Canone RAI su smartphone e tablet: la proposta fa discutere

canone rai smartphone

È arrivata nelle scorse ore la proposta da parte dei dirigenti della TV pubblica di allargare il pagamento del canone RAI anche su smartphone e tablet. E come prevedibile, non è tardata ad accendersi la discussione sulle conseguenze di un provvedimento del genere. Introdotta nel 1938, la legge prevede che chiunque detenga almeno un apparecchio con cui usufruire delle trasmissioni televisive sia tenuto a pagare questo canone. Ma già nel 2012 era nata una diatriba sull’esatta definizione data nella legge, il cui obbligo ricade su tutti gli “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni“. Chiaramente al momento della stipulazione, la legge non prendeva in considerazione quello che sarebbe stato il futuro dell’evoluzione multimediale. Da essere incentrata quasi unicamente sulla televisione, oggi la fruizione dei contenuti passa ancora prima su smartphone, tablet, ma anche PC e notebook.

Inizialmente quella diatriba venne messa a tacere direttamente da RAI e Agenzia delle Entrate, affermando che il canone RAI non fosse previsto per smartphone e tablet. Questo perché riguarda unicamente quei dispositivi dotati di un radioricevitore completo, pertanto di sintonizzatore radio, decoder e quant’altro. D’altro canto, fino a qualche anno fa il canone RAI era la tassa più evasa in Italia, con una media del 25% della popolazione evadente. Per porvi rimedio, la legge di stabilità del 2016 ha stabilito che il canone fosse leggermente diminuito (da circa 100€ a 90€), rateizzato ed inserito all’interno della bolletta della elettricità. Il risultato è stato un netto calo dell’evasione, che dal 25% è passato al 3-5%.

E se pagassimo il canone RAI anche per l’utilizzo di smartphone e tablet?

Arriviamo così ad oggi, con l’amministratore delegato Carlo Fuortes che afferma che il canone RAI non sarebbe più sufficiente per sostenere la televisione pubblica. Nella seduta in Camera dei Deputati tenutasi il 12 ottobre, l’AD RAI ha specificato come ciò derivi in prima battuta dal caso degli incassi pubblicitari che la TV continua a soffrire anno dopo anno. Da quando l’attenzione del pubblico si è spostata dalla televisione al mondo di internet, investire nei programmi RAI non è più conveniente come una volta. E quindi compagnie e investitori preferiscono puntare i propri gettiti pubblicitari su altre fonti multimediali, come social e influencer. Senza contare l’avvento del digitale terrestre, con cui è ulteriormente aumentata la concorrenza nel settore televisivo.

canone tv europa
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Canone_televisivo_in_Italia

Da qui la nascita di quelle che Carlo Fuortes ha definito “quattro modeste proposte“, cioè delle modifiche alla tassazione attuale per “avvicinarsi alle best practice europee,  senza incidere sulle tasche degli italiani“. E fra queste quattro proposte, quella che ha senz’altro suscitato più clamore è quella di ampliare la categoria di dispositivi sui quali ricada la tassazione. In poche parole, far pagare il canone RAI anche per chi possiede smartphone e tablet, una novità non di poco conto anche perché si applicherebbe anche a chi non possiede una TV ma ha con sé un dispositivo portabile.

La risposta dalla politica

Carlo Fuortes ha fatto presente anche che il canone RAI in Italia è “di gran lunga il più limitato in tutta Europa“, se si considerano i 138€ in Francia o i 312€ in Svizzera. Ma se siete preoccupati che il canone RAI arrivi effettivamente su smartphone e tablet, sappiate che diversi esponenti politici si sono già espressi contrari. Ecco la risposta della Lega: “Prima la Rai si impegni a fornire un servizio di qualità e con una Raiplay che arrivi almeno ai livelli di Netflix. Poi impari a gestire il patrimonio immobiliare come un buon padre di famiglia, senza sprechi e dilettantismi.“. A rimarcare la situazione c’è anche Fratelli d’Italia: “L’eliminazione dell’attuale trattenuta da 110 milioni di euro, a partire dal 2022, distruggerebbe il sistema editoriale italiano, perché quei 110 milioni alimentano il fondo per il pluralismo dell’editoria“.

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