Da qualche tempo a questa parte, nelle schede tecniche degli smartphone ha iniziato a farsi strada la terminologia PWM Dimming, acronimo che sta per “Pulse Width Modulation” che in italiano diventa “Modulazione di Larghezza d’Impulso“. Anche se possa sembrare una novità, è una tecnologia che esiste da molto tempo e che nasce per la regolazione della luminosità display ma che può affaticare la vista: come mai? Oggi vi spiego come funziona e perché i produttori di smartphone ci stanno prestando sempre più attenzione.
Perché è meglio avere uno smartphone con display ad alta frequenza PWM Dimming
Sia che si parli di schermi LCD che di AMOLED, abbiamo a che fare con pannelli composti da minuscoli diodi meglio conosciuti come LED. Avete presente quando impostate al 40% la luminosità del display del vostro smartphone? Ecco, con i LED ciò non sarebbe normalmente possibile: non essendo componenti analogici bensì digitali, hanno solamente due stati, cioè 0 o 1. Di conseguenza, usarli come fonte d’illuminazione significherebbe che lo schermo sarebbe o spento o acceso. Ed è qui che entra in gioco la tecnologia PWM Dimming, che varia l’ampiezza dell’impulso luminoso accendendo e spegnendo i LED con una frequenza talmente rapida da simulare un segnale analogico e così regolare la luminosità a valori intermedi fra 0 e 100. Quando si imposta la luminosità dello schermo all’80%, quello che fa il PWM Dimming è tenere il segnale acceso per l’80% del tempo e spento per il 20%.
Affinché l’occhio non percepisca questo continuo “on/off” è necessario superare la cosiddetta soglia di fusione dello sfarfallio, oltre la quale una luce intermittente viene recepita come costantemente accesa dal cervello umano.
Se avete mai provato a filmare lo schermo di un vecchio monitor a tubo catodico, vi sarete accorti del cosiddetto sfarfallio: nel filmato compaiono delle bande nere in movimento, apparentemente invisibili a occhio nudo. In realtà, il nostro occhio le vede eccome, e quindi la pupilla si allarga e si contrae per rispondere al cambio di luminosità provocato dal movimento di quelle bande. Ecco perché può capitare di sentirsi la vista affaticata o addirittura avere mal di testa dopo aver guardato a lungo uno schermo. La natura di queste famigerate bande è proprio legata al meccanismo del PWM Dimming, specialmente in ambienti poco illuminati dove quindi si tende a usare una bassa luminosità del display. Questo perché se la si imposta per esempio al 30%, il segnale è acceso per il 30% del tempo e spento per il 70%, con risultato che le bande nere sono più grosse e percettibili.
Per capirci, ecco un confronto fra un Samsung Galaxy S20 Ultra impostato al 60% di luminosità e Huawei P40 Pro e OPPO Find X2 Pro al 90%:
Questo accade quando lo schermo adopera un PWM Dimming a bassa frequenza: aggiornando meno rapidamente la luminosità dello schermo fa sì che la pupilla sia più suscettibile al cambio di luce; al contrario, una frequenza alta inganna l’occhio, che percepisce lo schermo come se fosse costantemente acceso e quindi privo di bande nere (anche se non lo sia).
NB: quando si parla di PWM Dimming non va fatta confusione col refresh rate, due concetti simili ma differenti, perché la frequenza di PWM Dimming riguarda la luminosità, mentre il refresh rate la fluidità.
Secondo quanto scoperto dall’Institute of Electrical and Electronics Engineers, una frequenza fra 100 e 400 Hz può risultare fastidiosa alla vista. Ad aver dato una spinta al rialzo sono stati principalmente i produttori cinesi: diversi modelli recenti targati Xiaomi, Redmi e POCO utilizzano PWM Dimming a 1.920 Hz, ma ci sono anche brand come OPPO, Realme e vivo che hanno il record dei 2.160 Hz (iQOO arriva “solo” a 1.440 Hz). E nella corsa verso il superamento della soglia critica dei 3.000 Hz, indicata come la frequenza oltre la quale lo sfarfallio non viene più percepito dagli occhi, Honor ha prima infranto la barriera dei 3.840 Hz e infine quella dei 4.320 Hz.
Allo stesso tempo, gli smartphone Samsung e Motorola (top di gamma compresi) si fermano a 240 Hz, quelli di OnePlus non vanno oltre i 360 Hz e gli iPhone di Apple raggiungono soltanto i 480 Hz. Per alcuni ciò potrebbe non essere un problema, perché non tutti sono ugualmente sensibili allo sfarfallio, ma è giusto segnalarvelo.
E il DC Dimming?
Sempre parlando di specifiche tecniche, un’altra terminologia è comparsa negli ultimi anni, cioè il DC Dimming, una tecnica alternativa al PWM Dimming usata per molto tempo sugli schermi LCD. A differenza di quelli OLED, i display LCD hanno un apposito pannello LED per la retro-illuminazione. Anziché modificare la frequenza di aggiornamento del pannello, si utilizza il DC Dimming semplicemente per attenuare la corrente (“DC” sta per “Direct Current“, “Corrente Diretta“) che lo alimenta in modo da abbassarne la luminosità eliminando il problema dello sfarfallio.
Ma allora perché usare il PWM Dimming se il DC Dimming è migliore? Il motivo è legato principalmente agli schermi AMOLED, che non hanno un pannello retro-illuminante bensì sono composti da LED organici auto-illuminanti, con tutti i vantaggi che ne conseguono (nero assoluto, contrasto più alto, ecc.). Tuttavia, lo svantaggio è che abbassare la corrente negli AMOLED significa rischiare che i LED restituiscano colori peggiori e causare fenomeni come quello degli schermi verdi. Produttori come Xiaomi, OPPO e OnePlus hanno provato a usare il DC Dimming sui propri smartphone, ma il risultato finale non si è dimostrato all’altezza del PWM Dimming.
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