Nella periferia industriale di Eindhoven, nei Paesi Bassi, sorge ASML: oggi è la società tecnologica europea più di valore, con una quotazione che raggiunge i 280 miliardi di euro. Può contare su un organico composto da più di 39.000 dipendenti, opera in oltre 60 sedi in 16 paesi in giro per il mondo, e detiene a tutti gli effetti il monopolio del mercato dei semiconduttori. È dalle sue fabbriche che escono i complessissimi e costosissimi macchinari da cui dipendono le sorti di colossi quali TSMC, Samsung e Intel, ben disposti a pagare anche più di 100 milioni di dollari per ognuno dei suoi sistemi più pregiati. Ma come ha fatto un’azienda per molti sconosciuta a raggiungere un prestigio tale?
Perché ASML è così importante per la storia dell’industria dei semiconduttori
Da quando la crisi dei semiconduttori ha fatto capire al mondo l’importanza critica che i microchip hanno negli equilibri economici e geopolitici, un nome su tutti è sempre più sulla bocca di molti: TSMC. I dati parlano chiaro: il chipmaker taiwanese decide il destino di mercati come quello degli smartphone e non solo, ma non tutti sanno che in passato Taiwan fu una colonia olandese. Perché ciò sarebbe rilevante? Beh, perché negli anni ’70 la storica famiglia Philips era a tutti gli effetti il più grande investitore nell’economia dell’isola, e fu anche grazie a quel sostegno che nacque TSMC, su cui Philips investì economicamente e tecnologicamente, fornendole per esempio l’80% dei loro primi brevetti.
Più di tutte le altre nazioni europee, l’Olanda ci vide lungo nel capire l’importanza che avrebbero avuto i semiconduttori, anche per merito di un’azienda innovatrice come Philips, che dobbiamo ringraziare per una lunga lista di invenzioni: lampadina, nastro magnetico, musicassetta, CD, DVD, videoregistratore, rasoio elettrico, giusto per citarne alcune. Tutte idee che nacquero all’interno dei Philips Natuurkundig Laboratorium, meglio conosciuti come NatLab, paragonati non a caso a quei Bell Labs dove gli Stati Uniti inventarono i transistor e dettero via alla rivoluzione dei microchip.
Philips decise così di capitalizzare sul settore dei semiconduttori, e con oltre 2.000 dipendenti creò la divisione dedicata Elcoma (Electronic Components and Materials, ancora oggi esistente sotto forma di NXP). Nel 1975 acquisì poi Signetics, fondata da ex membri Fairchild e una delle realtà fondanti della Silicon Valley per la sua importanza nello sviluppo dei primi circuiti integrati; con questa mossa, Philips divenne il secondo produttore di semiconduttori al mondo e ritrovandosi con un’esigenza primaria: investire nei macchinari litografici.
Fra anni ’60 e ’70, soltanto Stati Uniti con Applied Materials e Giappone con Nikon e Canon avevano maturato l’expertisse necessaria per poter costruire e vendere apparati tecnologici così complessi. All’epoca, però, la fabbricazione dei microchip avveniva con la litografia a contatto, procedura piuttosto primitiva rispetto ai sistemi odierni: prevedeva che il disegno del circuito da stampare venisse impresso sul wafer di silicio tramite la pressione di piastre, un’operazione che non soltanto non era particolarmente precisa ma era anche costosa, dato che le piastre si usuravano dopo pochi utilizzi e andavano sostituite.
Fu grazie alla statunitense PerkinElmer e agli investimenti ricevuti dall’apparato militare USA che venne sviluppato il primo sistema ottico per stampare microchip: nacque nel 1973 Micralign, impianto in cui una serie di specchi proiettava il circuito da stampare sul wafer. Si rivelò un’invezione a dir poco fondamentale, perché non solo le piastre non dovevano più essere sostituite ma il tasso d’efficienza di stampa passò dal 10% al 70%. Questo abbassò notevolmente i costi di produzione e quindi anche quelli di vendita, passando da chip di punta come il Motorola 68000 a 250$ al MOS 6502 a soli 20$.
NatLab ebbe la stessa intuizione, spostarsi verso il mondo dell’ottica, ma con un approccio diverso: concepire una macchina che proiettasse ripetutamente l’immagine da stampare su più parti del wafer e consentire così una maggiore miniaturizzazione (Micralign si fermava a 2 micrometri). L’obiettivo era tanto ingegnoso quanto ambizioso, in quanto richiedeva una precisione elevatissima nel posizionare, localizzare e spostare i wafer. Fu così che nel 1973 venne realizzato il sistema Silicon Repeater, tipologia di macchina che in futuro sarebbe divenuta celebre come stepper.
Nel frattempo, altre aziende intrapreso la stessa strada, come nel caso di Nikon o dell’americana GCA Corporation, compagnie che batterono Philips sul tempo commercializzando le proprie macchine per primi; tuttavia, l’azienda olandese stava lavorando a un macchinario più complesso, preciso ma anche difficile da piazzare sul mercato. Era basato su un sistema idraulico, e questo significava dover adoperare oli e petrolio per farlo funzionare correttamente, materiali per niente ideali da avere nei delicati ambienti di stampa.
Nonostante nel 1982 l’azienda partner IBM avesse iniziato a testare il sistema PAS 2000 (nome commerciale del Silicon Repeater), la situazione non era delle migliori. Philips era intenzionata a scorporare le divisioni più difficili da gestire, Elcoma in primis, e fu a questo punto che si fece avanti l’altrettanto olandese ASM (Advanced Semiconductor Materials), fondata nel 1964 e che aveva serie intenzioni di diventare un’azienda importante nel settore. Ma le buone intenzioni non bastavano a Philips, che reputava ASM una compagnia troppo piccola per poterle cedere a cuor leggero una divisione che, al netto delle difficoltà, era comunque molto promettente.
Al netto dei dubbi, nel 1984 Philips e ASM decisero comunque di avviare una joint venture sotto il nome di ASML (Advanced Semiconductor Materials Lithography). Fra l’altro, inizialmente si sarebbe dovuta chiamare ALS (Advanced Lithography Systems), ma il nome venne ritenuto troppo simile alla SLA, in inglese proprio ALS (Amyotrophic Lateral Sclerosis). Nomi a parte, l’inizio non fu dei migliori per ASML, la cui sede iniziale era un capannone fatiscente a Eindhoven per l’insoddisfazione dei dipendenti, alcuni dei quali vivano in capanne di legno fuori dagli uffici.
Che fosse scettica lo si notava anche dal fatto che, mentre ASM mise 2 milioni di dollari per creare la joint venture, Philips contribuì con 17 unità degli invendibili PAS 2000. Quei macchinari funzionavano ancora a olio, ed è ancor più paradossale se si pensa che nei laboratori Philips NatLab esistevano già dei prototipi elettrici anziché idraulici ma sui quali ASML non aveva accesso in quanto non facenti parte dell’accordo fra le due società; affinché ASML potesse sviluppare un proprio stepper elettrico stimò che le sarebbero serviti almeno 100 milioni di dollari, cifra ben lontana dalle sue possibilità del tempo.
C’era poi un altro problema: per poter sviluppare nuovi macchinari più raffinati nelle capacità di miniaturizzazione servivano lenti più avanzate. Fino a quel momento era la parigina CERCO a fornirle le lenti, ma le rivali erano un passo avanti: Nikon usava lenti Canon e GCA della tedesca Carl Zeiss. Fortunatamente per ASML, a fine anni ’80 arrivò la svolta che la salvò dal possibile baratro: prima di tutto, Philips accettò di fornirle i brevetti del suo stepper elettrico, dopodiché arrivò la fondamentale partnership con Carl Zeiss, che dal 1986 a oggi le fornisce le sue pregiate ottiche. Questi due avvenimenti furono la chiave per lo sviluppo dello stepper PAS 2500 a 0,9 µm, obiettivo sostenuto anche dal progetto MegaChip con cui l’Europa volle sfidare il dominio litografico USA e Giappone. Il primo cliente fu la stessa Philips, con cui però i rapporti continuavano a essere conflittuali: nel 1988, la crisi del settore litografico portò ASM a essere a corto di fondi e Philips a voler tagliare posti di lavoro.
Ma anche grazie agli accordi economici raggiunti con nuovi partner, come la storica Cypress Semiconductor, ASML resistette, e nel 1989 creò il nuovo sistema PAS 5500/50, il primo a funzionare a luce ultravioletta. L’azienda olandese fu la prima al mondo a creare macchinari capaci di reagire a luci con lunghezza d’onda così ridotta: ci riuscì utilizzando per la prima volta un sistema basato su lampade al mercurio, in grado di raggiungere la risoluzione record (per l’epoca) di 0,5 micron. Nel 1990 fu il turno del del PAS 5500/70 con tecnologia DUV (Deep Ultraviolet): serviva che la lunghezza d’onda della luce usata nel macchinario scendesse da 365 nm a 100 nm, perciò iniziarono a essere impiegati materiali più avanzati come laser al fluoruro di krypton e di argon, con lavorazioni fino a 0,35 micron.
La serie PAS 5500 fu la chiave di volta per il successo di ASML, che attirò a sé le attenzioni di un numero crescente di chipmaker leader, come nel caso di Micron, necessari per generare un profitto tale da poter continuare a investire ad alti livelli. I suoi macchinari DUV erano i più avanzati del settore ma erano anche molto costosi, e ciò rischiava di tagliar fuori una serie di aziende che richiedevano sistemi più economici. Un modo per miniaturizzare senza utilizzare la tecnologia DUV fu aumentare l’apertura numerica (NA) dell’ottica del macchinario: come nelle fotocamere, più è alta l’apertura più luce entra, a beneficio della risoluzione. Il risultato fu che nel 1993 ASML realizzò il primo stepper I-Line a 0,35 micron, paragonabile alla tecnica DUV del PAS 5500/100.
Gli anni nei capannoni disastrati e dell’incertezza del domani erano sempre più lontani: nel 1993, ASML iniziò a espandersi in Asia, e nel 1995 divenne una società ufficialmente indipendente nonché quotata in borsa. Dopo che negli scorsi decenni erano Stati Uniti e Giappone ad avere il comando del settore litografico, adesso era ASML a guidarlo, capitalizzando soprattutto sulla crisi del mercato del Sol Levante: se nel 1995 il 70% dei microchip venivano stampati in Giappone, nel 2005 il 50% era nelle mani dell’Olanda.
Tornando indietro alla fine degli anni ’90, ASML portò avanti lo sviluppo della serie PAS 5500, reinvestendo i crescenti profitti per innovare e creare nuove tecnologie. Esplorando il concetto di microscopia nella litografia creò la tecnologia AERIAL, tecnica di illuminazione fuori asse (modificando l’angolo di incidenza della luce) usata dai microscopi ad alta risoluzione per avere una risoluzione più alta dell’immagine proiettata sul wafer; creò anche un nuovo sistema Step & Scan, con cui sfruttare un’area più grande ma usando una lente più piccola ed economica, che combinata alla tecnologia DUV permetteva di stampare fino a 0,18 micron.
Tutta una serie di trovate che le permisero di entrare nelle grazie di nuovi clienti, fra cui HP, Siemens e Samsung, e di espandersi ulteriormente nel mondo. Oltre ad aprire la sua prima sede in Italia nel 1998, nel 1996 sbarcò ufficialmente sull’isola di Taiwan, laddove l'”amica” TSMC stava anch’essa divenendo una dei capostipiti dell’industria dei semiconduttori. Sì, perché fra anni ’70 e ’80 il taiwanese Burn-Jeng Lin, all’epoca fra le fila di IBM, aveva concettualizzato la tecnica della litografia a immersione. Coinvolgendo l’uso di un liquido tra lente e wafer, permette ai fotoni di avere una lunghezza d’onda più breve e quindi di ottenere dettagli più precisi, consentendo di scrivere strutture più piccole e complesse sui wafer e di aumentare la densità dei transistor.
Fu proprio negli anni 2000 che Burn-Jeng Lin iniziò a lavorare per TSMC, e non ci volle molto prima che l’alleanza fra le due compagnie permettesse ad ASML di lavorare ai suoi primi macchinari litografici a immersione. Nel 2001 ideò il sistema TWINSCAN dalla rivoluzionaria tecnologia a doppio stadio: mentre un wafer viene lavorato, quello successivo viene già predisposto per la lavorazione, il ché significa più precisione ma anche più produttività. La prima macchina di questo tipo, il TWINSCAN AT:750T, esordì nel 2001 con capacità di stampa a 130 nm, scendendo a 100 nm con il successivo AT:850; a proposito di litografia a immersione, nel 2004 debuttò la prima macchina di quella tipologia, la TWINSCAN XT:1250i, capace di stampare a 65 nm.
Per diversi anni, all’incirca fino al 2010, la tecnologia DUV fu l’asse portante dell’economia di ASML, che col passare del tempo si impose come l’azienda numero #1 su scala globale. Arrivò così il momento di passare al capitolo successivo nell’evoluzione della legge di Moore, ovvero la tecnologia EUV (Extreme Ultraviolet): rispetto a quella DUV, la lunghezza d’onda scende ulteriormente, passando da una media di 190/250 nm a soli 13,5 nm, quasi al pari dei raggi X. Per farlo, un laser viene sparato attraverso una goccia di stagno, vaporizzandola e creando una luce EUV, processo che viene ripetuto fino a 50.000 volte al secondo, dopodiché la luce viene fatta rimbalzare su vari specchi multistrato fino a impressionare il wafer.
Il passaggio da DUV a EUV non fu per niente facile: richiese investimenti per oltre 6 miliardi di euro, ben 17 anni di ricerca e sviluppo, l’acquisizione di Cymer (produttore americano di sorgenti luminose litografiche) e la partecipazione di partner come Intel, che negli anni investì in ASML oltre 4 miliardi per lo sviluppo EUV. Nel 2010 venne così creato il primo prototipo EUV, il TWINSCAN NXE:3100, a cui seguì la prima macchina commercializzata su larga scala, l’NXE:3400: tutti macchinari necessari affinché TSMC, Samsung e Intel possano stampare a 7/5 nm e oltre, e di riflesso consentire ai vari chipmaker fabless come Apple, AMD, NVIDIA Qualcomm e MediaTek di creare i propri microchip.
Uno degli ultimi esemplari ASML, l’NXE:3600D, è talmente complesso da richiedere una spesa di 200 milioni di dollari per acquistarlo, oltre al fatto che per spedirlo servono 40 container, 20 camion e 3 Boeing 747; nel mentre, fra 2023 e 2024 partiranno le spedizioni dei primi macchinari ASML High-NA, con cui verrà alzata l’asticella da parte di chipmaker come Intel, pronti a passare ai 2 e 1,8 nm. Tutti compimenti che non possono che allietare il programma EU Chips Act, con cui l’Europa sta cercando di riaccentrare la fabbricazione dei semiconduttori nei propri confini. Non sarà facile, ma il fatto che l’olandese ASML abbia raggiunto un grado così elevato di know-how gioca senz’altro in proprio favore.
Non può dire lo stesso la Cina, che negli ultimi sta affrontando uno scontro tecnologico col fronte occidentale, soprattutto con gli Stati Uniti, che la sta progressivamente tagliando fuori dalla catena di approvvigionamento globale. L’Olanda si è schierata al fianco degli USA, e ASML non può più fornire i macchinari più avanzati ai chipmaker cinesi, fra cui SMIC, con cui aveva avviato una collaborazione nel 2001.
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