Aggiornamento 29/12: ci sono nuovi risvolti sulla vicenda giudiziaria che vede contrapposte India e vivo. Trovate tutti i dettagli a fine articolo.
Che India e Cina non si vedano di buon occhio non lo scopriamo certo oggi. Sono decenni che vanno avanti contese di tipo territoriale, specialmente da quando nel 2020 i militari delle due nazioni si sono nuovamente scontrati nel Ladakh. Da allora, in India è nato un sentimento anti-Cina, sfociato in veri e propri boicottaggi ai danni di aziende quali Xiaomi, OPPO e vivo, e persino episodi di vandalismo. Anche lo stesso governo indiano non è stato da meno, promulgando leggi e regolamenti che hanno messo i bastoni fra le ruote alle compagnie della Cina. Per esempio il ban di centinaia di app cinesi, il blocco delle approvazioni di smartphone cinesi o anche il ban di Huawei e ZTE.
L’India condanna il brand cinese vivo per evasione fiscale e traffico illecito di denaro
Una situazione paradossale, se si pensa che la top 5 degli ultimi anni dei principali produttori di smartphone in India è spesso composta da Xiaomi, Realme, vivo e OPPO (oltre che da Samsung). Ma a quanto pare al governo indiano non interessa granché l’andamento del mercato, come dimostra il colossale sequestro monetario attuato proprio ai danni della leader Xiaomi. Ma non è finita qua per le compagnie cinesi, perché le autorità indiane stanno indagando sull’operato di un altro brand, ovvero vivo.
L’indagine condotta a partire dal luglio 2022 dall’Enforcement Directorate, agenzia indiana per la lotta alla criminalità finanziaria (la stessa che ha condannato Xiaomi), è partita con ricerche e irruzioni in 48 uffici di vivo e 23 di aziende consociate in tutta la nazione. La compagnia cinese è stata accusata di aver condotto operazioni di riciclaggio di denaro ed evasione fiscale, trasferendo illecitamente verso la Cina quasi il 50% degli incassi totali (pari a 13 miliardi di dollari) verso società controllate dall’azienda.
L’azienda cinese avrebbe calcolato in maniera errata i dazi doganali, con “prove incriminanti” che svelerebbero il suo aver “sbagliato intenzionalmente la descrizione di alcuni articoli importati“. Le autorità hanno bloccato 119 conti bancari collegati a vivo India, per un totale di quasi 59 milioni di dollari e 2 kg in lingotti d’oro (circa 100.000 dollari). Inoltre, almeno 30 dipendenti vivo sarebbero entrati in India richiedendo un visto d’affari non adeguato in quanto non era specificato il datore di lavoro (vivo), e avrebbero violato il divieto di visita delle regioni indiane Jammu, Kashmir e Ladakh, al centro dello scontro geopolitico fra India e Cina, imposto dal 2019 verso i cittadini cinesi al fine di evitare possibili incidenti.
Se da un lato vivo dichiara di voler collaborare con le autorità indiane, queste affermano che l’azienda non sarebbe stata pienamente collaborativa, con cittadini cinesi che avrebbero “cercato di fuggire, rimuovere e nascondere i dispositivi digitali“. L’ambasciata cinese ha chiesto un trattamento equo per la società, dato che tutte queste indagini ai danni della Cina starebbero danneggiando la fiducia degli investitori stranieri.
Nell’ottobre 2023, a distanza di oltre un anno, l’agenzia finanziaria nazionale ha proceduto con l’arresto di quattro dirigenti di vivo India, fra cui un cittadino cinese in custodia. Nel mentre, sia vivo che Xiaomi sono state accusate di utilizzare denaro anche per operazioni illecite che minerebbero alla stabilità geopolitica fra India e Cina. A dicembre 2023, le autorità indiane hanno compiuto altri due arresti di alto profilo, cioè il CEO e CFO di vivo India. Ecco quanto dichiarato dall’azienda: “Siamo profondamente allarmati dall’attuale azione delle autorità. I recenti arresti dimostrano continue molestie e come tali inducono un ambiente di incertezza nel panorama industriale più ampio. Siamo risoluti nell’usare tutte le vie legali per affrontare e contestare queste accuse.“