MicroLED, Mini LED, QD-OLED: quale futuro per gli smartphone dopo l’OLED?

quantum dot qd-oled display smartphone

Lo sapevate che i primi telefoni dotati di schermo OLED risalgono al 2003? Sono quasi 20 anni che questa tecnologia esiste nel mondo telefonico, con modelli quali Samsung SGH-E700, LG G7030 e Motorola V303 che l’hanno introdotta al grande pubblico. Soprattutto per gli alti costi produttivi, gli schermi OLED erano relegati allo schermo esterno dei flip phone, in un’epoca in cui la qualità di un display OLED era ancora lontana da quella degli smartphone odierni. Un tempo, quasi tutti i telefoni in circolazione avevano schermi LCD, tecnologia già ampiamente rodata su TV e computer. È stato nel 2006, quando Samsung ha fondato la tecnologia AMOLED, che questa tipologia di display ha iniziato a farsi strada nel mondo degli smartphone.

Cosa ci aspetta dopo la tecnologia OLED per gli schermi su smartphone?

display oled microscopio

L’invenzione degli schermi AMOLED è stata essenziale per il loro sviluppo sugli smartphone, con quella matrice attiva (da qui il termine AMOLED, “Active Matrix Organic LED”) che ha contribuito ad aumentarne la qualità. L’aggiunta dello strato TFT (Thin-Film Transistor) fa sì che ogni pixel abbia due transistor a controllarne l’afflusso di corrente, abbassando i consumi e permettendo una maggior frequenza di aggiornamento. La successiva evoluzione, Super AMOLED, ha migliorato aspetti come luminosità, visibilità all’aperto e risoluzione, grazie anche alla matrice PenTile con cui diminuire la degradazione del display.

Più in generale, il passaggio da LCD a OLED ha permesso ai dispositivi elettronici, smartphone in primis, di avere schermi più efficienti in termini di consumi, nonché più belli da vedere grazie a contrasto infinito e neri assoluti. Senza contare che la flessibilità di questi schermi ha reso possibile la creazione di nuovi formati, fra smartphone curvi, pieghevoli e arrotolabili. Tuttavia, è da oltre dieci anni che quando si parla di smartphone si parla soltanto di AMOLED, quando nel frattempo in altri settori abbiamo visto la comparsa di nuove tecnologie, come MicroLED, Mini LED e QD-OLED. Oggi capiamo cosa sono, come funzionano e soprattutto se potrebbero rappresentare il futuro per gli schermi mobile.

MicroLED

Della tecnologia MicroLED si è iniziato a parlare nei primi anni 2000, ma ci sono voluti quasi due decenni di ricerca e sviluppo per renderla commerciabile sui primi prodotti. Come anticipa il nome stesso, il concetto è quello di creare pixel composti da gruppi di LED microscopici, offrendo gli stessi vantaggi degli OLED rispetti agli LCD ma con una resistenza elevata al burn-in grazie alla loro natura inorganica. Inoltre, questo tipo di display offre un tempo di risposta particolarmente alto, prestandosi all’utilizzo in dispositivi ad alto refresh rate, per esempio smartphone e visori VR/AR/3D.

Fra 2018 e 2019, Samsung e Sony hanno realizzato le prime smart TV MicroLED, ma da allora è una tecnologia che non ha trovato particolari applicazioni nel mondo consumer. A parte qualche esperimento sugli smartphone pieghevoli, nessuno si è cimentato per sdoganarla al grande pubblico, probabilmente anche a causa dei costi produttivi. Per creare un pannello del genere, è necessario che milioni e milioni di LED microscopici siano tutti ben funzionanti ed esenti da difetti, un processo produttivo che rischia di provocare molti scarti se non si possiede una filiera ad altissima efficienza.

display microled

Mini LED

Al contrario, c’è chi nella tecnologia Mini LED vede un futuro fattibile per gli schermi mobile e una sorta di fusione fra LCD e OLED. Come per quella microLED, quella Mini LED coinvolge sempre pixel molto piccoli ma riadottando la retroilluminazione LED tipica degli LCD. La differenza è che, anziché avere un sistema di retroilluminazione univoca per tutti i pixel, viene adoperata la tecnica del Full Array Local Dimming. Grazie alle dimensioni molto minute (meno di 0,2 mm l’uno), i diodi LED che illuminano il pannello sono migliaia anziché centinaia, e potendo essere spenti singolarmente garantiscono contrasto elevato, neri profondi e luminosità superiore agli LCD; il tutto con costi di produzione sì più alti della media degli LCD e degli OLED ma non troppo elevati.

A livello mediatico, il primo prodotto consumer ad aver adottato un pannello Mini LED è stato iPad Pro 2021 da 12,9″ e il suo schermo Liquid Retina XDR. Nello stesso anno l’abbiamo vista in azione anche su alcune TV LG e TCL, seguite poi dagli ultimi MacBook Pro entrando nel mondo PC. Rispetto a quelli MicroLED, gli schermi Mini LED offrono una maggiore flessibilità in termini di dimensioni, risultando più facilmente integrabili su dispositivi di piccole dimensioni, come per esempio gli smartphone.

Tuttavia, le voci del 2018 sui primi smartphone Mini LED targati Xiaomi, OPPO e Huawei non hanno ancora trovato un reale riscontro. Allo stato attuale, quindi, gli schermi OLED rappresentano ancora il miglior compromesso in termini di qualità e costi per i produttori di smartphone.

mini led

Quantum Dot OLED

Arriviamo così alla tecnologia Quantum Dot OLED, anche detta QD-OLED, che assieme a quella MicroLED è una diretta evoluzione degli OLED tradizionali. Questi schermi si basano sul concetto di punti quantici, cioè cristalli nell’ordine dei nanometri, talmente piccoli da essere definiti “atomi artificiali”. In un pannello OLED, ogni pixel è formato da quattro sub-pixel bianchi con filtri rosso, verde, blu e bianco (RGBW) per ottenere il colore richiesto; un metodo poco efficiente in termini di luminosità, dato che la luce emessa viene ostacolata da questi filtri.

display quantum dot qd-oled

In uno schermo QD-OLED, invece, la retroilluminazione è blu anziché bianca e al posto dei filtri ci sono questi punti quantici, che per loro natura possono emettere sfumature di colori quando illuminati, eliminando quindi la necessità di filtri. Venendo eliminato il quarto sub-pixel bianco, offre una correttezza cromatica maggiore ad alta luminosità e una gamma dinamica più ampia, ideale per la fruizione dei contenuti HDR; in generale, poi, è uno schermo a maggiore efficienza, essendoci meno passaggi per la creazione dei colori, e che per l’assenza di filtri propone una qualità migliore in un angolo di visualizzazione ampio.

Bisogna però fare un doveroso distinguo fra OLED per TV e per smartphone, perché gli schermi AMOLED per telefono godono della succitata matrice PenTile. Ciò significa la presenza di uno strato di sub-pixel che emettono luce rossa, verde e blu senza la necessità di filtri, con il risultato di un’efficienza maggiore rispetto agli OLED delle TV.

display rgb vs pentile

C’è chi sindaca che gli schermi PenTile abbiano un difetto, ovvero la risoluzione: avendo il doppio dei sub-pixel verdi rispetto a quelli rossi e blu, la risoluzione effettiva è numericamente più bassa. Essendo i nostri occhi più sensibili alla luce dei pixel verdi, Samsung ha scelto di farli più piccoli in modo da risparmiare energia e ridurre il rischio di burn-in. A tal proposito, la retroilluminazione blu insita negli schermi QD-OLED è più inclina a provocare burn-in, oltre al fatto che questa tipologia di schermi risulta ancora particolarmente costosa e con rendimenti produttivi inferiori agli AMOLED.

Questo significa che nei prossimi anni vedremo solo schermi OLED sugli smartphone? Probabilmente sì, ma non è una brutta notizia, anzi. Basti vedere i passi compiuti da Samsung nell’evoluzione dei suoi schermi AMOLED, in primis con la tecnologia LTPO.

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