Dopo aver lasciato la sua creazione OnePlus, Carl Pei è prontamente tornato alla ribalta con Nothing, un marchio che è riuscito nell’impresa di catalizzare l’attenzione dei più appassionati di tecnologia. Lo ha fatto con una strategia ben precisa, a tratti di hipster-iana memoria, fatta di campagne marketing moderne, una forte connotazione estetica e mosse decisamente particolari. Non solo smartphone, cuffie e accessori ma anche trovate stravaganti come una linea di abbigliamento e addirittura una birra; Nothing rimane comunque un’azienda tech, e come tale ha il suo focus nei prodotti tech, come nel caso di Nothing Power (1).
Nothing svela il mancato caricatore 3-in-1 che doveva essere Power (1)
Nothing Power (1) è definibile a tutti gli effetti un alimentatore 3-in-1: è sia un caricatore cablato da 65W con due porte USB-C e una USB-A che un caricatore wireless ma anche una powerbank. Funzionalità che sono incastonate in un gadget esteticamente in linea con gli altri prodotti dell’ecosistema Nothing, per una scocca in plastica trasparente facilmente trasportabile in giro.
Insomma, un dispositivo apparentemente bello e funzionale, ma allora cos’è successo? Perché Power (1) non ha mai visto la luce del giorno? Lo spiega Carl Pei in persona nell’ultimo video pubblicato sul canale YouTube della compagnia, partendo col definire il team che lavorò a quel progetto “piccolo ma ambizioso“: al tempo, la divisione R&D era composta da sole 5 persone rispetto alle 500 che hanno lavorato a Phone (2).
L’obiettivo era quello di presentare Power (1) in seguito all’annuncio delle primissime Ear (1), seppur fosse prima necessario capire come creare hype attorno al prodotto e poterlo vendere a un prezzo competitivo. Tuttavia, ben presto Nothing si accorse che le sfide da superare erano di natura ben più tecnica. Essendo una realtà che punta molto sull’appeal visivo, era necessario creare un caricatore con lo stesso stilema estetico delle Ear (1), quindi trasparente ma posizionando i componenti nella giusta maniera e utilizzando una colla sufficientemente resistente ma allo stesso tempo invisibile alla vista.
Il caricatore non riusciva a passare i test di resistenza, però, finendo per non soddisfare gli standard Nothing, a causa di una scocca troppo pesante che finiva per rompersi più facilmente in caso di caduta. C’erano anche problemi termici: Power (1) doveva essere rapido ma compatto, un compromesso difficile da ottenere, specialmente per un caricatore che si prefigge di poter caricare simultaneamente via cavo e wireless.
Quando si parla di caricatori, gli standard di sicurezza ed efficienza devono essere molto alti per evitare di commercializzare prodotti che potrebbero rivelarsi un boomerang per l’azienda. Sono problemi che possono affliggere non solo una startup come Nothing ma anche colossi come Apple, che per motivi molto simili si è vista costretta ad abbandonare il progetto AirPower. Tutte queste problematiche significavano per Nothing dover riprogettare il tutto da capo, e a quel punto il team decise di tirare i remi in barca.
Carl Pei ritiene che l’azienda sia stata arrogante nel credere di poter entrare in un nuovo settore senza avere un team dedicato e le conoscenze giuste per evitare quanto accaduto. A distanza di due anni, definisce Nothing Power (1) un prodotto potenzialmente valido ma non abbastanza per la Nothing di oggi. Per ora, il sub-brand CMF by Nothing ha portato sul mercato un caricatore GaN 65W decisamente meno ambizioso, ma chissà che in futuro non si possa tornare a parlare di un prodotto come Power (1).
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