La storia dei chip è affascinante, perché ci fa capire l’evoluzione che la tecnologia (e quindi le nostre vite) ha vissuto nel corso dei decenni. Tutto parte dagli anni ’40/’50, quando si scoprì la possibilità di unire circuiti elettrici in un singolo oggetto miniaturizzato, grazie alla nascita nei Bell Labs dei transistor e quindi dei primi circuiti integrati. Un capitolo altrettanto importante di questa storia risale agli anni ’60/’70, quando nacquero i primi microprocessori per mano di Intel e Texas Instruments. Erano anche gli anni in cui un certo Gordon Moore delineava l’evoluzione dei processori, affermando che il numero di transistor al loro interno sarebbe raddoppiando su base annua. Sì, sto parlando della legge di Moore che di tanto in tanto viene riesumata in epoca recente quando si parla di SoC, acronimo che sta per System-on-a-Chip.
Un SoC altro non è che l’evoluzione del circuito integrato, perché un SoC è un insieme di varie componenti inserite in un unico chip. Oggi, buona parte dei dispositivi elettronici nelle nostre case contiene un System-on-a-Chip. L’esempio principale è senz’altro quello degli smartphone, alimentati da SoC che comprendono al loro interno elementi quali CPU, GPU, RAM, ROM ed elementi accessori come NPU, TPU e così via. Quello dei SoC è l’ultimo capitolo che compone la nostra storia, l’ultimo passo nell’evoluzione dei circuiti integrati. E se oggi i SoC comandano il nostro quotidiano con così rilevanza, è anche grazie al cambiamento avvenuto nel settore dei chipmaker. Proprio per questo, oggi vi voglio spiegare quale sia la differenza fra chipmaker fab e fabless e come questa differenza abbia cambiato il panorama tech per sempre.
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ToggleVi spiego qual è la differenza fra chipmaker fab e fabless
Per iniziare, è necessario sapere che prima degli anni ’80 questa distinzione non esisteva. Quarant’anni fa, il mercato dei chip poteva essere suddiviso in due fronti: quellodegli Stati Uniti e quello del Giappone. Da un lato avevamo Intel, Texas Instruments e Motorola, dall’altro NEC, Hitachi, Toshiba, Fujitsu e Matsushita (oggi Panasonic). Tutte compagnie che avevano una produzione verticale, quindi gestendo l’intera filiera, dall’ideazione alla fabbricazione dei chip. Fra questi due fronti c’era anche l’Europa che, pur possedendo una quota minoritaria con la sola olandese Philips, ha paradossalmente contribuito a rivoluzionare l’intero settore. Come vi ho spiegato in questo editoriale, è grazie a Philips se oggi esiste Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, meglio conosciuta come TSMC.
Creata in Taiwan nel 1987, il chipmaker taiwanese deve la sua fortuna al suo fondatore Morris Chang, colui che possiamo definire la chiave di volta dell’argomento di cui vi sto parlando. Nato in Taiwan, si spostò negli USA dove si laureò nelle università americane di Harvard, Stanford e MIT, finendo a lavorare per 25 anni proprio per Texas Instruments, dove con la sua arguzia scalò le gerarchie divenendone vice presidente. E Taiwan, desiderosa di rendersi competitiva nel mercato tecnologico, vide in Morris la figura ideale per questo oneroso obiettivo. Mr. Chang venne così arruolato dal governo taiwanese come presidente dell’ITRI (Industrial Technology Research Institute), centro di ricerca e sviluppo che Taiwan fondò sulla falsa riga della Silicon Valley. E fu proprio all’interno di questo centro che Morris creò TSMC, con l’intento di rendere l’isola uno dei protagonisti nel mercato dei semiconduttori.
Nonostante si inserisse in un mercato altamente competitivo, dove americani e giapponesi comandavano da decenni, TSMC riuscì ad arrivare al successo nel giro di relativamente poco tempo. Questo grazie al lavoro svolto da Morris Chang, che sfruttò la sua esperienza pluridecennale per capire in anticipo la direzione del mercato. Negli anni ’80, infatti, non era raro che i chipmaker dotati di fabbriche avessero momenti in cui la produzione superava una domanda che era sì alta ma non alta come quella odierna. Il miglior modo per ridurre sprechi e non andare in perdita era quello di condividere questa eccedenza con altre compagnie, in particolare quelle senza fabbriche di proprietà. Un trend che Morris capì prima di tutti, fondando TSMC con la volontà di dedicarla interamente alla produzione di chip per altre aziende.
Possiamo dire che la mossa di Morris rappresentò un cambio di paradigma per il mondo dei chip, aprendo le porte a scenari mai visti fino ad allora. La presenza di una realtà come TSMC permise la nascita di realtà piccole ma comunque volenterose di inserirsi in un mercato precedentemente inarrivabile. Costruire fabbriche per la produzione di chip richiede investimenti per miliardi di dollari, nonché forza lavoro altamente specializzata. Al contrario, la nascita di modello di business significava la possibilità di pagare qualcun altro per produrre i chip al proprio posto.
Chipmaker fab
Ecco, quindi, che TSMC è a tutti gli effetti il primo chipmaker fab della storia. La definizione “fab” (o anche “pure-play“) indica tutte quelle aziende che si occupano esclusivamente della fabbricazione di chip per terze parti. In questa categoria rientra principalmente TSMC, attualmente leader del settore per distacco: stando ai dati di vendita, il chipmaker taiwanese possiede più del 50% del mercato. Dalle sue fabbriche esce la quasi totalità dei SoC che troviamo su smartphone, tablet e notebook, nonché CPU e GPU presenti in moltissimi PC, portatili, processori, schede grafiche e console.
Sempre nell’isola di Taiwan troviamo UMC (United Microelectronics Corporation), altro storico produttore fab che realizza principalmente chip per prodotti elettronici come domotica, apparati per la connettività, giocattoli, orologi, ecc. Un altro nome di rilievo è quello di GlobalFoundries, costola distaccatasi dalla casa madre AMD (di cui vi parlo nel paragrafo successivo). E oltre ovviamente alla stessa AMD, fra i suoi clienti troviamo compagnie come Qualcomm, MediaTek, NXP Semiconductors, Qorvo, Cirrus Logic e Broadcom.
Rimanendo in Asia, potreste pensare che la Cina sia uno dei paesi di riferimento nella produzione di chip, ma così non è. Al contrario di Taiwan e Sud Corea, la nazione di Xi Jinping non è riuscita a divenire altrettanto competitiva. Ad oggi, l’unica realtà con una discreta fetta di mercato è SMIC (Semiconductor Manufacturing International Corporation), i cui clienti più noti sono Qualcomm, Broadcom e Texas Instruments.
Questi che vi ho appena detto sono i nomi principali nella categoria dei chipmaker fab. Altre realtà minori che rientrano in questo gruppo sono Huahong Group, PSMC, VIS, Tower Semiconductor e DB HiTek.
Chipmaker fabless
Con il venir meno delle barriere di ingresso nel mondo dei semiconduttori grazie a TSMC, fra anni ’80 e ’90 nacque il concetto di chipmaker fabless. Il vantaggio di questa diversificazione va ad ambedue le parti: mentre le società fab possono specializzarsi nella fabbricazione fisica, quelle fabless possono dedicarsi al pensare, ingegnerizzare e “disegnare” i chip. Una volta creati questi “disegni”, l’azienda fabless li invia a quella fab che si occupa di fabbricarli fisicamente e fornirglieli.
Come prevedibile, la nascita del mercato fabless non fu vista di buon occhio dalle compagnie fab dell’epoca. Esemplare è il caso di Jerry Sanders, co-fondatore di AMD, e la sua dichiarazione “i veri uomini hanno le fabbriche“. Evidentemente la storia non gli ha dato ragione, perché dagli anni ’90 in poi abbiamo assistito alla nascita di numerose compagnie fabless. Le prime della storia sono Chips and Technologies e Xilinx, mentre nel mondo degli smartphone i due nomi storici sono senza ombra di dubbio la californiana Qualcomm e la taiwanese MediaTek. Se avete uno smartphone o un tablet, con buona probabilità il SoC al suo interno proviene da una di queste due compagnie.
In alternativa, è possibile che abbiate un iPhone o un iPad. In tal caso, dentro c’è un chip proprietario Apple, un’altra delle realtà più grandi del mondo fabless. Tutti i chip che muovono l’ampio ecosistema di Cupertino arrivano dalle fabbriche TSMC, da quando nel 2011 scelse di affidarsi alle fabbriche di Taiwan. Una mossa che dal mondo mobile si è spostata anche a quello dei PC, da quando Apple ha sostituito le soluzioni Intel con i propri chip Apple Silicon (sempre fabbricati da TSMC).
Un’altra possibilità è che abbiate un prodotto Huawei: in tal caso, i chipset Kirin sono realizzati dalla sua divisione dedicata HiSilicon. E anche in questo caso, parliamo di uno dei molteplici clienti che si affidano alla produzione fisica di TSMC. Tuttavia, da quando è finita vittima del ban USA, Huawei è stata inserita nella Entity List e con essa anche HiSilicon. Ciò significa che Huawei non può più farsi produrre i chip da TSMC e da tutti i chipmaker che utilizzino tecnologie di derivazione americana. A tal proposito, UNISOC è il principale chipmaker fabless della Cina e si vocifera che possa avere un ruolo importante nella crescita della Cina sul mercato dei chip.
Se ci spostiamo all’universo informatico, le compagnie fabless principali sono AMD, NVIDIA e Broadcom. Vi ho parlato di come AMD avesse criticato il modello di business fab/fabless. Ma fra 2008 e 2009 decise di fare retrofront e, per rimanere competitiva, distaccare la propria divisione dei semiconduttori sotto forma di entità indipendente, cioè la succitata GlobalFoundries.
Chipmaker IDM
In conclusione, seppur non sia più prevalente, è doveroso menzionare la categoria dei chipmaker IDM. L’acronimo sta per Integrated Device Manufacturer, cioè i produttori di chip “alla vecchia maniera”. Mi riferisco al tipo di business con cui è nato questo mercato, ovvero i produttori che si occupano di coprire l’intera filiera produttiva, dall’ideazione alla fabbricazione dei chip. Inoltre, molto spesso la produzione viene utilizzata dalla stessa azienda, senza quindi vendere i chip ad altre compagnie.
In questo gruppo fanno parte colossi storici come IBM, NEC e Texas Instruments. AMD non lo è più da quando è nata GlobalFoundries, mentre Intel è ancora perlopiù un produttore IDM. Fra l’altro, proprio di recente si è parlato di come Intel potrebbe portare le sue fabbriche anche in Italia.
Concludo con il nome più atipico nella categoria IDM: quello di Samsung, alla cui produzione di componenti elettronici deve una grossa fetta dei suoi guadagni. Tolto qualche modello, tutti i suoi smartphone e tablet contengono chip proprietari Exynos. Il primo arrivò nel 2010 con il lancio del Samsung Galaxy S, la cui scheda tecnica era guidata dall’Hummingbird S5PC110. L’S5PC110 venne poi rinominato a posteriori come Exynos 3 Single, ma il primo SoC targato Exynos arrivò l’anno dopo con l’Exynos 4210 Dual che trovavamo a bordo di Samsung Galaxy S2 e Galaxy Note. Un chip a suo modo storico, perché fu il primo che Samsung decise di vendere a un’altra azienda. Forse alcuni di voi se lo ricorderanno, perché l’Exynos 4210 Dual era il SoC a bordo di Meizu MX. La collaborazione con Meizu proseguì fino al 2018, con modelli come MX2, MX3, MX4 Pro, Pro 5, Pro 6, M6s e 15 Plus. Anche vivo ha utilizzato chip come Exynos 880 su Y51s, Y70s e Y70t, Exynos 980 su S6 e X30 e 1080 su X60 e X70, ma parrebbe che Samsung non sia più intenzionata a fornire chip di fascia alta ai propri competitor.