempio. Ma la sua storia è molto tormentata: fra 1600 e 1800 è stata dominio della Cina, salvo passare al Giappone a fine 1800. Un Giappone che la rese un’isola modello con standard qualitativi più alti della media per educazione, salute, infrastrutture: tutto per convincere le altre nazioni asiatiche a passare sotto il proprio impero del Sol Levante. Con la resa del Giappone nel 1945, Taiwan tornò nuovamente alla Cina, ma fu nel post-Seconda Guerra Mondiale che a Taiwan arrivò l’intervento e quindi l’influenza degli Stati Uniti, in un periodo storico travagliato in cui iniziò la sua transizione da isola della Cina ad isola indipendente.
Si potrebbe parlare per ore della vicenda fra Cina e Taiwan, specialmente da quando la Cina ha allargato le sue mire espansionistiche anche nei confronti di territori “controversi” come Hong Kong, Tibet e Mongolia. Ma anche nel resto del mondo in un certo qual senso con la Nuova Via della Seta, arrivando perfino a influenzare paesi in Africa ed Est Europa, ma questo è un altro discorso che magari approfondiremo in un altro video. Quello che conta è che oggi le tensioni fra Cina e Taiwan sono più tese che mai e a parer mio non a caso. Se oggi Taiwan è così ricca ed ha avuto una delle più alte crescite economiche al mondo nel 2020, cioè in temi di pandemia, è soprattutto merito di TSMC, che da sola rappresenta un quarto del mercato taiwanese. E nonostante la Cina sia considerata la fabbrica della tecnologia globale, nel mercato dei chipmaker è quasi assente, al contrario di Stati Uniti, Sud Corea, Europa e, appunto, Taiwan. Insomma, potete capire da voi come mai la Cina stia allungando le mani su quest’isola proprio oggi che la crisi dei semiconduttori imperversa e rischia di impoverire quelle nazioni che non hanno voce in capitolo. E non è un caso nemmeno che gli Stati Uniti, alleati storici di Taiwan, abbiano prontamente risposto alle provocazioni cinesi.
L’influenza di USA e della Silicon Valley
Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti aiutarono molto Taiwan investendo nella sua economia, che negli anni ’50 era una modesta economia agricola e che aveva quindi necessità di evolversi. L’economia agricola l’aiutò comunque a generare capitale monetario e forza lavoro, e negli anni ’70 Taiwan si convertì ad un’economia industriale e negli anni ’80 in un’economia tecnologica. Ma l’ingresso nel mercato tech non fu affatto facile, anzi, fu decisamente un azzardo. All’epoca erano proprio gli Stati Uniti ma anche il Giappone i leader storici dei chipset, con Intel, Texas Instruments e Motorola dal lato americano e NEC, Hitachi, Toshiba e Fujitsu da quello nipponico.
Arriviamo così al 1980, anno in cui il ministro taiwanese di Scienza e Tecnologia andò in visita negli USA, rimanendo estremamente affascinato dalla Silicon Valley e da tutto il fervore che ne scaturì in ambito tecnologico. Nacque in lui il desiderio di fare lo stesso in madrepatria e venne così creato lo Hsinchu Science Park, praticamente una Silicon Valley taiwanese nei pressi di due delle principali università nazionali Tsing Hua University e Chiao Tung University. Proprio come in California, con la Silicon Valley nei pressi delle celebri università di Stanford e Berkeley. In questo modo, il parco avrebbe ospitato i migliori studenti della nazione e, al contrario per esempio della Sud Corea che storicamente ha incentivato grosse corporazioni come Samsung ed LG, incentivato la nascita di startup. Quello che fece Taiwan fu cercare un equilibrio, dando agli studenti case, uffici e incentivi fiscali ma con moderazione, favorendo la competitività anche da parte di aziende estere per far crescere l’intera industria tecnologica anziché le singole aziende.
In quegli anni, poi, Taiwan stava vivendo un vero e proprio boom economico, al punto tale che la fuga di cervelli accaduta negli anni precedenti si invertì e alcuni decisero di tornare nella patria natale. Uno di questi cervelli era Morris Chang, e che cervello: si laureò ad Harvard, all’MIT e a Stanford, per poi andare a lavorare per Texas Instruments. Il suo ritorno in Taiwan è un elemento importantissimo per lo sviluppo tecnologico del paese, perché dopo essere divenuto presidente dell’ITRI nel 1986, un anno dopo fondò la allora startup che oggi conosciamo proprio come TSMC.
E comunque TSMC non è stato il primo chipmaker di Taiwan. Il primato è infatti di UMC, azienda storica ma che non ha mai preso il volo, relegandosi alla produzione di chip low-cost per prodotti come orologi e giocattoli. Al contrario, la visione più tipicamente occidentale di Morris Chang cambiò il modello di business che il mercato dei semiconduttori aveva avuto fino a quel momento.
Primo aspetto: al contrario di UMC, puntò ad una produzione votata all’esportazione: secondo Morris, soltanto competendo con il resto del mondo si può ambire a diventare i migliori. Secondo aspetto: lungimiranza, fissando il prezzo dei chip in anticipo e sacrificando i guadagni sull’immediato ma per aumentare le quote di mercato ed avere più guadagni a lungo termine. Ma soprattutto, terzo aspetto: creare quella che oggi conosciamo come distinzione fra chipmaker fab e fabless. In poche parole, fare da intermediari fra coloro che i chip li pensano e coloro che li utilizzano. Prendiamo per esempio lo Snapdragon 888: il chip è sì ingegnerizzato da Qualcomm, ma Qualcomm è un chipmaker fabless, cioè senza fabbriche. Ciò significa che, una volta ideato e disegnato, il chip dev’essere mandato ad un chipmaker fab (in questo caso a TSMC) che ha le fabbriche e i macchinari necessari per la stampa del chip. Infine, i chip stampati vengono inviato ai vari produttori come Xiaomi, OnePlus e così via.
Ma lo stesso vale anche per Apple e valeva per Huawei prima del ban americano, cioè due aziende che realizzano i propri chipset ma che hanno comunque bisogno che TSMC li stampi per loro. In questo modo, i chipmaker fabless possono concentrarsi sul design, mentre quelli fab sulla produzione. Una strategia vincente da ambo i lati ed infatti è stata via via adottata da altre realtà di settore: MediaTek con UMC e TSMC, Samsung Exynos con Samsung Semiconductors e AMD con GlobalFoundries. E probabilmente non è un caso che Intel sia l’unica che continua a farsi tutto da sola e stia sempre più accusando la concorrenza.
Come mai tutti vogliono TSMC?
A questo punto, qualcuno potrebbe dire: sì ma come fa TSMC ad essere l’unica azienda a cui si affidano tutti questi produttori? Come vi ho anticipato, in antichità Taiwan era una colonia occidentale, per la precisione una colonia olandese. E anche quando è diventata una nazione indipendente, i legami con l’Olanda sono rimasti. Basti pensare che negli anni ’70 il signor Philips era il più grosso investitore straniero in Taiwan. E fu anche grazie a Philips se nacque TSMC, praticamente una joint venture fra Taiwan e Olanda. Philips investì molto nel chipmaker, fornendo loro l’80% dei primi brevetti e le tecnologie per avere un processo produttivo ad 1,5 micron, moderno ma non troppo per farsi concorrenza da sola.
Sempre negli anni ’80, Philips capì l’importanza cruciale che il mercato dei semiconduttori avrebbe avuto da lì in avanti. Decise così di allearsi con la sempre olandese ASM e fondare ASML, un’altra azienda quasi sconosciuta dai più ma da cui dipende la sorte del mercato tecnologico globale. Sì, perché ASML realizza macchinari per la stampa litografica, ovvero quel processo fondamentale per la creazione dei chip. Dopo essere divenuta leader mondiale ai danni delle rivali Canon e Nikon, ASML è ad oggi l’unico fornitore delle macchine EUV (Extreme Ultraviolet Litography). Sono le uniche al mondo che permettono di stampare chip a 5, 7 nm, cioè attualmente i chip più potenti in circolazione. Parliamo di macchinari che pesano 100 tonnellate, hanno un costo di 150 milioni di dollari e ne vengono prodotti soltanto 25 all’anno. E indovinate un po’ a chi vanno per la maggior parte questi a 25 macchinari? Proprio a TSMC.
Taiwan e ASML, un matrimonio vincente
Oltre alla storia che unisce Taiwan, Olanda e rispettive aziende, il perché ci sia questo legame così forte fra TSMC e ASML lo scopriamo andando a ritroso nel tempo. Ma prima, permettetemi di spiegarvi in breve cos’è la litografia: in poche parole, il disegno del chip viene proiettato tramite un laser attraverso una lente, la quale proietta e foto-incide tante sue piccole miniature sul wafer di silicio rivestito di materiale fotosensibile. A questo fattore aggiungiamo la spesso citata legge di Moore, secondo la quale il numero di transistor nei chip raddoppia in media ogni 18 mesi e lo notiamo da quanto si siano rimpiccioliti negli anni telefoni e computer. Ma miniaturizzare un chip è qualcosa di estremamente complesso, perché le lenti utilizzate per la stampa litografica hanno un limite fisico e riescono a miniaturizzare fino ad un certo punto.
Come vi ho detto poco fa, è ASML che realizza quei macchinari costosissimi per realizzare chip molto piccoli, ma se questi macchinari esistono è anche grazie a TSMC. Anzi, sarebbe più corretto dire che è grazie a Burn-Jeng Lin, ingegnere taiwanese che ha teorizzato la litografia ad immersione. Avete presente quando annaffiate una pianta e vi viene detto di non bagnare le foglie, altrimenti le gocce che rimangono sulle foglie fanno da lente di ingrandimento e le bruciano? Ecco, il concetto è lo stesso. In poche parole, fra la lente e il wafer di silicio viene messo del liquido per sfruttare la maggiore capacità di rifrazione dell’acqua ed aumentare così la capacità di miniaturizzazione. È grazie a questa tecnica se oggi abbiamo chip così piccoli e indovinate un po’? Quell’ingegnere taiwanese iniziò a lavorare per TSMC nel 2000 portando con sé questo bagaglio di conoscenza che venne poi condiviso proprio con ASML a partire dal 2004. Questo accordo permise così da un lato ad ASML di diventare l’azienda regina del settore e dall’altro a TSMC di avere un’azienda amica che gli avrebbe fornito i macchinari necessari per avanzare tecnologicamente.
Insomma, questi sono tutti i motivi per cui oggi TSMC è l’azienda che detta legge nel mercato dei chipset. E a dirlo non sono io, ma i numeri: per affrontare la crisi dei chip, il governo USA ha stanziato investimenti per 52 miliardi di dollari. Una cifra importante, certo, ma allo stesso tempo TSMC ha pronti 100 miliardi, e questo ci fa capire quanto TSMC sia avanti rispetto al resto del mondo, potendosi permettere di investire il doppio rispetto ad una potenza mondiale come gli USA. Capire come si evolverà la crisi dei semiconduttori è ancora presto per dirlo, anche in virtù dei venti di guerra che soffiano fra Cina e Taiwan. Se in antichità le guerre si combattevano per risorse come oro e petrolio, oggi i chipset sono a tutti gli effetti il nuovo oro. E in tutto ciò, come al solito l’Europa sta a guardare.
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