Dopo il ban USA ci siamo chiesti come il blocco statunitense si sarebbe ripercosso nelle vendite di Huawei. La situazione si sta rivelando per certi versi paradossale: come ha affermato lo stesso fondatore Ren Zhengfei, il ban ha aiutato l’azienda. L’inserimento di Huawei nella Entity List è interpretabile come una conseguenza della lotta economica e politica fra il fronte occidentale ed asiatico. La conseguenza è stata un rafforzarsi dell’orgoglio cinese ed un aumento corposo delle vendite proprio in madre patria.
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La controversia americana ha fatto aumentare le vendite di Huawei
I dati raccolti e pubblicati da Canalys ci dà un’idea dell’andamento delle casse di Huawei, in questo caso durante il Q3 2019. Si tratta del trimestre comprensivo di luglio, agosto e settembre, proprio i mesi successivi all’esecuzione del ban statunitense. Il totale degli smartphone venduti in Cina nel corso di questi mesi è ammontato a 41.5 milioni di unità. Numeri che la portano ad occupare il 42.4% delle quote di mercato, in un panorama dove praticamente tutti i competitors, invece, stanno calando.
Un risultato che pone Huawei in una posizione di rilievo per la Cina, visto che nel Q3 2018, quando il ban non era minimamente nella mente delle persone, vennero spediti circa 25 milioni di smartphone. Allora il market share si attestava sul 24.9%, con una crescita annuale del 66% se paragoniamo questa e la precedente annata. C’è da dire, però, che il grafico di Canalys riassume in un unico dato le vendite sia di Huawei che di Honor. Per quanto riguarda i competitors, in seconda posizione abbiamo Vivo con un -23% annuale, seguita da OPPO al terzo posto con il -20%. Il dato più negativo è quello di Xiaomi, il cui Q3 2019 si è chiuso con un -33% rispetto allo stesso periodo del 2018.
Fra l’altro, la stessa Huawei affermò che, senza il ban USA, sarebbe riuscita ad infrangere il record dei 300 milioni di smartphone venduti nel 2019. Ma i traguardi non sono mancati comunque, visto che è già riuscita a superare i 200 milioni in anticipo di circa due mesi rispetto al 2018.
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