L’India sfida la Cina: ecco il suo piano per la crisi dei chip

india semiconduttori

Ci vorrà ancora tempo prima che la crisi dei semiconduttori possa rientrare (come dimostrano i problemi in Italia) e far tornare il mercato tecnologico alla normalità. La domanda sale ma l’offerta no, vuoi per la crisi energetica, vuoi per il conflitto in Ucraina, vuoi per la pandemia che continua ad affliggere la Cina e che sta spingendo sempre più aziende a rivolgersi altrove. Per esempio in Vietnam, ma fra i paesi che le compagnie tech stanno scegliendo per produrre c’è anche l’India, che per un motivo o per l’altro sta diventando un’antagonista per la Cina. Dopo essersi rivelata l’Eldorado per molte delle sue compagnie, queste si sono scontrate con autorità sempre meno disposte a concedere carta bianca all’industria cinese; lo dimostrano i vari casi giudiziari ai danni di Xiaomi, Huawei, OPPO e vivo, il ban per centinaia di app cinesi e persino l’ipotesi di bloccare la vendita di smartphone cinesi.

E nel mentre la Cina combatte con la sua debolezza nel mercato dei semiconduttori nei confronti di Stati Uniti, Taiwan e Sud Corea, l’India vuole inserirsi come nuova realtà nel mondo dei chip. Vediamo qual è la situazione attuale per la nazione indiana e quali possano essere le probabilità di successo.

Ecco come l’India si sta preparando ad aggiungersi alla corsa ai semiconduttori

Lo stato attuale del mondo dei semiconduttori vede Taiwan e Sud Corea sul podio, con le rispettive TSMC e Samsung che producono i chip più avanzati al mondo. Nel mentre, Stati Uniti, Europa e Giappone forniscono loro macchinari e strumenti hardware e software essenziali per la loro produzione, oltre a vantare numerosi chipmaker (fab e fabless) leader del settore. Europa e Giappone sono i cardini dei chip per il mondo automobilistico, mentre gli Stati Uniti possono vantare compagnie come Intel, AMD e NVIDIA per CPU, GPU e AI, Qualcomm e Broadcom per smartphone e connettività, o anche Micron per le memorie. Per quanto in una posizione di svantaggio, la Cina ha comunque dalla sua una realtà come SMIC, attualmente nella top 5 dei chipmaker mondiali dopo TSMC, Samsung, UMC e GlobalFoundries.

Nonostante sia uno dei mercati tecnologici più imponenti al mondo, l’India è ben più indietro nel mercato dei semiconduttori. Allo stato attuale, la nazione possiede soltanto 4 impianti di produzione e di realtà decisamente minori (ISRO, STAR-C e GAETEC). Nei decenni passati, aziende estere come Texas Instruments, Intel, Motorola e Philips hanno collaborato con la nazione per delegarvi parte della progettazione dei chip, beneficiando dei talenti informatici e ingegneristici usciti dalle università indiane. Questa è una dinamica che succede spesso nel mercato tecnologico, cioè che i paesi più arretrati cooperino con quelli più avanzati per dar loro costi di manodopera più bassi e vantaggi fiscali in cambio della condivisione di tecnologie, spesso di basso profilo ma che rappresentino comunque un passo in avanti.

Questa sinergia con USA ed Europa permise all’India degli anni ’90 di progredire nello sviluppo di chip, ma senza mai capitalizzare veramente su questo avanzamento. Nel mentre la Cina creava società autoctone come SMIC, UNISOC e HiSilicon, l’India si è affidata quasi unicamente alle multinazionali estere, con il problema che queste abbiano prodotto in India soltanto manifatture poco competitive e vantaggiose per la filiera nazionale. D’altronde, perché un chipmaker americano o europeo dovrebbe avvantaggiare la concorrenza, confidandole le sue tecnologie migliori?

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Il piano dell’India per entrare nel mondo dei semiconduttori

Arriviamo così al piano avviato dal governo per rendere l’India una realtà veramente competitiva nel mercato dei chip. Nel 2006 è stato creato il centro di ricerca Semi-Conductor Laboratory, con l’obiettivo di promuovere, guidare e coordinare la ricerca e lo sviluppo nel campo dei semiconduttori; una realtà che non è mai diventata competitiva, ma che ha contribuito alla formazione di molti addetti ai lavori. Più recentemente, il governo indiano ha deciso di stanziare investimenti per 10 miliardi, oltre a dare sostegno fiscale e nell’utilizzo di materie prime ed energia alle aziende di semiconduttori che nasceranno in India. Per il momento, ci sono tre situazioni volenterose a guidare la nascita di una vera industria indiana dei chip.

Una si chiama ISMC ed è la joint venture fra la venture capital Next Orbit e l’israeliana Tower Semiconductor (acquistata da Intel a inizio 2022). A inizio 2022 è stato annunciato un programma da 3 miliardi di dollari per la creazione di un impianto di produzione chip nello stato del Karnataka. La seconda è IGSS Ventures, holding singaporiana che ha stanziato oltre 3 milioni di dollari per la realizzazione di un parco hi-tech nella zona di Tamil Nadu. Il parco ospiterà anche una fabbrica la cui produzione di chip punta a processi produttivi a 65, 45 e 28 nm, oltre a una filiera composta da progettisti, fornitori di materiali e apparecchiature e sezioni di assemblaggio e test dei semiconduttori prodotti.

La terza è la joint venture fra il gigante minerario indiano Vedanta e Foxconn, azienda sino-taiwanese nota ai più per essere una delle principali fabbriche al mondo di elettronica, con partner quali Apple, Xiaomi, Huawei, Nokia, Lenovo, Motorola e molti altri. Dopo essere diventata leader nell’assemblaggio, Foxconn è intenzionata a entrare nel mercato dei chip e potrebbe farlo proprio in partnership con l’India: l’obiettivo è una filiera produttiva a 28 nm, di cui il 70% prodotti in India.

Questa nuova azienda promette qualcosa come 100.000 posti di lavoro, dove un colosso come TSMC ne offre “solo” 65.000, e c’è chi vede in queste promesse un metodo per ottenere più facilmente i finanziamenti dal governo indiano. Inoltre, Foxconn non ha alcuna esperienza nella produzione di semiconduttori, ma è anche vero che ha acquisito Sharp (e le sue fabbriche in Giappone) e collabora con Stellantis per la realizzazione di chip per il segmento auto. Fatto sta che Vedanta e Foxconn hanno annunciato un piano di investimenti da 19,5 miliardi di dollari per la creazione entro due anni di impianti per la produzione di semiconduttori e display nei pressi della città di Gujarat (che conta oltre 60 milioni di abitanti).

È ancora presto per trarre delle conclusioni, ci vorranno anni prima che questi impianti entrino a regime, ma secondo le prime stime, il mercato dei semiconduttori indiano è previsto che cresca dai 15 miliardi del 2020 ai 63 miliardi nel 2026.

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